[Lecce-sf] Civili in fuga, 450 morti a Falluja

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Autor: Antonella Mangia
Datum:  
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09.04.2004
Civili in fuga, 450 morti a Falluja
di Marina Mastroluca

Fuggono a piedi, portandosi dietro solo le cose più necessarie, un po’ di cibo, dei medicinali. Donne, bambini, famiglie intere lasciano Falluja alla spicciolata, scivolando sui sentieri meno battuti per sfuggire alla morsa che da giorni soffoca la città. Si rifugiano nei villaggi vicini, le truppe Usa li lasciano passare. «Operation iron resolve», determinazione d’acciaio, questo il nome in codice dell’offensiva lanciata nei giorni scorsi dai marines americani per vendicare la morte di quattro civili statunitensi uccisi, letteralmente fatti a pezzi ed esposti su un ponte da una folla inferocita.


Obiettivo dichiarato, l’arresto dei responsabili dell’agguato, «non vogliamo sparare nel mucchio». Ma in meno di una settimana di combattimenti feroci per le strade, i morti iracheni sono stati almeno 450, un migliaio i feriti, stando al direttore del principale ospedale cittadino, il dottor Rafi Hayad. Troppi da mandar giù, anche all’interno del Consiglio di governo iracheno. «È una punizione collettiva inflitta agli abitanti di Falluja», Adnan Pachachi, membro sunnita del Consiglio, gradito dagli americani, non usa mezzi termini. «Consideriamo l’operazione delle forze americane un atto illegale e completamente inaccettabile».

Stretta d’assedio, bombardata dall’alto dagli aerei Usa, le strade ancora piene di cadaveri, Fallujah, uno dei vertici del triangolo sunnita, retroterra di Saddam Hussein, un anno dopo l’arrivo trionfale dei marines americani a Baghdad è diventata un simbolo anche per gli sciiti. Nelle preghiere del venerdì si maledicono i «massacri americani» e si invita a resistere, l’intensità degli scontri sfuma le differenze tra estremisti e radicali.

Giovedì a mezzogiorno l’amministratore americano Paul Bremer ha annunciato una tregua, per consentire ai membri del Consiglio di governo iracheno di incontrare i leader musulmani di Falluja, insieme alle forze della coalizione, avvertendo comunque che le operazioni riprenderanno in caso di fallimento dei colloqui. Si tratta per evacuare le vittime, far affluire gli aiuti, trovare una via d’uscita ai combattimenti. Mohsen Abdel Hamid, membro del Consiglio di governo iracheno che partecipa alla trattativa, non si sbilancia sull’esito ma conferma solo le dimensioni della carneficina.

La tregua, unilaterale in ogni caso e decisa anche per motivi umanitari, per raccogliere i cadaveri e rendere possibile la consegna dei viveri e medicinali mandati dagli ulema di Baghdad alla popolazione civile, resta comunque fragile. Fonti irachene riportate da Al Jazeera segnalano combattimenti ancora in corso per tutta la giornata e diverse fonti Usa, smentendosi tra loro, dichiarano la tregua sospesa appena 90 minuti dopo il suo inizio, poi ancora in vigore.

Da giovedì scorso i caccia americani sorvolano Falluja. Ma l’autostrada per Baghdad, chiusa lunedì dalle truppe Usa per facilitare le operazioni a Falluja, è ancora per un largo tratto in mano a giovanissimi miliziani ribelli. Da Abu Gharib, dove ieri nove persone sono morte in un agguato contro un convoglio americano, sono stati visti partire camion di giovani armati diretti nella città assediata per dar man forte ai ribelli. «Vogliamo tagliare le vie di rifornimento degli americani», spiegano i miliziani che presidiano la strada.
Fare terra bruciata alle spalle delle truppe Usa per dare respiro alla città ribelle.

A Falluja i combattimenti negli ultimi giorni sono stati durissimi. Gli americani hanno concentrato le operazioni soprattutto nella parte orientale della città. Giovedì scorso i marines hanno tentato di penetrare nei quartieri di al Dhubbat e di al Nazal, ma sono stati respinti da un folto gruppo di insorti che hanno usato mortai, razzi anticarro e kalashikov.

Gli americani hanno usato le manieri forti, impartendo ordine alla popolazione di restare nelle case. Dopo quattro giorni di assedio ormai il cibo comincia a scarseggiare, quattro ospedali di fortuna prestano cure altrettanto improvvisate ai moltissimi feriti. «Stiamo assistendo alla liquidazione di un’intera città», afferma davanti alle telecamere di Al Jazeera un membro del Consiglio di governo iracheno, Ghazi Ajil al-Yawar, che minaccia di dimettersi per protesta contro il trattamento inflitto agli abitanti di Falluja.

