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l'ambiente
IL DECLINO ITALIA INVESTE L'AMBIENTE
Aumentano i gas serra, cresce l'abusivismo edilizio, diminuisce la spesa in
innovazione e ricerca, al palo fonti rinnovabili ed efficienza energetica.
Segnali in controtendenza: agricoltura, aree protette e rifiuti
PRESENTATO OGGI IL RAPPORTO AMBIENTE ITALIA 2004 DI LEGAMBIENTE
CON 100 INDICATORI SULLO STATO DI SALUTE DEL PAESE
Della Seta (Presidente Legambiente):
"Ridurre la dipendenza dal petrolio e dalle fonti fossili,
migliorare l'efficienza degli impieghi di energia, dare impulso alla
ricerca,
mettere a frutto il mosaico delle economie e delle identità territoriali"
Il declino Italia passa anche attraverso la crisi della qualità ambientale.
E' un declino che conferma, anche in questo contesto, il ritardo dai Paesi
europei più avanzati e in molti casi, anzi, lo vede crescere.
Lo dicono i numeri. Nel 2001 ad esempio le emissioni lorde di gas
climalteranti nel nostro Paese hanno superato i 545 milioni di tonnellate.
Rispetto ai 508 milioni di tonnellate del 1990 c'è quindi una crescita del
7,3% (il Regno Unito invece ha ridotto le emissioni del 12,4%, la Germania
addirittura del 17,7%) che smentisce seccamente l'obiettivo che l'Italia si
era dato aderendo al protocollo di Kyoto: -6,5%.
Lo dicono le politiche: il condono edilizio prospettato come possibile già
dal 2001 e poi effettivamente trasformato in legge sul finire del 2003 ha
interrotto quel forte processo di riduzione dell'abusivismo che aveva
portato l'illegalità dal 29,5% del 1994 (sanatoria del primo governo
Berlusconi) all'11,9% del 2001. In valore assoluto le costruzioni abusive
sono risalite a circa 31.000 unità, pari a circa 4,2 milioni di metri
quadrati. Complessivamente nel ventennio 1982/1992 sono state edificate 1
milione e 100mila costruzioni abusive, pari al 19% del totale delle nuove
costruzioni realizzate o ristrutturate. E il mattone illegale è una
peculiarità che l'Italia condivide in Europa solo con Grecia e Turchia.
Lo dicono le tendenze. La spesa reale per ricerca e sviluppo in Italia è ai
livelli più bassi dell'area Ocse e circa la metà della media dell'Unione
europea: oggi gli investimenti in "innovazione" rappresentano l'1,11% del
Pil contro l'1,18% del 1992. Anche le imprese, a differenza di quello che
accade nella maggior parte dei Paesi, hanno ridotto del 7% il budget per R&S
rispetto all'inizio degli anni '90. Lo dice l'inefficienza e l'assenza di
competitività in un settore, quello energetico, ormai decisivo da tanti
punti di vista - economico, ambientale, sociale. Con un installato di 800 Mw
a metà 2003 l'Italia è ad esempio il quarto Paese europeo per diffusione
dell'eolico, ben lontano da Germania (12.000 Mw), Spagna (4.000 Mw) e
Danimarca (3.000 Mw). Nel 2002 e nel 2003 l'incertezza creata dagli
orientamenti pubblici hanno scoraggiato gli operatori con un alto numero di
impianti "qualificati" (95 in progetto per una producibilità di oltre 7.200
GWh, pari a 5 volte la produzione attuale), ma un basso numero di
realizzazioni effettive (negli ultimi 18 mesi meno della metà del 2001).
E tutto questo lo dice Ambiente Italia 2004, la quindicesima edizione del
rapporto di Legambiente curato dall'Istituto di Ricerche Ambiente Italia
(Edizioni Ambiente, 202 pagine, 19,80 euro, già disponibile in libreria),
che presenta quest'anno - oltre alla consueta rassegna dello stato dell'
ambiente in Italia e nel mondo - un ampio capitolo sul Mediterraneo, anch'
esso alle prese con le sfide della globalizzazione. Il rapporto è stato
presentato oggi a Roma in una conferenza stampa cui hanno partecipato il
presidente nazionale di Legambiente Roberto Della Seta e il curatore della
ricerca Duccio Bianchi, direttore dell'Istituto Ambiente Italia.
