R: [NuovoLaboratorio] genova e il passticcio dell'Istituto I…

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Szerző: MAANU
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Tárgy: R: [NuovoLaboratorio] genova e il passticcio dell'Istituto Italiano di Tecnologia
Ciao,

scusate, e il Centro Basaglia dove lo mette Biasotti?
opera in forma eccellente da anni con servizi e attività per i cittadini a
prezzi "politici"
come al solito il Secolo ha dedicato mezzo rigo solo nominando il centro
dove finisce il Basaglia?
mi risulta, tra l'altro, che l'edificio "ex manicomio" dovrebbe essere
vincolato a finalità psichiatriche..
chi sa qualcosa?
grazie
Manuela


----- Original Message -----
From: Andrea Agostini <lonanoda@???>
To: ECONOMIA <economia@???>
Cc: <forumgenova@???>; Ambiente Liguria
<ambiente_liguria@???>
Sent: Wednesday, February 25, 2004 7:04 AM
Subject: [NuovoLaboratorio] genova e il passticcio dell'Istituto Italiano di
Tecnologia


> dal manifesto - 22 Febbraio 2004
>
>
> Quel pasticciaccio che si chiamerà Iit
> FRANCO CARLINI
>
> Quel pasticciaccio che si chiamerà Iit
>
> Nasce a Genova il nuovo mostro pensato dai ministri Tremonti e Moratti, un
> laboratorio dal nome impronunciabile che vuole scimmiottare il glorioso

Mit
> di Boston. Mentre l'università italiana è in rivolta a causa dei tagli del
> governo e per la precarizzazione del lavoro, sui laboratori liguri pioverà
> oltre un miliardo di euro. Per fare «ricerca applicata», tutta a favore

del
> mercato e delle industrie
>
> Baroni in crescita Il veloce spostamento di risorse rimescola la
> costellazione dei potentati universitari. In corsa per allinearsi al

governo
>
> FRANCO CARLINI
>
> Decenni di studi sul rapporto tra scienza e società banalizzati in una
> semplice figurina che vorrebbe rappresentare la filiera della ricerca.

Sono
> cinque frecce, disegnate alla maniera della solita catena del valore: si
> comincia con la «ricerca di base», che produce «scoperte», le quali

vengono
> prese in consegna dalla «ricerca applicata», generatrice di «brevetti».
> Questi alimentano un qualche «sviluppo sperimentale» che crea i «prodotti»

e
> infine, grazie alla «ricerca e sviluppo d'impresa», vanno al «mercato».

Tale
> idea lineare, irrealistica e ignorante del rapporto tra la ricerca
> fondamentale, l'innovazione e la società, compare sul sito dell'Istituto
> Italiano di Tecnologia (www.iit.it), che nascerà a Genova per decisione

dei
> ministri Tremonti e Brichetto-Moratti, tra gli applausi trasversali di

tutto
> lo schieramento politico genovese, ovviamente assai grato per il regalo di
> 1050 milioni di euro in dieci anni. (L'acronimo IIT è talmente
> impronunciabile che ci permetteremo di sostituirlo con I2T).
>
> Il giorno dopo invece all'università di Roma si riunivano ricercatori veri

e
> professori esistenti, per segnalare tutto il loro disappunto verso una
> riforma dell'università che nulla fa per la ricerca e che anzi la deprime.
> In precedenza il volonteroso professor De Maio, nei mesi scorsi proiettato
> da Brichetto-Moratti a commissario del Consiglio Nazionale delle Ricerche,
> si era messo metaforicamente ma pubblicamente le mani nei capelli per la
> pensata governativa di creare dal nulla un Mit italico, anziché

concentrare
> risorse e impegni su Cnr e università, già così malconci.
>
> Del resto le cose non sono mai andate così nella scienza, nella

tecnologia,
> e nel mercato, e la linearità del percorso è solo una leggenda: ci sono
> scoperte che non sono mai divenute prodotto, anche quando l'avrebbero
> meritato, ci sono prodotti insensati, creati per moda e senza alcuna vera
> utilità pratica né sociale, ci sono interi settori della ricerca per i

quali
> mancano i finanziamenti perché il virtuoso mercato non li reputa degni di
> attenzione. E per fortuna che ogni tanto c'è qualche miliardario
> lungimirante che dirotta parte dei suoi larghi profitti verso ricerche
> fondamentali da tutti trascurate: è il caso dunque, almeno per una volta,

di
> applaudire Bill Gates che attraverso la sua fondazione ha appena destinato
> 82,9 milioni di dollari alla ricerca sulla tubercolosi, una malattia di
> nuovo risorgente che ogni hanno uccide due milioni di persone.
>
> La scelta del governo ha anche un risvolto elettorale, a supporto di un
> presidente forzista della regione Liguria, Sandro Biasotti, la cui
> riconferma è assai dubbia e che perciò sta molto investendo in
> presenzialismo in questo suo ultimo anno di gestione. Ma non è questo
> l'elemento più significativo; più interessante semmai (e nel senso

negativo
> del termine) è l'idea di ricerca e sviluppo che il progetto delinea. Esso

