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Auteur: Errata
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Fecondazione: una brutta sentenza

IL DIRITTO DELL'EMBRIONE

No al ricorso di una coppia talassemica

di Assunta Sarlo

Il tribunale di Catania ha detto no. E oggi appare
ancor più in salita
la
battaglia contro la legge, la brutta legge sulla
fecondazione assistita
approvata il 19 febbraio scorso dalla maggioranza di
governo con il
concorso di esponenti del centrosinistra. È un no,
quello arrivato da
Catania il 3 maggio, che pesa: perché è la prima e
molto attesa
pronuncia
sulla legge, perché è un no che, con argomentazioni e
giudizi assai
discutibili, respinge il ricorso di una coppia
infertile e portatrice
di
betatalassemia che ha
vissuto e vive una lunga e dolorosa vicenda di aborti
e fallimenti,
perché, infine, dichiara infondate le questioni di
legittimità
costituzionale della legge che dunque, per ora, non
potrà essere
esaminata
dal «giudice delle leggi» ovvero la Corte
Costituzionale.

Silvia e suo marito, autori del ricorso, non sanno
ancora se
riusciranno
ad avere un figlio, sanno già però quanto questa legge
abbia
trasformato
la loro difficile ricerca in una sfida quasi
impossibile e altrettanto
rischiosa per la salute psicofisica della madre. E
sanno che
l'ordinanza
sposa l'interpretazione più restrittiva di una legge
che già frappone
mille ostacoli alla fecondazione assistita. Sposati da
diversi anni e
portatori entrambi di betatalassemia, i coniugi hanno
un'elevata
probabilità di trasmettere la malattia al nascituro.
Dopo gravidanze
extrauterine e interventi chirurgici di immaginabile
difficoltà, la
coppia
nel 2002 si mette in contatto con il Centro di Unità
di Medicina della
Riproduzione di Catania dove è possibile ottenere una
diagnosi genetica
prima dell'impianto dell'ovulo nell'utero materno per
accertare la
trasmissione della malattia.

Si tratta di un esame assai precoce del DNA
dell'embrione che, nel
centro
catanese, è stato sperimentato da coppie portatrici di
malattie come la
talassemia, la fibrosi cistica e la distrofia
muscolare: quanto sia
utile
e importante soprattutto in alcune zone d'Italia lo
dice il fatto che
nella sola Sicilia ci sono 400 mila portatori di
betatalassemia. La
prima
volta nel 2003 non ha buon esito: ogni coppia che ha
tentato la
fecondazione assistita conosce la fatica, lo stress,
il disagio fisico
e
psichico che ogni tentativo e ogni fallimento
comportano. Marito e
moglie
non demordono e nel 2004 ci riprovano: proprio nella
prima fase della
stimolazione ovarica, entra in vigore la nuova legge
che, tra gli altri
divieti, proibisce anche la soppressione degli
embrioni, obbliga a un
unico impianto e fa divieto di revocare il consenso.
Nel caso di Silvia
e
di suo marito significa una cosa semplice quanto
drammatica: nel caso
in
cui l'embrione (o più di uno) dovesse risultare
malato, bisognerebbe
comunque procedere a impiantarli nell'utero materno,
per poi
eventualmente
abortire.
Silvia scrive allora al suo medico: «Lei conosce la
nostra storia
clinica
e il calvario al quale ci siamo sottoposti... durante
tutto questo
percorso ho maturato una coscienza della sofferenza e
in particolare di
quella derivante dalla malattia che mi rende
psicologicamente
insopportabile l'idea di mettere al mondo e di dover
accudire,
sentendomene colpevole, un figlio malato che debba
vivere tra atroci
sofferenze... Pertanto, a modifica del consenso
prestato, ... qualora
dovesse risultare un embrione malato non sarò
disponibile a riceverne l'impianto ritenendo tale
eventualità
pericolosa
per la mia salute fisica e psichica...».

Dal canto suo il medico dichiara di non poter
procedere alla diagnosi
preimpianto a meno che non sia un giudice ad
autorizzare la procedura.
Viene quindi presentato un ricorso d'urgenza al
tribunale di Catania
nel
quale la coppia chiede venga affermato il diritto al
trasferimento
degli
embrioni sani e la crio-conservazione di quelli malati
e non venga
interrotto da parte del medico il trattamento
sanitario per evitare
gravi
e documentati rischi alla salute della madre. Tutto
ciò in nome del
diritto alla salute, all'autodeterminazione e a una
maternità
consapevole
e sostenendo che la nuova legge si pone in contrasto
con gli articoli
2, 3
e 32 della Costituzione.

