Lähettäjä: pkrainer Päiväys: Aihe: [Cerchio] nella merda
Incompetenza al potere
di Patrick Cockburn
L'anno scorso gli ufficiali dell'esercito americano hanno preso possesso dei
palazzi di Saddam Hussein nel centro di Baghdad e li hanno trasformati nel
loro quartier generale. Poco dopo il loro arrivo è accaduto un episodio
allarmante: i servizi igienici dei palazzi si sono intasati e l'acqua ha
cominciato a fuoriuscire dai gabinetti - allora sono stati subito installati
altri servizi igienici esterni, nei giardini dei palazzi.
Il fatto è che gli ufficiali americani - uomini brillanti con dei buoni
agganci nell'amministrazione Bush a Washington - non sapevano che i bagni in
Medio Oriente vengono usati in maniera leggermente diversa da quelli di casa
loro. L'acqua ha il ruolo che spesso in occidente svolge la carta igienica;
gli scarichi dei palazzi di Saddam non erano pensati per ricevere grandi
quantità di carta igienica, ed è per questo che si sono otturati, con un
risultato ben poco profumato.
Questo è stato solo il primo della lunga serie di errori commessi
dall'autorità provvisoria della coalizione che è in Iraq ormai da un anno, e
a cui però manca un'adeguata conoscenza del luogo.
Si tratta di uno dei regimi più incompetenti della storia. Se il viceré
americano in Iraq Paul Bremer avesse preso le sue decisioni tirando a testa
o croce, avrebbe senza dubbio ottenuto dei risultati migliori.
Ci sono momenti in cui Bremer sembra in preda a un'attività febbrile, con
una fiducia in se stesso degna dell'ispettore Clouseau: passa da una crisi
all'altra, senza rendersi conto che spesso queste crisi sono dovute al suo
stesso operato. Ad aprile è riuscito a trasformare i ribelli di Fallujah,
prima considerati da molti iracheni solo degli uomini pericolosi, in eroi
nazionalisti. Nello stesso periodo ha dato la caccia a Muqtada Sadr, il
leader sciita che fino a quel momento aveva sempre avuto un appoggio
abbastanza limitato tra la popolazione, e lo ha fatto diventare un martire.
La politica americana in Iraq si basa sulla divisione: ma in nessun posto
nel mondo c'è tanto bisogno di mantenere l'unione quanto in Iraq, anche per
una questione di strategia militare e politica. Eppure sembra proprio che
Bremer e l'esercito non riescano a comunicare. Comunque i civili al
Pentagono e i neo-cons hanno una loro linea politica, così come ce l'hanno
il dipartimento di Stato e la Cia. Alla Casa Bianca preme solo che,
qualunque cosa stia succedendo in Iraq, i fatti possano essere presentati in
modo da non far perdere le elezioni presidenziali a Bush a novembre.
Viste le rivalità in gioco è difficile che emerga una linea politica sensata
per l'Iraq - e infatti non ci sono novità in questo senso. Downing Street e
la Casa Bianca dicono di voler restituire la sovranità all'Iraq il 30 giugno
e di voler creare una nuova forza di sicurezza irachena per rimpiazzare i
135mila soldati americani e i 7500 soldati britannici. Questa più che a una
linea politica assomiglia a una cinica trovata in fatto di pubbliche
relazioni. È da un anno che gli alleati cercano di creare una forza di
sicurezza irachena; quando il mese scorso ci sono stati delle rivolte, però,
il 40 per cento delle forze addestrate dagli Stati Uniti ha disertato,
mentre il 10 per cento ha scelto l'ammutinamento ed è passato dalla parte
dei ribelli. Come ha fatto notare Mahmoud Othman, membro indipendente del
Consiglio di governo iracheno, gli iracheni non lotteranno mai contro altri
iracheni per conto di una potenza straniera.
Ovviamente l'importanza data al passaggio di poteri al governo ad interim
serve a fare finta che ci sarà un'autorità legittima nel paese. Nel corso
dell'ultimo anno, l'autorità provvisoria ha continuato a ripetere che
avrebbe restituito il potere agli iracheni, ma non è mai accaduto, ed è
improbabile che accada adesso.
