Author: pkrainer Date: Subject: [Cerchio] ecco perché
Se leggiamo i motivi per cui La Repubblica e tutti gli altri giornali e
tutti i partiti spiegano le ragioni di non manifestare, mi pare che i motivi
di manifestare risultino chiarissimi. In particolare vi sottolineo questo
passaggio: "Il messaggio è dunque irricevibile due volte. La prima, perché
pretende di determinare con la violenza la libera politica di un Paese
democratico, il cui governo ha diritto di fare le sue scelte, rispondendo
soltanto alle leggi, al Parlamento e agli elettori." Ora chi é amico della
libertà e per ciò stesso é e non può non essere nemico di tutti governi, di
tutte le leggi, di tutte le elezioni, non può non riconoscere che si é
prodotta un'occasione difficilmente ripetibile: che le ragioni dello stato
si oppongono visibilmente e nel pieno dell'attenzione mondiale, alle
ragiioni della libertà e della vita congiunte, alla ragione stessa. Quale
confronto più immediato? Ogni distinguo in una situazione come questa
verrebbe a collocarsi all'interno di quel panorama politico e di quegli
equilibri che occorre precisamente sabotare e portare al punto di
implosione.
UN MESSAGGIO di morte, e un ricatto all'Italia. Così i tre ostaggi italiani
dopo giorni di silenzio sono ricomparsi sul video di una televisione araba.
Sono vivi, prigionieri inermi filmati dai loro sequestratori per dire con
più forza al nostro Paese che li uccideranno "senza esitazione" se non
ubbidiremo all'ultimo diktat: sostenere la loro causa, sconfessare la
politica "serva" di Berlusconi con una manifestazione per le strade di Roma,
per costringere il governo a ritirare le truppe dall'Iraq.
Quegli uomini prigionieri smarriti, definiti "spie" e "criminali di guerra",
obbligati dalle armi a dire che stanno bene, ricordano l'immagine di Aldo
Moro dopo il sequestro delle Brigate rosse, negli anni peggiori della nostra
vita. Anni che stanno tornando, e ancora una volta nessuno può sentirsi
escluso dalla sfida che ci chiama in causa, tutti.
Oggi il messaggio si rivolge ai pacifisti. A questa Italia di opposizione le
"Falangi verdi" assegnano una precisa responsabilità per la sorte dei tre
prigionieri, dopo l'assassinio di Quattrocchi. È un invito a mobilitarsi in
forme, modi, luoghi e tempi definiti dai terroristi, per chiedere il ritiro
dei soldati italiani e per sostenere la "causa giusta" delle Falangi contro
le "forze del male", in nome delle "leggi celesti" e del "diritto
internazionale".
È un documento primitivo e sofisticato insieme, che con la minaccia della
morte pretende di incidere su un soggetto politico cruciale in ogni Paese
occidentale, l'opinione pubblica democratica. A questo scopo, le "Falangi"
strumentalizzano il peso del pacifismo italiano, tentando di privarlo di
ogni autonomia, per ridurlo a forza di sostegno alla guerriglia irachena.
Il messaggio è dunque irricevibile due volte. La prima, perché pretende di
determinare con la violenza la libera politica di un Paese democratico, il
cui governo ha diritto di fare le sue scelte, rispondendo soltanto alle
leggi, al Parlamento e agli elettori. La seconda, perché pensa di poter
corrompere politicamente il patrimonio generoso e onesto di milioni di
cittadini che si sono mobilitati contro la guerra.
Ancora una volta, come sempre, il terrorismo punta a togliere autonomia alla
politica, sia di governo che d'opposizione, riducendo gli spazi con la sua
minaccia di morte. Per questa ragione, com'è comune la speranza che si
possano usare tutte le strade lecite per liberare i tre ostaggi minacciati,
la ripulsa del ricatto dev'essere comune.
Questa è l'unica via per preservare intatto il ruolo che in Occidente spetta
alla politica e per tenere aperto lo spazio di un confronto democratico
libero e autonomo. Nel quale noi continueremo a chiedere al governo di
abbandonare i proclami imprudenti per avere finalmente l'ambizione di una
vera politica estera: prendendo un'iniziativa nei confronti di Europa e Amer
ica, per costruire una piattaforma comune di responsabilità capace di
convincere Bush a cambiare radicalmente strada nell'inferno dell'Iraq.
Finché siamo ancora in tempo.