"L'Italia nel suo complesso in un solo anno, dal 2002 al 2003, è passata dal
33° al 41° posto nella classifica della competitività - ha sottolineato
Della Seta - è tempo di capire che per competere nel mondo che si globalizza
serve molto di più sviluppare l'energia del vento e quella del sole che non
rincorrere la precarizzazione del lavoro, è mille volte più utile
modernizzare e potenziare la rete ferroviaria che non cementificare con
nuove autostrade ciò che resta del Bel Paese. Come una medaglia a più facce,
il rischio-declino che corre l'Italia si può leggere infatti con diverse
lenti d'ingrandimento. Tre delle più calzanti sono quelle che riguardano gli
standard ambientali, tecnologici, sociali. Lenti che mostrano un'analoga
realtà di ritardo, immobilismo, perdita di velocità. E del resto non è un
caso: basta osservare la realtà dei Paesi più avanzati per vedere che la
qualità ambientale migliora dove crescono parallelamente tanto la qualità
tecnologica che quella sociale. E resta ferma oppure arretra, invece, nei
Paesi dove gli altri due parametri non danno segni di dinamismo (come
appunto l'Italia) ma anche in quelli con uno sviluppo tecnologico accelerato
ma con standard sociali molto meno brillanti (come gli Stati Uniti o come,
in altre condizioni, i Paesi emergenti dell'estremo oriente)".
Pescando tra i 100 indicatori di Ambiente Italia 2004 si evince una mancanza
di strategia nelle scelte del nostro Paese, in ambiti pure strategici, e una
sorta di stanchezza che coinvolge settori diversi. Prendiamo il caso della
mobilità delle merci: nel corso di questo decennio si è consolidato il
dominio del trasporto su gomma (è il 73% del totale, incluso il trasporto
per oleodotto), mentre è rimasto stazionario il trasporto su rotaia (che ha
quindi ridotto il proprio peso e ora è al 7%), mentre il cabotaggio ha
mantenuto la propria quota del 15%. Su gomma (all'inizio del 2000) si
spostano 4230 t/km/ab su 5588 (Germania 4226 su 6163 Regno Unito 2647 su
4102 Spagna 2977 su 4294). Eppure proprio il trasporto merci su ferro è
quello che appare più penalizzato dagli investimenti infrastrutturali.
Altro campo critico, quello dell'energia, che ha messo in luce tutte le sue
falle con i black out della scorsa estate. Se agli inizi degli anni '80 l'
Italia sotto la pressione di alti prezzi petroliferi e di una tassazione
elevata delle benzine aveva conseguito buone prestazioni energetiche oggi la
situazione è radicalmente cambiata. Con un sistema industriale povero delle
classiche industrie energivore (siderurgico, chimico) e soprattutto con un
vantaggio climatico oggi l'Italia ha una intensità energetica appena nella
media europea, ha visto crescere il suo distacco dai Paesi leader (53% di
energia per unità di reddito in più della Danimarca), ha ridotto la sua
intensità energetica del 12% in venti anni mentre Paesi come la Gran
Bretagna e l'Irlanda (oggi più efficiente dell'Italia) hanno ridotto di
oltre il 30% i propri consumi per unità di reddito. Eppure l'efficienza
energetica resta una grande risorsa energetica virtuale. Con un potenziale
fattibile di risparmio nell'ordine del 30% dei consumi finali e un
potenziale teorico di 140-150 TWh nel settore elettrico solo l'aumento dell'
efficienza basterebbe a stabilizzare la domanda di elettricità per il 2010
ai livelli di metà degli anni '90.
Il declino riguarda poi anche le politiche di welfare interno ed esterno.
Gli aiuti allo sviluppo, che rappresentavano lo 0,31% del Pil nel 1990 oggi
sono più che dimezzati (0,15%). La spesa sociale nel 2000 rappresenta il 25%
del Pil (la media Ue è del 27,3%). E questo elenco potrebbe continuare
esaminando i dati dell'occupazione femminile o quelli della crescita
demografica.
Come detto l'approfondimento di Ambiente Italia 2004 di Legambiente è
dedicato alla globalizzazione letta attraverso il caso Mediterraneo, tema su
cui dibattono anche Wolfgang Sachs del Wuppertal Institut e il politologo
Benjamin Barber. Il mondo mediterraneo partecipa in pieno ai processi di
globalizzazione, e ne condivide tutte le contraddizioni e gli aspetti
peggiori. Distanze sociali ed economiche che si accrescono, diversità
ambientali e climatiche che tendono ad assottigliarsi, progressiva
omologazione ad un modello economico ad alto impatto ambientale, differenze
culturali che rischiano di perdersi. Eppure proprio il Mediterraneo, le sue
sponde così vicine, possono diventare - cerca di dimostrare il rapporto di
Legambiente - il laboratorio di una diversa globalizzazione che promuova lo
scambio ma non omologhi, che affronti alla radice i grandi nodi sociali e
ambientali rappresentati dalla povertà e dal mutamento climatico.