LA SCONFITTA. La decisione del magistrato sconfigge su
tutta la linea
la
tesi dei ricorrenti: dice no alle loro richieste, dice
no al ricorso
alla
Corte Costituzionale. E lo fa appellandosi al rispetto
della legge
varata
dal Parlamento «sommamente doveroso in questa materia
che, come si è
detto
ha ad oggetto proprio i limiti da porre al potere
dell'uomo di agire su
uno dei più grandi misteri della natura: l'origine
della vita».

Chi ricorda il dibattito accanito sulla legge, sulla
questione dello
statuto dell'embrione, ha già capito dove si va a
parare: addirittura,
spiega l'avvocato della coppia Maria Paola Costantini
che fa parte del
comitato «No alla legge 40», oltre ciò che la legge
afferma. «Il
giudice
mette in conflitto il diritto della madre con il
diritto dell'embrione
non
ancora impiantato che diventa nelle sue parole già
concepito e
nascituro,
quando nella stessa legge all'articolo 1 si fa
riferimento soltanto al
diritto del concepito». Di più, spiega il ricorso a
questa sentenza che
i
legali hanno, seppur con una certa sfiducia,
presentato: il giudice fa
proprie «suggestioni, valutazioni politiche, morali,
etiche e religiose
che nulla hanno a che vedere con l'interpretazione
della legge». Sì,
perché nelle 20 pagine dell'ordinanza, il giudice
rilegge e giudica la
richiesta di una coppia ad alto rischio genetico alla
luce di ciò che
ritiene essere «un preteso diritto dei genitori ad
avere figli sani a
qualunque costo» o un figlio «come lo desiderano». Su
questa strada
liquida tutte le importanti questioni giuridiche e i
conflitti
costituzionali sollevati: la contraddizione della
legge 40 con quella
che
disciplina l'interruzione di gravidanza, il contrasto
con gli articoli
2 ,
3 e 32 della Costituzione.

Cosa succederà adesso? Altre 20 coppie, portatrici di
gravi malattie
genetiche, spiega l'avvocato Costantini, sono pronte a
dare nuova
battaglia in tribunale. La questione
dell'incostituzionalità della
legge,
una delle principali carte del fronte che vi si
oppone, sembra ora più
difficile da sostenere? Secondo la costituzionalista
Marilisa D'Amico,
che
ha inviato un commento al gruppo di giuriste che da
mesi lavora sulla
legge, non bisogna demordere: l'ordinanza catanese non
può costituire
un
precedente vincolante in quanto non si è limitata,
come avrebbe dovuto,
a
un sommario esame della fondatezza delle questioni
sollevate: «Spetta
solo
alla Corte Costituzionale, il compito di entrare nel
merito e valutare
quei dubbi di
costituzionalità cui il tribunale di Catania ha
momentaneamente negato
l'ingresso».

C'è poi il fronte politico: mentre il partito radicale
continua la
raccolta di firme per l'abrogazione della legge (ne
occorrono ben 500
mila
entro settembre), un composito cartello che va dal
comitato «No alla
legge
40» a Madre provetta alle associazioni che
rappresentano i portatori di
malattie genetiche fino ai Girotondi per la democrazia
ha in agenda una
due giorni romana, «Libere e liberi di scegliere» il
25 e il 26 maggio.
«Mentre stiamo misurando i nefasti effetti dei divieti
posti dalla
legge e
c'è la percezione di una diminuzione del 30 per cento
delle richieste
ai
centri italiani, mentre chi può va all'estero, noi
vogliamo dire che
non
ci siamo addormentati e che continuiamo a lavorare»
spiega Monica
Soldano,
presidente
di "Madre Provetta". Lo comunicheranno attraverso le
parole di
cittadini,
scienziati, bioeticisti, politici, giuristi,
discuteranno di questa
sentenza e dell'opportunità o meno del referendum,
argomenteranno
perché
questa legge vada a ledere la libertà di donne e
uomini e umilii i
progressi della scienza. E lo faranno anche attraverso
la semplice e
convincente verità che viene dalle persone: come Sara
e suo marito,
come
Cristina, come Ivan, chiamati a raccontare la loro
sfida.

[da «Diario» n. 20 del 21 maggio 2004]

--
Sergio D'Afflitto
Rappresentante dell'UAAR presso la Consulta
per la Libertà di Pensiero e la Laicità delle
Istituzioni
del Comune di Roma


    
        
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