E' scontro al Viminale dopo l'annunciata bocciatura della norma sulle
espulsioni coatte degli stranieri. Il viceministro dell'interno non avrà più
voce in capitolo sull'immigrazione. E il presunto decreto correttivo resta
nel cassetto
CI. GU.
ROMA
Sulle questioni dell'immigrazione, e su quel che bisognerà fare una volta
pubblicata la sentenza della Corte costituzionale che boccia l'articolo 13
della Bossi-Fini non dovrebbero decidere né Alleanza nazionale, né la Lega.
Questo pensa quella parte della destra che vive con sempre maggiore
insofferenza le esternazioni infuocate su questo tema, i dati della polizia
usati con troppa libertà, le campagne elettorali fatte a chi la spara più
grossa. E non da oggi. Ieri il ministro dell'interno Pisanu ieri ha rotto
gli indugi, e ha rilasciato una dichiarazione sulle anticipazioni della
Consulta: «Rispetteremo la sentenza della Corte e apporteremo le modifiche
che essa suggerisce, garantendo la continuità e l' efficacia della
Bossi-Fini sull' espulsione degli immigrati clandestini», ha detto,
sostenendo che la legge funziona bene «nel suo complesso», e funzionerà
ancora meglio dopo l'approvazione dei regolamenti «al momento al vaglio del
Consiglio di stato» (che precedentemente aveva ravvisato numerosi problemi).
Nessun commento sulle indiscrizioni che circolano sulla stampa circa il
contenuto del decreto correttivo: ai giudici di pace la competenza di
disporre l'accompagnamento alla frontiera, trasformazione del reato
amministrativo di immigrazione clandestina in delitto, con un innalzamento
della pena. La versione ufficiale rimane che queste sono solo ipotesi e che
non c'è niente di deciso.
Il fatto è che questo modello va benissimo ad Allenaza nazionale (e pure
alla Lega, soprattutto sulla questione del reato di immigrazione
clandestina). Anzi, il sottosegretario all'interno di Alleanza nazionale,
Alfredo Mantovano, ci ha messo del suo. Ma non sarà un caso che Mantovano è
stato improvvisamente esautorato dal compito di supervisionare le questioni
migratorie. Certo non ha mai avuto la delega formale, rimasta orfana dopo le
dimissioni forzate di Taormina, ma è un fatto che per tutti - dai sindacati
alle associazioni - il referente al Viminale era lui. Da qualche tempo non
più: tutto è tornato nelle mani del ministro che ora ha un filo diretto con
il prefetto che guida il Dipartimento delle libertà civili, Anna Maria
D'Ascenzo. Insomma, Pisanu e Mantovano sono ormai in rotta di collissione.
Sul decreto, come sul resto, torna a decidere il ministro.
D'altronde un sottosegretario con la delega alla polizia e pure
all'immigrazione, ha un certo potere. Troppo. Analoga situazione si creò
quando al Viminale c'era Bianco dopo la dipartita di Maritati da
sottosegretario con delega all'immigrazione. Maritati fu sostituito da Di
Nardo ma fu Brutti - che aveva la delega alla polizia - a prendere di fatto
le redini sulle politiche migratorie, con grande irritazione di Bianco.
Erano i primi segnali dello sfaldamento della coalizione di governo. E'
sempre un brutto segno quando al Viminale si bisticcia.
Ma perché questo decreto, che doveva essere approvato il 18 marzo scorso, è
stato rimesso precipitosamente nel cassetto? Evidentemente qualcuno crede a
chi sostiene che tanto la questione dei giudici di pace, quanto
l'introduzione del delitto di immigrazione clandestina sarebbero passibili
di un'ennesima bocciatura da parte della Consulta. E due bocciature di
seguito sugli stessi punti sarebbero un po' troppe. Meglio rimandare, e
aspettare che la Corte emetta la sentenza con relative motivazioni.
Formalmente è un atto di garbo istituzionale, praticamente è un modo per
prendere tempo e per vedere quali margini di manovra assicureranno le
motivazioni della Consulta.
Il governo si trova ad affrontare un vero nodo gordiano. L'ex ministro
diessino Livia Turco, non fa che girare il coltello nella piaga e non perde
occasione per ricordare alla maggioranza che l'unica strada percorribile è
tornare al suo testo di legge. In effetti voler mantenere l'accompagnamento
alla frontiera come provvedimento generalizzato per chi entra illegalmente
in Italia è difficile. La Turco-Napolitano lo prevedeva solo in casi
eccezionali. Né pare che si possa risolvere con il controllo giurisdizionale
affidato ai giudici di pace, che così andrebbero a decidere sulla
restrizione della libertà personale. Giudice di pace può diventare chiunque
abbia una laurea in giurisprudenza e un'abilitazione alla professione
forense. Ancora più spinosa la questione della trasfromazione del reato di
immigrazione clandestina in delitto, «quale sarebbe la lesione del bene
giuridico?», chiede il responsabile immigrazione Ds, Giulio Calvisi. Alle
teste d'uovo della destra l'onere di rispondere.