Il Consiglio nazionale sunnita ha proclamato per sabato una giornata di protesta in tutto l’Iraq per denunciare l’offensiva americana. «In un giorno come questo Baghdad soccombe per mano americana, per questo annunciamo uno sciopero generale: chiudete i negozi, le attività commerciali, le scuole, gli istituti e le istituzioni governative. Avvertiamo tutti che siamo combattenti», c’è scritto su un volantino diffuso ieri a Baghdad dal consiglio degli anziani religiosi. In calce la firma: «La spada di Dio».





http://www.unita.it/index.asp?topic_tipo=&topic_id=33484





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vendicare la morte di quattro civili statunitensi uccisi, letteralmente fatti a pezzi ed esposti su un ponte da una folla inferocita.
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<P>Obiettivo dichiarato, l’arresto dei responsabili dell’agguato, «non vogliamo sparare nel mucchio». Ma in meno di una settimana di combattimenti feroci per le strade, i morti iracheni sono stati almeno 450, un migliaio i feriti, stando al direttore del principale ospedale cittadino, il dottor Rafi Hayad. Troppi da mandar giù, anche all’interno del Consiglio di governo iracheno. «È una punizione collettiva inflitta agli abitanti di Falluja», Adnan Pachachi, membro sunnita del Consiglio, gradito dagli americani, non usa mezzi termini. «Consideriamo l’operazione delle forze americane un atto illegale e completamente inaccettabile».</P>
<P>Stretta d’assedio, bombardata dall’alto dagli aerei Usa, le strade ancora piene di cadaveri, Fallujah, uno dei vertici del triangolo sunnita, retroterra di Saddam Hussein, un anno dopo l’arrivo trionfale dei marines americani a Baghdad è diventata un simbolo anche per gli sciiti. Nelle preghiere del venerdì si maledicono i «massacri americani» e si invita a resistere, l’intensità degli scontri sfuma le differenze tra estremisti e radicali.</P>
<P>Giovedì a mezzogiorno l’amministratore americano Paul Bremer ha annunciato una tregua, per consentire ai membri del Consiglio di governo iracheno di incontrare i leader musulmani di Falluja, insieme alle forze della coalizione, avvertendo comunque che le operazioni riprenderanno in caso di fallimento dei colloqui. Si tratta per evacuare le vittime, far affluire gli aiuti, trovare una via d’uscita ai combattimenti. Mohsen Abdel Hamid, membro del Consiglio di governo iracheno che partecipa alla trattativa, non si sbilancia sull’esito ma conferma solo le dimensioni della carneficina. </P>
<P>La tregua, unilaterale in ogni caso e decisa anche per motivi umanitari, per raccogliere i cadaveri e rendere possibile la consegna dei viveri e medicinali mandati dagli ulema di Baghdad alla popolazione civile, resta comunque fragile. Fonti irachene riportate da Al Jazeera segnalano combattimenti ancora in corso per tutta la giornata e diverse fonti Usa, smentendosi tra loro, dichiarano la tregua sospesa appena 90 minuti dopo il suo inizio, poi ancora in vigore.</P>
<P>Da giovedì scorso i caccia americani sorvolano Falluja. Ma l’autostrada per Baghdad, chiusa lunedì dalle truppe Usa per facilitare le operazioni a Falluja, è ancora per un largo tratto in mano a giovanissimi miliziani ribelli. Da Abu Gharib, dove ieri nove persone sono morte in un agguato contro un convoglio americano, sono stati visti partire camion di giovani armati diretti nella città assediata per dar man forte ai ribelli. «Vogliamo tagliare le vie di rifornimento degli americani», spiegano i miliziani che presidiano la strada.<BR>Fare terra bruciata alle spalle delle truppe Usa per dare respiro alla città ribelle. </P>
<P>A Falluja i combattimenti negli ultimi giorni sono stati durissimi. Gli americani hanno concentrato le operazioni soprattutto nella parte orientale della città. Giovedì scorso i marines hanno tentato di penetrare nei quartieri di al Dhubbat e di al Nazal, ma sono stati respinti da un folto gruppo di insorti che hanno usato mortai, razzi anticarro e kalashikov.</P>
<P>Gli americani hanno usato le manieri forti, impartendo ordine alla popolazione di restare nelle case. Dopo quattro giorni di assedio ormai il cibo comincia a scarseggiare, quattro ospedali di fortuna prestano cure altrettanto improvvisate ai moltissimi feriti. «Stiamo assistendo alla liquidazione di un’intera città», afferma davanti alle telecamere di Al Jazeera un membro del Consiglio di governo iracheno, Ghazi Ajil al-Yawar, che minaccia di dimettersi per protesta contro il trattamento inflitto agli abitanti di Falluja. </P>
<P>Il Consiglio nazionale sunnita ha proclamato per sabato una giornata di protesta in tutto l’Iraq per denunciare l’offensiva americana. «In un giorno come questo Baghdad soccombe per mano americana, per questo annunciamo uno sciopero generale: chiudete i negozi, le attività commerciali, le scuole, gli istituti e le istituzioni governative. Avvertiamo tutti che siamo combattenti», c’è scritto su un volantino diffuso ieri a Baghdad dal consiglio degli anziani religiosi. In calce la firma: «La spada di Dio».</P>
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