[Forumlucca] Fw: -Guatemala, la strage a riflett.... Maurizi…

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著者: Gian Paolo Marcucci
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題目: [Forumlucca] Fw: -Guatemala, la strage a riflett.... Maurizio Chierici
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Sent: Sunday, April 18, 2004 1:00 AM
Subject: -Guatemala, la strage a riflett.... Maurizio Chierici


>
>     Vedasi citazione di ENVIO,

>
> --------------------------------------------------------------------------

--
> ---
> Idee per la sinistra
> 16.04.2004
> Guatemala, la strage a riflettori spenti
> di Maurizio Chierici
>
>              Rubo spazio alla guerra dell'Iraq per una non notizia, perché
> ormai non fanno notizia le stragi dove i riflettori restano spenti.

Nessuno
> perde tempo a pubblicarle. 747 ragazzi con meno di 23 anni sono stati

uccisi
> in Guatemala nel 2003. Quasi sempre uno per volta. Corpi lasciati in bella
> vista sui marciapiedi o davanti ai negozi: proibito rimuoverli. Esibizione
> per impaurire. Poi arriva il carro delle immondizie e li porta via.

Nessuno
> chiede chi sono. Guerra segreta delle squadre della morte, scarpe e armi
> della polizia, ed è il motivo che spiega come mai la polizia non abbia mai
> aperto un'inchiesta. Di tanto in tanto qualche comunicato assicura il
> rafforzamento della «pulizia sociale». Casa Alianza, organizzazione legata
> alla chiesa cattolica, prova a farlo sapere a chi difende i diritti umani,
> eppure giornali e Tv mantengono la distrazione. Bisogna capirli. Alla

guerra
> si aggiunge il problema delle foche massacrate in Canada. Certi dolori

hanno
> la precedenza. Se ne riparlerà fra dieci anni, come per il Ruanda. Il
> Guatemala deve restare un posto per vacanze e affari, ma anche corridoio
> della droga che dalla Colombia risale verso Nord. Piccoli aeroporti per
> niente segreti gestiti direttamente dai militari; scali tecnici immersi
> nella foresta.
>             L'intero Centroamerica democratizzato dalle democrazie formali
> imposte dall'amministrazione Reagan-Bush padre, anni Ottanta, è

attraversato
> dalla stessa violenza con radici sempre più robuste nella disgregazione
> sociale. In Honduras i ragazzi stesi dalla polizia sono 2190 negli ultimi
> sei anni. 600 all'anno in Salvador; quasi mille in Nicaragua. Sfogliando i
> giornali delle capitali «dove finalmente sono tornate pace e convivenza
> civile» di quei corpi nessuna traccia. Solo qualche immagine

raccapricciante
> o lo sdegno di una madre raccolto da El Diario de Hoy, in Salvador:

«Davanti
> alla scuola di mio figlio c'è un piccolo giardino. Al mattino i ragazzi

che
> lo attraversano scoprono altri ragazzi distesi sull'erba, insanguinati e
> senza vita. Il municipio di Santa Ana dovrebbe raccogliere i cadaveri
> all'alba per non turbare la sensibilità dei nostri figli. È anche

questione
> di igiene. ». Ricardo Maduro, presidente dell'Honduras, il 3 aprile è

stato
> svegliato dalla telefonata di un giornale. La redazione aveva trovato un
> biglietto che minacciava il presidente, e per dare consistenza
> all'avvertimento, dentro un sacco di plastica, la testa di uno

sconosciuto.
> È la decima testa senza corpo che il presidente riceve dopo aver scartato

la
> «riconquista sociale ed umana delle bande che spadroneggiano nella città»,
> militarizzando la repressione con le squadre senza divisa. Tra i primi
> «messaggi», la testa del figlio. Orrore costruito un po' alla volta dalla
> dottrina la cui fede annunciava l'esportazione della democrazia con la
> minaccia delle armi. Nemico da abbattere negli ultimi anni della guerra
> fredda restava il comunismo. All'improvviso diventavano comunisti vescovi

e
> preti che stavano dalla parte dei senza niente. Le squadre della morte

hanno
> cominciato così.
>             Nel Guatemala indigeno la Chiesa cercava di rafforzare la
> cultura della sopravvivenza senza sconvolgere la cultura che gli indios
> trascinano nei secoli: la proprietà dei terreni attorno ai villaggi

restava
> comune, raccolti divisi con saggezza contadina in contrasto con la
> programmazione dei neoliberisti e l'ingordigia di latifondo,

multinazionali
> e militari. Espropri, privatizzazioni, profughi. I militari guatemaltechi
> sono forza economica di rispetto: due banche, terreni, fabbriche. E la
> dottrina della Sicurezza Nazionale inventata per l' America Latina dalle
> amministrazioni Johnson, Nixon e Reagan, li ha trasformati in protagonisti
> messianici. Il problema era sminuire l'influenza della Chiesa di Roma che

il
> Concilio Vaticano II impegnava dalla parte dei poveri: più o meno

l'ottanta
> per cento della popolazione delle cinque repubbliche delle banane. La
> dottrina Rockfeller pianifica l'esportazione delle chiese protestanti,
> esportazione che la destra religiosa americana estremizza con sette
> pentecostali. Proprio in Guatemala un colpo di stato consacra presidente

il
> generale RiosMontt, primo capo di stato non cattolico nella storia
> dell'America Latina. Un flusso costante di denaro ne rafforza la dittatura
> feroce e la conquista delle sette: oggi i protestanti del Guatemala

sfiorano
> il 40 per cento. Legami stretti con i militari che ne assorbono l'enfasi
> biblica. Le chiese sparse nelle campagne diventano «cappelle del

comandante»
> e i teologi in divisa del «cristianesimo rinato» parlano dell'esercito

come
> di «un padre e madre nello stesso tempo». Cultura talmente radicata da
> condizionare anche i pochi presidenti democratici, come Cerezo,
> socialcristiano, il quale distingueva i militari in «intransigenti» e