I membri del Consiglio di governo iracheno scelto dagli Stati Uniti hanno
scoperto che tutto quello che ci si aspettava da loro era che dessero un
sapore iracheno a delle decisioni prese dagli americani. Ai membri del
Consiglio era stato detto che sarebbero stati consultati su importanti
decisioni in materia di sicurezza, solo per poi svegliarsi una mattina e
scoprire che i militari americani avevano messo sotto assedio Fallujah. Sono
sempre di più gli iracheni che considerano i membri del Consiglio dei
collaboratori di un'occupazione odiosa.
Il Consiglio verrà rimpiazzato da un governo di tecnocrati che dovrebbero
essere visti con più favore dagli iracheni: in parte sarà scelto
dall'inviato delle Nazioni unite Lakhdar Brahimi, e dovrà preparare il paese
per le elezioni di gennaio.
C'è stato un momento, poco dopo la caduta di Saddam Hussein, in cui le
Nazioni Unite avrebbero potuto assumere un ruolo importante in Iraq. Ma in
quel periodo, come spiega un leader iracheno, gli Stati Uniti erano ebbri
per la vittoria e sembravano determinati a escludere le Nazioni Unite.
Da allora il quartier generale delle Nazioni Unite a Bagdad è stato ridotto
a un cumulo di rovine e molte persone che lavoravano per l'Onu sono state
uccise. Arrivati a questo punto sarà difficile che molti dei paesi che
appartengono alle Nazioni Unite siano disposti a mettere a rischio la vita
dei loro ufficiali o dei loro soldati in Iraq.
Lo stesso Brahimi, che dovrebbe essere un personaggio chiave per la nuova
amministrazione irachena, nel corso della sua ultima visita ha a malapena
messo un piede fuori dalla blindatissima Green zone, l'area in cui la
coalizione ha il suo quartier generale.
Le Nazioni Unite hanno il sospetto (fondato) che tutto quello che ci si
aspetta da loro è che si assumano una parte di responsabilità per una crisi
su cui non possono esercitare la loro influenza.
Dopo il 30 giugno, l'esercito americano manterrà il suo controllo sulle
forze di sicurezza irachene in Iraq. Non è chiaro neanche se il paese potrà
usare i ricavati della vendita del suo petrolio. Nessuno sa chi farà parte
del nuovo governo. Non c'è neanche un edificio in cui sistemarsi, perché la
coalizione non ha ancora dato segni di voler abbandonare i palazzi di
Saddam. Il modo in cui delle decisioni importanti sul passaggio di sovranità
sono state lasciate all'ultimo minuto indica chiaramente che, alla fine del
prossimo mese, il potere reale rimarrà a chi già ce l'ha. Gli ufficiali
britannici che lo ammettono affermano che la data davvero importante
arriverà solo tra sette mesi, quando in Iraq ci saranno le elezioni.
Gli occupanti avrebbero dovuto organizzare delle elezioni il prima
possibile, subito dopo l'invasione - almeno avrebbero avuto a che fare con
dei leader iracheni eletti, con un certo grado di legittimità. Ma non ci
sono state elezioni perché gli americani temevano che i partiti sciiti fuori
dal loro controllo potessero vincere; per questo gli ufficiali americani
hanno cancellato anche le elezioni locali. Bremer non voleva che le elezioni
si tenessero la scorsa estate - temeva che potessero vincere i partiti
islamici. Eppure, alcuni ufficiali americani e britannici hanno detto (in
dichiarazioni private, non ufficiali) che le elezioni si sarebbero potute
organizzare.
A Najaf, la città santa degli sciiti, le forze di occupazione sono riuscite
anche a imporre un governatore sunnita - un po' come dare al reverendo
protestante Ian Paisley una posizione di responsabilità per il controllo del
Vaticano. Per fortuna il governatore non è rimasto a lungo: è stato
arrestato per sequestro di persona, e adesso è in prigione.
Il nodo delle elezioni irachene è la scelta dei tempi. Le elezioni irachene
non si terranno prima di quelle americane a novembre. Questo permetterà a
Bush di dire che l'Iraq è sulla strada della democrazia. Ci sarà un prezzo
da pagare per permettere che la politica irachena sia dettata dalle
necessità elettorali di Bush: è un prezzo che verrà pagato in sangue. Non ho
incontrato neanche un iracheno che crede che cambierà qualcosa alla fine del
prossimo mese. Molti pensano che l'unico modo per porre fine all'occupazione
sia la resistenza armata. Se il governo britannico è davvero convinto che
3mila soldati in più basteranno a riportare l'ordine, allora significa che
ancora una volta ha sottovalutato la gravità della crisi.