[Badgirlz-list] L'IMPORTANZA D'ESSERE "SYLVIA"

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Un protagonista della rivolta
L'IMPORTANZA D'ESSERE "SYLVIA"

di Massimo Consoli

Certo, la vita non era stata facile, con Sylvia.
Quando aveva tre anni, ed era ancora un maschietto,
sua madre si era
suicidata cercando di portarselo appresso nella tomba.
Poco piu' tardi
anche
la nonna cerchera' di ammazzarlo, per risparmiargli
una vita che gia'
vedeva
difficile.
Era nato nel Bronx, dentro un taxi parcheggiato
davanti al Lincoln
Hospital,
il 2 luglio 1951 e si chiamava Ray Rivera Mendozza. I
genitori erano di
origini venezuelane e portoricane. I tratti del viso
ricordavano
ascendenze
indie, mentre il colore della pelle faceva pensare a
qualche incrocio
con
gli schiavi portati dall'Africa.
Queste peculiarita' le permetteranno, piu' tardi, di
relazionarsi con
facilita' con le varie minoranze che compongono il
complicato melting
pot
americano.
Ormai orfano ed abbandonato a stesso, a dieci anni si
trovo' a dormire
per
le strade di Brooklyn o del New Jersey o del Village,
finche' comincio'
a
battere il marciapiede. Poco prima del suo undicesimo
compleanno si
cambio'
il nome in Sylvia, e divenne una prostituta abituale
della 42a strada,
dove
veniva rimorchiata da clienti eterosessuali che si
facevano ciucciare
il
pisello nel retro dell'auto.

No, la vita non e' stata facile per Ray Sylvia Rivera,
morta lo scorso
19
febbraio [del 2002], alle 5,30 del mattino, al St.
Vincent's Manhattan
Hospital di New York, in seguito a complicazioni
dovute ad un cancro al
fegato. Aveva cinquant'anni ed era uno dei simboli
piu' importanti
della
comunita' GLBT di New York. E di tutto il mondo.

