[Lecce-sf] La rabbia della destra

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Autore: Antonella Mangia
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Oggetto: [Lecce-sf] La rabbia della destra
La rabbia della destra
La Cdl delusa dalla mancanza di incidenti. Berlusconi si consola: «Erano pochissimi»
L'ultimo appiglio La destra, in mancanza di altre scuse, si attacca a uno slogan lanciato da pochi ragazzi. «E' la prova che i manifestanti sono infami e assassini»

Avevano evocato lo spettro di violenze selvagge e barbare distruzioni, seminato il panico, blindato la città, terrorizzato gli abitanti. Silvio Berlusconi, in prima persona, era arrivato a smentire i responsabili dell'ordine pubblico parlando di non meglio precisate «informazioni», tali da destare massima preoccupazione. A cose fatte, a manifestazioni svoltesi, a violenze non commesse, i leader della destra sono costretti ad attaccarsi a uno slogan, quello ormai notissimo sulle «10, 100 1000 Nassiriya». Sciocco e poco responsabile, ma lanciato da non più di quindici persone di età non molto superiore ai dodici anni. Si riduce a questo il bilancio funesto della giornata di violenze annunciata ed evocata. Forse desiderata. La sconfitta di Silvio Berlusconi non avrebbe potuto essere più completa, ed è una sconfitta che peserà politicamente più di quanto lo stesso premier non sappia. Nonostante la campagna di terrore, il corteo di ieri è stato numerosissimo, le violenze ridotte al
minimo, le possibili provocazioni puntualmente sedate dagli stessi manifestanti. Berlusconi non può neppure vantarsi dell'esito positivo della giornata. Non è stato merito suo che, al contrario, ha fatto quanto era in suo potere per mandare le cose nel peggiore dei modi. E' stato merito del senso di responsabilità dei pacifisti e delle forze dell'ordine, il cui comportamento di ieri è stato diametralmente opposto a quello di Genova, e i risultati parlano da soli.

Battuto, ridicolizzato nei suoi insensati allarmi, Berlusconi si trincera dietro cifre false. «Mi sembra - constata - che la giornata sia andata molto bene. Pisanu mi ha detto che la manifestazione è stata un flop. C'erano seimila persone di cui quattromila venute da fuori Roma». Impossibile dire se a mentire sia il ministro degli Interni o direttamente il capo del governo. Nell'un caso o nell'altro l'informazione rimane falsa.

Se il capo gioca la carta della minimizzazione, il resto della destra sfrutta l'unico appiglio disponibile, poco importa se inconsistente e risibile. In mattinata, il solerte Schifani insiste nell'augurarsi qualche scoppio di violenza. Nonostante nulla autorizzi i suoi timori, afferma ineffabile che «gli eventi di questa mattina, questi atti di inaccettabile teppismo e violenza, ci confermano la fondatezza delle preoccupazioni espresse dal capo del governo». Deluso ancora una volta nei suoi apocalittici sogni, si consola scagliandosi contro «lo pseudo-pacifismo che ancora una volta insulta i nostri eroi».

Schifani è Schifani, ma con lui c'è un esercito. Sono decine i leader e i sottopancia della Cdl che si sfogano dettando alle agenzie di stampa commenti sempre più indignati. Lo slogan cretino di 15 ragazzini diventa un caso nazionale, uno scandalo, un'offesa al paese (Gasparri), una prova di insanabile odio per le istituzioni (Storace), un episodio che dà i brividi (Follini), un'evocazione degli anni di piombo (Urso), un inno alla violenza organizzata (La Russa), uno slogan assassino che indica «un cuore sbagliato, una violenza profonda e l'assenza di qualsiasi valore» (Baget-Bozzo). Ascierto, indimenticabile protagonista delle giornate genovesi, chiede che si proceda subito, e per vie giudiziarie. Suggerisce l'incriminazione non solo per «apologia di reato» ma anche per «attività sediziose». Ma questi, viene da chiedersi, si rendono conto di cosa stanno dicendo, oppure nemmeno più si ascoltano?

Se ne rendono conto. Sanno che basta sfiorare questi temi per ottenere dai leader del triciclo una reazione pavloviana e autolesionista. Centrano l'obiettivo. Il listone, non pago di aver sbagliato ancora una volta tutto, non soddisfatto dall'aver invitato invano la sua stessa gente a restarsene a casa, risponde pronto all'appello dei berlusconiani. Collabora attivo ed entusiasta a trasformare un episodio minore e del tutto insignificante in fatto politico di prima grandezza. I commenti che volano dagli spalti triciclati sono se possibile ancor più sopra le righe di quelli che diluviano da destra, e, a differenza di quelli, non possono neppure addurre a giustificazione un calcolo opportunistico.

Giuliano Amato, un dotto, s'interroga pensoso «sul bisogno, per darsi un'identità, di una trasgressione così disumana». Rosy Bindi, solitamente meno fragorosa, è ferita «come milioni di italiani che hanno condannato la guerra da uno slogan ripugnante». Angius si limita ad additare «l'infame slogan contro i nostri carabinieri e il nostro esercito». D'Alema, più perspicace, si dichiara sì «disgustato» ma aggiunge che «i provocatori sono stati isolati».

Del resto, del senso di una giornata che ha clamorosamente smentito tanto la destra quanto il listone, di una vicenda che ha dimostrato nei fatti lo scollamento tra il paese reale e quello che circola nei palazzi, non parla nessuno. E' la politica italiana. Non un granché.

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