secolo xix
Cinque indagati per le bombe di Sturla
Un dettaglio nella rivendicazione ha attirato l'attenzione dei pm:
"commissariato di Ps". «Espressione conosciuta da chi ha l'obbligo di firma»
L'esplosivo utilizzato inguaia gli ultras del calcio
Genova Sono cinque gli iscritti nel registro degli indagati per l'attentato
alla caserma di Sturla, nella notte tra il 28 e il 29 marzo. Cinque
sospettati di aver organizzato, o in qualche modo di essere coinvolti nella
fase logistica, dell'agguato alla polizia: le due bombe per uccidere,
esplose in sequenza per attirare in trappola e poi travolgere gli agenti
con la potenza della deflagrazione. E' un'iscrizione, spiegano ora gli
inquirenti, esplorativa: mira, cioè, a realizzare una serie di atti
investigativi nei confronti della "cellula" anarco-insurrezionalista che ha
realizzato l'attentato.
Arriva quindi a una svolta l'inchiesta dei pm Anna Canepa e Andrea Canciani
e della Digos. Inchiesta che fa tesoro della precedente indagine, quella
sulle bombe esplose nei giardini della questura nel dicembre 2002.
Inchiesta che si muove (e la residenza degli indagati lo conferma)
nell'ambito del triangolo tra Genova, Milano e Bologna.
Gli inquirenti hanno indagato su diversi fronti. La lettera di
rivendicazione, spedita al Secolo XIX dopo l'attentato di Sturla. Il tipo
di esplosivo utilizzato dai bombaroli. Ancora, il modus operandi degli
attentatori. Identico a quello utilizzato in altre occasioni, in Italia e
all'estero.
Una svolta all'inchiesta è venuta dall'analisi, per così dire, semantica
del testo della rivendicazione. Un dettaglio ha attirato subito
l'attenzione. Viene utilizzata l'espressione "commissariato di Ps".
Espressione assolutamente corretta, ma certamente di uso non comune,
soprattutto in un linguaggio molto vivace, molto parlato, lontano anni luce
dai documenti politici dei brigatisti, come quello che contraddistingue il
resto del testo.
Da qui è nata una prima ipotesi: tra gli estensori della minacciosa missiva
c'è anche chi conosce bene quel termine, magari perché sottoposto
all'obbligo di firma? Ancora, il tipo di esplosivo usato da chi ha
confezionato i due ordigni di Sturla è lo stesso con cui vengono fabbricati
petardi da stadio.
Ancora una volta, la pista investigativa lambisce ambienti affini alle
frange più estremiste della tifoseria calcistica. Così come è stato anche
per l'inchiesta sugli scontri di strada al G8, per le devastazioni dei
black bloc. Anche in quel caso si fece riferimento (e l'ipotesi è
tutt'altro che abbandonata dai magistrati) a gruppi di ultrà che fecero da
scout, da guide, ai violenti del blocco nero.
Genova. Bologna. Milano. Le tre città che, insieme a Roma, sembrano
rappresentare i fulcri sparsi sul territorio delle azioni degli
insurrezionalisti. Della Brigata 20 luglio, che prende il nome dalla data
della tragedia di piazza Alimonda e della morte di Carlo Giuliani. Ha
firmato entrambi gli attentati contro la polizia genovese. Il primo con la
sola sigla. Il secondo anteponendo l'acronimo Fai, federazione anarchica
informale. Una struttura, «orizzontale e senza capi», che raduna tre
cellule italiane e gli spagnoli della Cinque C, le Cellule contro il
capitale, il carcere, le sue celle e i suoi carcerieri. Ha palesato il
primo segno di coesione nel 2003, con un altro duplice attentato nelle
vicinanze della casa di Romano Prodi a Bologna. In quel caso una lunga
rivendicazione scritta in parte con il normografo, in parte con il
computer, ha rappresentato in qualche modo il documento programmatico degli
anarco-insurrezionalisti.
L'indagine dei pm Canepa e Canciani si muove ora in quell'ambito. Da
Bologna e da Milano sarebbero partiti i "fuochini", gli esperti di
esplosivi che hanno realizzato le due bombe. La prima un ordigno civetta,
per far accorrere le forze dell'ordine. La seconda molto più potente. Per
uccidere.
A Genova l'attentato sarebbe stato predisposto con cura, con una serie di
sopralluoghi, da parte dei basisti locali. Hanno studiato con cura la
disposizione dei cassonetti dell'immondizia, scoprendo che un gruppo di
contenitori era sistemato proprio sul tragitto che le forze dell'ordine
avrebbero percorso per giungere sul luogo della prima esplosione. Hanno
piazzato le due bombe, regolate con un timer, per esplodere a mezz'ora di
distanza. Solo l'esperienza del primo attentato, quello del 2002 alla
questura, ha evitato che si contassero i morti.
Ora le indagini della Procura hanno imboccato una strada che qualcuno
immagina decisiva. Anche se la cautela è ancora sovrana. E si parla, per
ora, solo di iscrizioni sul registro degli indagati "esplorative".
Marco Menduni
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"Eppure il vento soffia ancora...."
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