La gloria se l'era guadagnata sul campo, quella notte
tra il 27 ed il
28
giugno del 1969 partecipando alla rivolta dello
Stonewall, il bar gay
sulla
Christopher Street ormai entrato nella nostra memoria
storica.
"La gente dice che sono stata io a buttare la prima
molotov",
raccontava,
"ma non e' vero. Ho tirato la seconda. Qualcuno mi
aveva passato una
bottiglia di benzina quando qualcun altro lancio' la
prima. Non sapevo
che
fare ed uno accanto a me mi disse: "e' meglio che la
tiri", ed io l'ho
fatto".
La polizia aveva l'abitudine di fare retate nei locali
gay del Village.
I
clienti, di solito, si lasciavano perquisire, qualcuno
veniva portato
al
distretto, il bar era multato o addirittura chiuso, e
tutto
ricominciava
daccapo.
Quella notte le cose andarono diversamente. Forse era
il caldo, forse
la
morte di Judy Garland (una vera e propria "icona
gay"), forse un po'
piu' di
accanimento da parte dell'ispettore Seymour Pine, o
perche' era una
squadra
speciale ad occuparsi della faccenda, fatto sta che i
gay fecero una
cosa
che non avevano mai fatto prima: reagirono.
I "gay"? A dire il vero quelli che insorsero e dettero
fuoco alla
miccia
furono i travestiti, le checche da strada, le
drag-queens che non
avevano
nulla da perdere, senza uno stipendio da conservare, o
una casa da
difendere, o una famiglia da scandalizzare. Poi, in un
secondo tempo,
nei
quattro-cinque giorni che seguirono e durante i quali
i disordini
continuarono a diffondersi per il quartiere, da tutte
le strade del
Village
cominciarono ad affluire ed a partecipare anche i piu'
radicali, i
contestatori della guerra nel Vietnam, i militanti del
Black Panther
Party,
i beats, i politici, che assunsero subito la
leadership.
Questo fatto e' rimasto a lungo come una spina nel
cuore di Sylvia. I
gender
people sono stati usati spesso come una specie di onda
d'urto di tutta
la
comunita' gay per aprire la strada al riconoscimento
dei propri
diritti, e
poi messi da parte per non dare una cattiva immagine
del movimento. Lei
stessa fu mandata piu' volte in prima linea nelle
manifestazioni
pericolose
e poi subito buttata via quando arrivavano i
giornalisti: isolata,
sconfessata, ignorata.
Particolarmente critici erano i gay che volevano
essere assimilati al
resto
della societa', e le lesbiche intransigenti.
Quest'ultime erano le piu'
feroci. Per loro, i transgender presentavano
un'immagine falsata,
stereotipata, della donna, e poi continuavano a godere
dei vantaggi
dell'essere, alla fin fine, sempre dei maschi.
Nel febbraio del 1970 Sylvia si uni' alla Gay
Activists Alliance e
partecipo' alle battaglie per far passare una legge
contro le
discriminazioni nella citta' di New York. Fu l'unica
persona arrestata
in
quell'occasione, il che dimostra quanto impegno ci
mettesse. Ad un
certo
punto, durante un meeting dei Democratici, colpi' al
capo uno degli
speaker
che si rifiutava perfino di leggere la sua petizione,
con il clipboard
che
la conteneva. Si trattava di Carol Greitzer,
consigliere comunale
eletta nel
Greenwich Village che, dopo quella botta,
evidentemente rinsavi' e
divenne
la prima firmataria di quella stessa petizione.
Un'altra battaglia fu
condotta contro il Village Voice, che si rifiutava di
pubblicare gli
annunci
e la pubblicita' gay. E' sintomatico notare che,
quando il settimanale
fu
convinto a cambiare politica, da giornaletto di
quartiere divenne, in
pochi
anni, una delle pubblicazioni culturali e di costume
piu' autorevoli (e
piu'
vendute) di tutti gli Stati Uniti. Il Greenwich
Village era ed e' un
quartiere con un numero enorme di iniziative e
strutture e attivita'
culturali e con la piu' alta densita' di popolazione
GLBT del mondo.
Impossibile ricordare qui la serie infinita di
manifestazioni che hanno
visto Sylvia sempre ed immancabimente in prima fila,
molto spesso come
organizzatrice, con una forza del carattere
straordinaria: una
combattente
coraggiosa, e con la generosita' di un cuore che
batteva veramente per
tutti.
Ho avuto la fortuna di conoscerla finalmente di
persona nell'estate del
1989, durante i festeggiamenti per il 20° anniversario
dello
"Stonewall".
Il Gay and Lesbian Community Services Center aveva
organizzato un
meeting,
Revolution Recalled, al quale partecipavano alcuni
partecipanti ai
disordini
del 1969 ormai diventati personaggi importanti nel
movimento.
Ad un certo punto Sylvia insorse contro di loro,
aggredendoli con la
sua
proverbiale violenza: "La scintilla della
rivoluzione", cito a memoria,
"l'abbiamo iniziata noi checche, travestiti e puttane.
Dove stavate
voi,
ch'eravate nascosti allora, e venite a raccogliere gli
allori adesso,
di una
rivolta della quale non avete alcun merito?"