Torniamo però all'Italia. E torniamo a quegli indicatori che consentono
anche di cogliere alcuni aspetti positivi in questa generale situazione di
stallo. Nel 2002 sono ad esempio coltivati biologicamente ben 746.510 ettari
del nostro territorio (complessivamente circa 246.000 in più rispetto al
2000). Le aree protette rappresentano ormai il 10% del territorio nazionale.
In 5 anni, nel campo dei rifiuti, il trattamento e il recupero da raccolta
differenziata sono passati insieme dal 22,2% al 47%.
"Questa conferma di un rischio declino a 360 gradi del nostro Paese si
accompagna, fortunatamente, con alcuni fenomeni in controtendenza - commenta
ancora Della Seta - In Italia, infatti, mentre le politiche per l'ambiente
segnano il passo, si percepiscono con chiarezza fermenti positivi nella
società e nell'economia, fermenti nei quali si affiancano le dimensioni
ambientale, tecnologica, sociale. Dal boom dei prodotti biologici e tipici,
alla crescita del commercio equo e solidale, dall'aumento della raccolta
differenziata dei rifiuti, al consolidamento del sistema delle aree
protette, dalla capacità dei parchi di proporsi come laboratorio di economie
sostenibili, all'interesse verso la "piccola grande italia", dei comuni
minori, dove si concentra tanta parte delle nostre ricchezze più originali.
Insomma, l'Italia non è solo decadenza, anche se il deficit generale di
politiche di governo innovative minaccia di vanificare anche i progressi più
promettenti".
Alcuni dati sintetici di Ambiente Italia 2004 di Legambiente - mondo
830 milioni di persone denutrite.
Su scala mondiale 830 milioni di persone (quasi 100 milioni in meno che agli
inizi degli anni '80, ma almeno 25 in più della metà degli anni '90) sono in
condizione di denutrizione. Nell'intero continente africano (con l'eccezione
di alcuni stati dell'Africa occidentale), nel Medio Oriente e in misura meno
accentuata nei Paesi del centro e Sud America il numero di persone in stato
di denutrizione - sebbene diminuito in termini percentuali - è aumentato in
valore assoluto rispetto agli anni '80.
780 miliardi di dollari per la guerra.
La spesa militare dopo il declino registrato nella prima metà degli anni '90
(particolarmente concentrato negli Usa e nll'ex Urss) sta conoscendo una
nuova ascesa dalla fine degli anni '90. Nel 2002 la spesa militare mondiale
è cresciuta del 6% rispetto all'anno precedente, superando i 780 miliardi di
dollari, pari a circa il 2,5% del Pil mondiale. La crescita è stata trainata
in particolare dagli Usa (335 miliardi di dollari, pari al 43% della spesa
totale 2002).
52,3 miliardi di dollari di aiuti per lo sviluppo.
Nel 2001 gli aiuti internazionali ufficiali sono rimasti sostanzialmente gli
stessi erogati nel 2000. In moneta corrente tra il 1990 e il 2001 gli aiuti
ai Paesi in via di sviluppo sono addirittura scesi da 54,8 miliardi di
dollari a 52,3 miliardi di dollari, passando dallo 0,33% allo 0,22% del Pil
dei Paesi donatori. L'Italia è il Paese europeo che stanzia la minor quota
di risorse per gli aiuti: nel 2001 lo 0,15% del Pil a fronte dello 0,31% del
1990.
42 milioni di sieropositivi.
Nel 2002 le persone sieropositive erano quasi 42 milioni, 12 milioni in più
rispetto al 1997. Nel 2002 si sono registrati oltre 5 milioni di nuovi casi
di HIV e 3,1 milioni di decessi per Aids rispetto ai 2,8 milioni del 2001.
1 medico ogni 10mila abitanti.
La disponibilità di personale medico in Africa è nell'ordine di 1 medico
ogni 10.000 abitanti e nel sud dell'Asia di 1 ogni 2.500 abitanti. In Italia
questo rapporto è di 1 ogni 150 persone, mentre la media dei Paesi
sviluppati è di 1 ogni 300 persone.
