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L'EDITORIALE
Lo scudetto nella bara

di VITTORIO ZUCCONI
Negli anni più torvi della guerra fredda e di quella osse
ssione ideologica che stregò brevemente la democrazia americana con il volto
di un senatore chiamato McCarthy, l'edificio di oscenità e di menzogne
creato dalla caccia alla streghe crollò simbolicamente e definitivamente
quando l'avvocato difensore di uno degli accusati chiese, in diretta
televisiva, al senatore: "Ma lei non ha più alcun senso di dignità e di
pudore?".

Ci sarà qualcuno che avrà il coraggio di ripetere quella domanda,
nell'Italia della televisione addomesticata e anestetizzata, al capo
dell'esecutivo italiano, al nostro Presidente del Consiglio che festeggiava
la propria miserabile gloriuzza in uno (scandaloso) torneo di pallone mentre
i suoi soldati, i suoi fratelli d'Italia, si battevano per lui, per la
stoltezza dellle sue decisioni di stratega dilettante?

Esiste ancora qualche decenza, qualche comune senso del pudore e del
rispetto umano, nel leader politico nazionale che preferisce dedicare un
pomeriggio al Milan piuttosto che restare in quello studio a Palazzo Chigi
dove noi cittadini lo abbiamo cortesemente inviato a spese e per conto
nostro, per mostrare, per almeno creare l'impressione che le gambe di
soldati italiani impegnati in battaglia siano più importanti delle gambe dei
calciatori miliardari che hanno preso a pedate un pallone per lui?

Sapevamo tutti, domenica pomeriggio che lo scontro di Nassiriya non era un
incidente qualsiasi nè una "operazione di pace" andata storta, come la
grottesca finzione ufficiale ancora pretende di definire la situazione dei
nostri reparti combattenti nel sud dell'Iraq. Eppure la voglia
propagandistica di sfruttare ancora una volta le pailettes di un successo
sportivo, la vanagloria del tifoso e padrone che vuole apparire il
condottiero trionfante di una infantile guerra sportiva vinta mentre è in
corso la disfatta nella guerra reale è stata irresistibille. Non basta
certamente per salvarsi la coscienza essere informati "minuto per minuto"
come se la cronaca di una battaglia fosse l'equivalente di un radiocronaca
calcistica e la vita di soldati spediti con l'inganno fosse assimilabile a
un rigore o a un gol.
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Se a chi ci governa fosse rimasto un briciolo di quel pudore e di quella
dignità che l'avvocato difensore delle vittime dell'inquisizione
maccarthysta non trovò in quell'America tanto lontana e purtroppo tanto
vicina, il solo atteggiamento dignitoso e realmente patri
ottico, anche se ormai inutile, sarebbe stato almeno evitare la festa
dell'idiozia pallonara e rinchiudersi nel riserbo del padre che trema per la
vita dei propri figli. George Bush, che pure del nostro Presidente sarebbe
il maestro di pensiero e il protettore internazionale, ha rinunciato in
questi giorni addirittura a partecipare alla cerimonia della laura delle
figlie, uno dei momenti di maggiore e giusto orgoglio per un padre, per non
creare l'impressione di rallegrarsi per successi privati mentre la famiglia
americana subiva i traumi delle torture, dei rovesci militari e delle morti
atroci degli ostaggi. Il nostro Presidente non ha rinunciato alla festa del
Milan.

I soldati italiani che combattono e muoiono in Iraq sotto la bandiera di una
menzogna sfacciata portano cucito sulla manica uno scudetto tricolore, come
la squadra che vince il campionato, ma per 18 di loro non ci saranno feste
nè premi partita, nè sorrisi compiaciuti e servili di dirigenti tronfi e
ciambellani e giullari convocati alla corte del signore. Per loro, soltanto
le bare, fasciate nel patriottismo falso di chi li ha mandati a morire, ma,
mentre morivano, preferiva "esultare".

La sola coppa possibile, per quelli che restano ancora, sarebbe il ritorno a
casa, da una missione falsa, non sconfitti dal nemico, ma da chi li ha
adoperati come giocatori di quarta serie, come carne da cannone, senza
decenza, senza dignità, senza verità. E ora dovranno subire anche l'ultima
umiliazione della retorica patriottarda e impudente di chi accoglierà la
bara, tra lacrime di coccodrillo e alè olè alè.

(17 maggio 2004)


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Giovanna Caviglione
Istituto Tecnologie Didattiche-CNR
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Costituzione Italiana, Art. 11: L'Italia ripudia la guerra come strumento di
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controversie internazionali [...].
Italy repudiates war [...] as a way of resolution of international
controversies [Art. 11 Constitution of the Italian Republic]