«meno
> intransigenti» non osando giudicare massacri «a volte necessari». La non
> intransigenza prevedeva un pentimento postumo. Così in 20 anni sono stati
> uccisi 210 mila contadini.
>             La nuova violenza non insegue l'utopia o le ideologie delle
> guerriglie di vent'anni fa. È il caos che sintetizza lo sradicamento,

dramma
> di una povertà senza uscita, disordine senza ambizioni sociali. Le bande

dei
> ragazzi proclamano «l'autodifesa della controcultura delle minoranze»,
> battaglia per la Raza, memoria Amerinda che l'ammutinamento fortunato

degli
> indios boliviani ha rinvigorito. Ma la copertura é fragile. Si tratta di

una
> violenza importata dagli Stati Uniti.
>             Due milioni e mezzo di salvadoregni, due di nicaraguensi,

quasi
> due milioni di guatemaltechi sono dispersi più o meno clandestinamente tra
> California e Florida. Poche scuole, vita da strada e la strada è

impregnata
> dalla disperazione dei cicanos messicani in eterna lotta con gli

emarginati
> di colore. Ogni etnia segna il proprio territorio, strade o quartieri. E

le
> guerre urbane riempiono le carceri. I ragazzi della terza America finiti

nei
> riformatori o nelle prigioni vengono espulsi appena scontata la pena. E al
> ritorno a casa, nelle province dove sono cresciuti, rifondano le
> organizzazioni Usa nelle quali avevano militato come soldati semplici;
> adesso ne diventano i capi. Il nome ricopia i cattivi maestri messicani:
> maras. Maras Salvatrucha (salva trota) in Honduras, M-18 in Salvador: 36
> mila e 29 mila miliziani, armati con le mitragliette di ogni guerriglia.

Non
> solo nessuno ha mai pensato di aprire un dialogo quando il fenomeno era

solo
> un abbozzo; al contrario, le dottrine liberiste rincaravano

l'emarginazione.
> Scuole private che lo stato finanzia, mentre il disastro degli istituti
> pubblici (aule e ospedali) precipita nella catasrofe. In Honduras il 65

per
> cento delle scuole manca di energia elettrica, il 38 non ha quasi banchi,

e
> i ragazzi si accoccolano per terra. Al 18 per cento manca il tetto. In
> Guatemala dove la medicina delle erbe, tradizione maya, ha più o meno
> guarito per secoli la maggioranza indigena questa medicina è proibita.

Così
> come non possono figurare nelle farmacie i così detti prodotti salva vita

di
> fabbricazione nazionale. Il ministero della sanità autorizza solo i

farmaci
> prodotti con tecnologie straniere. Insomma, multinazionali. Gran parte

della
> popolazione non può permetterselo. Si cura di nascosto, come un secolo fa.
>             Il Nicaragua liberista, e non più sandinista, è stato
> taiwanizzato. «Envio», bollettino mensile centroamericano (in Italia lo
> diffonde Marco Cantarelli), pubblica il diario di una ricercatrice
> universitaria dell'Uca. Si finge operaia, viene assunta in una

maquilladora,
> fabbrica di capitale straniero dove manovalanza locale mette assieme i
> prefabbricati che arrivano da fuori. Questa volta i padroni sono cinesi.
> Cuce, lava e stira camice per 15 ore al giorno: 12 per contratto, 3 per un
> cottimo obbligatorio quando serve. Permesso per andare in bagno, punita se
> mastica un biscotto, caldo da svenire, polveri e solventi micidiali: 1300
> donne chiuse fra i reticolati di ciò che definisce «un campo di
> concentramento». 60 euro al mese, meno le multe che è impossibile non
> prendere. Perquisite con insolenza sotto le sottane mentre, sfinite,

escono
> nella notte. In Salvador una di loro ha scoperto durante il campionato
> mondiale di Calcio giocato a Parigi che la maglietta di Ronaldo offerta al
> mercato dei souvenir, si vendeva 186 volte più cara di quanto aveva
> guadagnato a cucirla.
>             Tanti ragazzi che tornano, tanti ragazzi che non si sono mai
> mossi cominciano a ribellarsi nel nome di una «Raza» che vuol dire vita
> decente e un minimo di dignità.
>             Ma la striscia della terza America per il momento non

inquieta.
> Tv e giornali del mondo libero devono difendersi dall'Islam che non ha
> pietà. E le bande si moltiplicano, dominano le prigioni, rendono insicuro
> ogni passo. Un taxista del Salvador al quale, due anni fa, ho chiesto di
> portarmi a Santa Ana, pochi chilometri dalla capitale, ha voluto sapere
> l'ora del ritorno. Ma la guerra è finita, nessuno è in agguato: provo a
> dire. «Con la guerra si era più sicuri. Bastava cambiare bandiera ad ogni
> posto di blocco. Adesso si muore per niente».
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