[Lecce-sf] La strategia della "carica preventiva"

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Autore: Antonella Mangia
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Oggetto: [Lecce-sf] La strategia della "carica preventiva"
Ci stanno provando di nuovo. Da palazzo Chigi, anzi dal forum di Assago, dove sta affondando il congresso elettorale di Forza Italia. Il governo prova a caricare il movimento col "gas paralizzante". La carica è preventiva (parola trendy in questo momento) e ad ordinarla è direttamente il ministro Pisanu che dice: «Si profilano minacce molto gravi». L'obiettivo è lo stesso di sempre: distruggere il movimento l'unico vero antagonista di questo governo. Ad Assago sono disperati. Berlusconi interviene a più riprese nel dibattito per provare a risollevare le sorti del suo partito e di un governo in tuta mimetica che perde consensi anche nelle aree moderate del paese. Per questo hanno affidato l'attacco più duro alla voce di colui che si vuole il ministro "moderato" per eccellenza. Il target di Pisanu è chiaro: siamo tutti noi. Quelli che stanno manifestando contro la guerra militare e sociale. L'obiettivo è dividere, rompere la moltitudine di donne e uomini che provano a ribellarsi ad un
futuro incerto e alla guerra permanente.


Vorrei ricordare al ministro degli interni che gran parte dei sindacati, associazioni, centri sociali che oggi manifestano contro la guerra in Iraq scesero in piazza anche contro la guerra nella ex Jugoslavia. La maggioranza globale pensa che non si muore di meno se una guerra è condotta dalla Nato, con l'approvazione delle Nazioni Unite, ma è certo che nella storia è la prima volta che viene adottata la linea minority report.

La dottrina della guerra preventiva ha stravolto qualsiasi legge internazionale. La dottrina della paura globale è stata adottata per garantire la "governance" dell'alternanza. La cancellazione di ogni possibile alternativa è uno degli obiettivi non dichiarati di questa guerra. Il governo fa intendere che è meglio stare a casa, chiudere le finestre e sintonizzarsi su Rete 4 per la parata dei "signori della guerra". Ma ci sono immagini che non si dimenticano, un uomo iracheno con le mani legate, seduto nel deserto con in testa un cappuccio e tra le sue gambe un bambino, forse il figlio, che piange disperato sotto lo sguardo di un militare. Noi non dimentichiamo le immagini dei missili che finiscono su un matrimonio e fanno quaranta morti, noi non dimentichiamo che tutto questo accade per responsabilità di George Bush e della scuola "neocons".


Il 4 giugno saremo centinaia di migliaia in piazza, manifesteremo pacificamente sin dalle prime ore del mattino l'indignazione per la sfilata dei due presidenti. Il dispositivo disciplinare che la guerra interna impone è costituito da logiche di comando, di divieti, di zone a limite invalicabile che vengono imposti ad una intera città. Ma la città è un corpo vivo, dotata di una intelligenza collettiva che si ribella alle imposizioni. L'indignazione si manifesterà in mille modi, nel centro storico saranno centinaia i balconi con le bandiere della pace esposte, e per chi non le avesse ancora, le doneremo nei prossimi giorni, con una lettera che inviterà a partecipare al corteo. Chi chiede di esporre solo le bandiere e ascolta le "sinistre sirene" del ministero degli interni non coglie un elemento fondamentale. La spirale guerra-terrorismo aggredisce nel profondo la riappropiazione del proprio territorio, come luogo costituente di democrazia diretta. La disciplina militare può essere
vinta solo con l'insubordinazione diffusa. La banalità del male, degli ordini da eseguire e di una popolazione ridotta a maggioranza silenziosa può essere infranta solo con la moltiplicazione di azioni comunicative e creative che si sottraggano alla "leva obbligatoria" che uno stato di guerra non più eccezionale propone. Il governo torna rievocare le giornate del luglio genovese per attaccare in maniera preventiva il movimento. Come hanno dimostrato filmati e inchieste giornalistiche, la responsabilità di quello è accaduto è di chi ha preordinato l'attacco. In quelle strade gli otto potenti della terra provarono a distruggere la formazione di un altro potere, quello dell'umanità. Non ci sono riusciti: le giovani e i giovani comunisti saranno ancora disobbedienti, sfuggiremo ad ogni tentativo di fronteggiamento, saremo come a le operaie e gli operai di Melfi che hanno sconfitto il governo: quando la polizia provava a disperdere il blocco hanno alzato le mani in aria e hanno gridato:
«pace, pace, dignità, dignità». Saremo in strada anche il 2 giugno per contestare la sfilata di muscoli d'acciaio che puzzano di polvere da sparo, proveremo a dire che non solo la costituzione ma anche la maggioranza di questo paese ripudia la guerra. Il 4 con tutte le reti del movimento proveremo a fermare Bush. Dobbiamo rappresentare nelle strade, nelle metropolitane, nelle stazioni, l'indignazione contro la guerra e comunicare le atrocità delle torture. Il 4 giugno dobbiamo provare a costruire un nuovo immaginario. Abbiamo già un consenso straordinario, dobbiamo trasformare quel consenso in condivisione, partecipazione e pratiche pubbliche che si confrontano con una guerra che purtroppo non finirà domani.

Michele De Palma - Coordinatore nazionale Giovani Comunisti

>From : Giovani Comunisti



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