La piu' grande delusione la ebbe il giorno in cui il
movimento gay
decise di
escludere pubblicamente travestiti, transessuali e
transgender
dall'agenda
delle rivendicazioni, allo scopo di presentare
un'immagine "pulita" e
"rispettabile". Fu una lezione che non dimentico'
piu'.
Aveva sofferto tanto, in gioventu', che proprio ai
giovani trans
dedico' la
parte migliore di se stessa. Insieme a Marsha P.
Johnson apri' la STAR
House
(Street Transvestite Action Revolutionnaires), allo
scopo di difendere
i
diritti della sua comunita' e provvedere ai servizi
sociali.
L'attivita'
principale consisteva nel dare un tetto ed un letto
alle giovani
checche
senza casa ne' lavoro, e poi nell'assisterle in una
vita che, poteva
testimoniarlo di persona, le vedeva morire presto per
una coltellata,
una
overdose, una stronzata qualsiasi...
Per marcare questa sua difesa di una minoranza
discriminata all'interno
di
un'altra minoranza, nel giugno del '94 si mise alla
testa di un
contingente
di manifestanti che non era stato accettato dagli
organizzatori del Gay
Pride di quell'anno. Il motivo del contendere era
dovuto all'esclusione
degli amanti dei ragazzi dalla parata ufficiale. I gay
assimilazionisti
non
volevano marciare accanto a quelli del NAMBLA (North
American Man Boy
Love
Association) cosi', per un po', le due anime del
movimento andarono
ognuna
per conto suo, finche' finirono per riunirsi
pacificamente.
Le delusioni, le discriminazioni, la spinsero piu'
volte al suicidio.
Attraverso' lunghi periodi senza casa per se stessa,
senza un lavoro,
costretta a dormire in scatole di cartone ed a vivere
di accattonaggio
e
piccoli furti.
"Abbiamo liberato il vostro mondo", gridava contro gli

assimilazionisti,
"perche' ci lasciate sempre in fondo all'autobus?"
Negli ultimi tempi aveva fatto parte di numerose
organizzazioni
umanitarie.
Ormai entrata nella storia, era diventata un punto
fisso di
riferimento.
La Metropolitan Community Church di New York, la piu'
autorevole chiesa
GLBT
degli Stati Uniti, l'aveva voluta direttrice dei
servizi alimentari:
una
sorta di "Caritas" (ma questa apertamente gay)
americana che
distribuisce
cibo e fornisce assistenza a tutti i disperati della
metropoli.
Poche ore prima della morte aveva ricevuto una
delegazione dell'Empire
State
Pride Agenda (ESPA), per negoziare l'inclusione dei
diritti trans nel
disegno legislativo attualmente pendente presso il
Comune di New York.
Costretta a letto, attaccata a tubi e monitor che le
permettevano di
sopravvivere ma soffrendo dolori atroci, era
determinata a non
permettere
che i gay perbenisti vincessero questa battaglia una
volta di piu'
sulla
pelle dei/delle trans, insistendo per una revisione
del linguaggio e
per un
piu' concreto sostegno da parte dell'ESPA.


Sylvia era ormai diventata la coscienza della
comunita' GLBT,
richiedendovi
l'inclusione di tutti, ed il rispetto per tutti, al
suo interno.
Considerata
con fastidio, con disprezzo e apertamente osteggiata
da quella stessa
comunita' nella quale avrebbe dovute sentirsi piu'
sicura, Sylvia tenne
sempre in mente il consiglio ricevuto dall'amica
Marsha P. Johnson,
anch'essa trans afro-americana: "Non ci far caso,
ragazza. Trattali
sempre
allo stesso modo e vai avanti con l'affare che stai
trattando".

Secondo le sue volonta', il funerale ha avuto inizio
la notte del 26
febbraio davanti al vecchio "Stonewall Inn". La sua
piu' cara amica,
Julia
Murray, ne portava le ceneri in grambo, seduta da sola
nella carrozza
nera
tirata da un cavallo bianco e guidata da un cocchiere
in abito da sera.
Il
corteo si e' poi diretto verso la Christopher Street
in direzione
ovest,
preceduta da un portabandiera, da vari danzatori ed
una banda musicale,
fermandosi davanti all'Hudson, dove una parte delle
sue ceneri e' stata
gettata in acqua, insieme ad un bouquet di fiori.

Massimo Consoli

Questo articolo e' stato reso possibile grazie alla
collaborazione di
David
Thorstad e William K. Dobbs.





        
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