+15,7% consumi energetici globali in un decennio.
Nel 2001 i consumi energetici globali sono cresciuti dell'1,6%. Rispetto al
1991 la crescita assomma al 15,7%. L'incremento dei consumi è molto marcato
nei Paesi asiatici (+44% rispetto al 1991, più che raddoppiati rispetto al
1980), ma è rilevante anche nel Nord America (+15% nell'ultimo decennio). Su
scala mondiale l'aumento dei consumi è stato attenuato dalla crisi dei Paesi
dell'Europa centro-orientale che hanno conosciuto nell'ultimo decennio una
contrazione drammatica (-26%).
-17% intensità energetica globale in un decennio.
L'Intensità energetica - che rappresenta la quantità di energia consumata
per la produzione di una unità di prodotto nazionale lordo - è diminuita su
scala mondiale nell'ultimo decennio (-17% tra il 1990 e il 2001) soprattutto
per effetto della maggiore efficienza conseguita nei Paesi asiatici (-19%) e
nell'Europa orientale (-33%, escludendo l'ex Urss). Ci sono alcune
eccezioni. La più eclatante è quella dell'Italia, con una intensità
energetica ormai stabile da un decennio e che oggi vanta livelli d'
efficienza appena nella media europea e ben inferiori a Paesi più
svantaggiati sotto il profilo climatico come l'Austria o la Germania.
30.000 Mw di eolico nel mondo.
La potenza eolica installata nel mondo è cresciuta costantemente e ben oltre
ogni previsone. Nel 2002 con 30.000 Mw installati è più che raddoppiata
rispetto al 2000 e quintuplicata rispetto al 1996. Lo sviluppo dell'energia
eolica si è concentrato soprattutto nei Paesi europei e in particolare in
Germania (oltre 12.000 Mw), in Spagna e in Danimarca (dove copre
rispettivamente il 3% e il 12% dei fabbisogni elettrici). In Italia la
crescita ha seguito il trend mondiale, ma è rallentata nel 2002 e nel 2003
(800 Mw totali a giugno). Le prospettive di sviluppo dell'energia eolica nel
mondo sono eccellenti e al 2012 oscillano tra il 2% e il 12% della domanda
mondiale di energia (oggi è pari allo 0,4%). La Spagna prevede di triplicare
al 2011 la sua potenzialità, la Germania prevede di coprire nel 2025 il 25%
del suo fabbisogno elettrico e la Danimarca il 50%. In Italia, al maggio
2003, sono già stati qualificati e sono in progetto 95 nuovi impianti eolici
per una producibilità di oltre 7.2000 Gwh, pari a 5 volte la produzione
attuale.
-2,5% emissioni di gas serra in Europa.
Tra il 1990 e il 2001 le emissioni nette sono diminuite in Europa del 2,5%,
principalmente per effetto della sostituzione del carbone e della migliore
efficienza ottenuta in Germania e nel Regno Unito. Ma nella quasi totalità
dei Paesi industrializzati si registra una crescita. L'incremento più
rilevante, tra il 1990 e il 2001, si rileva negli Stati Uniti, dove le
emissioni sono cresciute di oltre il 20%: solo le emissioni aggiuntive degli
Usa sono addirittura superiori al totale delle emissioni della Germania.
-90.000 Km2 annui di superficie forestale.
La velocità di deforestazione e di conversione delle foreste naturali in
piantagioni non accenna a diminuire. Il decennio 1990-2000 ha visto
scomparire lo 0,2% annuo della superficie forestale del pianeta, pari a
circa 90.000 Km2 annui, tre volte la superficie dell'Italia. Le aree più
colpite sono l'Africa sub-sahariana (0,8% annuo) e l'America latina (0,5%
annuo).
300 catastrofi "naturali" e antropiche in un anno.
Secondo i criteri di Swiss Re nel 2002 si sono verificati 300 eventi
catastrofici tra naturali e antropici - definiti come eventi che superano
una certa soglia di danno in termini di vite umane (almeno 20 morti) o di
valore economico - che hanno provocato la morte di 24mila persone e un danno
economico di 40 miliardi di dollari. Le catastrofi naturali che incidono
maggiormente per numero di vittime sono legate ad alluvioni, tempeste e
terremoti. Mentre le catastrofi antropiche sono dovute per lo più a incendi,
incidenti aerei e spaziali.