è
> generico, confuso e insieme velleitario negli obbiettivi.
>
> Generico: si parla di «Facilitare e accelerare la crescita, nel sistema
> della ricerca nazionale, di capacità scientifiche e tecnologiche. Con
> l'obbiettivo di realizzare la transizione del sistema economico verso
> produzioni a più alto contenuto tecnologico e quello di incentivare e
> promuovere la collaborazione tra gruppi di eccellenza che operano nelle
> università e nei centri pubblici di ricerca e il sistema produttivo del
> paese». Chi potrebbe obbiettare a formulazioni così vaste e così ovvie,
> addirittura di sapore costituzionale, come la crescita e la condivisione

dei
> saperi e lo sviluppo dell'economia sulle frontiere avanzate? Nessuno
> ovviamente, e dunque questa formulazione nulla dice; lascia solo il dubbio
> del perché quei compiti nobili non debbano essere richiesti appunto a
> università e istituti pubblici che li hanno già scritti chiaramente nei

loro
> statuti. Il ministro Tremonti ha spiegato al riguardo che si trattava di
> introdurre un elemento di forte discontinuità, una scossa insomma,

rispetto
> a un sistema della ricerca ingessato e burocratizzato. Come a dire che
> quando le riforme vere e pazienti si rivelano faticose, sia meglio
> realizzare degli spiazzamenti, fidando che essi abbiano l'effetto di
> contagiare positivamente il resto del sistema. Se poi hanno anche un

effetto
> mediatico, tanto meglio.
>
> Andrà ricordato, di passaggio, che la riforma del Cnr, nei mesi scorsi

così
> contestata, ha realizzato il piccolo capolavoro negativo di ricondurre

sotto
> il governo e i baroni ad esso più fedeli un ente di ricerca come

l'Istituto
> Nazionale di Fisica della Materia che negli anni già aveva progettato e
> praticato molte di quelle ricerche di eccellenza nelle materie di base e
> nelle applicazioni che oggi si vuole affidare all'I2T. L'Infm aveva anche
> realizzato un sistema agile di programmazione e gestione, un modello di
> ricerca insieme seria e proiettata. Dunque questo governo schizofrenico

con
> una mano smonta e con l'altra improvvisa.
>
> Ma nel concreto come funzionerà l'I2T genovese? Due anni di lancio,

gestiti
> da un commissario e da un comitato scientifico (ovviamente un «board»,

tanto
> per essere provinciali fino in fondo). A regime si parla di 1000-1500
> ricercatori direttamente alle dipendenze dell'Istituto e qui i conti
> cominciano a vacillare perché un tale numero si mangia subito la metà

almeno
> dei 100 milioni annui di finanziamento. I ricercatori italiani o stranieri
> che vengano in Italia a operare all'I2T avranno comunque il gradevole
> incentivo di essere gravati di tasse solo per il 10 per cento, senza dover
> praticare l'autoriduzione «moralmente giustificata» da Berlusconi.

Tremonti
> dice che spera nel cofinanziamento da parte delle industrie interessate

alla
> ricerca, ma questa sembra una discreta illusione; più realisticamente le
> industrie si stanno già mettendo in coda per farsi finanziare dall'I2T.
>
> Ma quali i filoni di ricerca? Due sono quelli annunciati: «Sistemi di
> produzione» e «Salute-Biotecnologie», solo lontanamente parenti. Il primo
> sembra alludere all'innovazione di processo, che peraltro è l'unico

settore
> in cui l'industria italiana negli anni scorsi ha fatto decentemente la sua
> parte, dai robot alle macchine utensili. Il testo ministeriale accenna al
> fatto che in questo modo si incentivano «le esportazioni italiane di
> prodotti di alta tecnologia e del made in Italy», e purtroppo anche in
> questo caso l'empito propagandistico di Brichetto-Moratti-Tremonti, ha il
> solo effetto di generare confusione: parliamo di prodotti a altro

contenuto
> tecnologico, magari fatti con nuovi materiali? Allora i «sistemi di
> produzione» non c'entrano. Parliamo di Made in Italy nel design, nella

moda
> e nell'alimentazione? Allora contano le idee creative e molto meno le
> tecnologie.
>
> Il settore della salute e delle biotecnologie, ci spiegano i ministri, «è

in
> forte espansione perché in esso si registrano forti avanzamenti nelle
> conoscenze», il che è tanto vero da essere un'affermazione vacua, così

come
> è vero, peraltro, che università, laboratori del Cnr e lo stesso Istituto
> superiore di Sanità offrono già diversi luoghi di alta qualità: meno del
> dovuto, probabilmente, ma validi. E' auspicabile che il Comitato

Scientifico
> (pardòn, il board internazionale) riesca a mettere un po' di ordine e ad
> assegnare qualche obbiettivo non generico alle ricerche in questo settore.
> Si vedrà tra due anni, ma dovrebbe essere chiaro fin d'ora che sotto

quella
> etichetta non può andare tutto, se l'azione vuole essere efficace: nuovi
> farmaci? nuovi kit diagnostici? E con quale gestione della proprietà
> intellettuale? Lo stato paga e l'industria brevetta? Per ora siamo alla
> propaganda allo stato puro, purtroppo coperta da firme illustri come Rita
> Levi-Montalcini.
>
> Università a premi
> Europa, fondi governativi solo ai più bravi
>
> F. C.
>
> Tutti vogliono la ricerca potenziata, ultimi in ordine di tempo i tre

paesi
> del direttorio europeo, Francia, Germania, Inghilterra. Ma sul come,

ognuno
> va sperimentando soluzioni diverse, avendo come modello-miraggio i grandi
> istituti di ricerca americani, tipo Stanford, Princeton e Harvard. La
> ministra tedesca per la scienza, Edelgard Bulmahn, in un recente incontro

a
> Berlino ha proposto una specie di gara tra le più di 100 università del
> paese per accedere a dei fondi extra: le cinque università vincenti

avranno
> 50 milioni di euro annui in più. L'investimento totale del governo

federale
> sarà di 1,25 miliardi di euro che potrebbero essere ottenuti vendendo

parte
> delle riserve auree della Banca centrale tedesca. In sostanza ogni
> università che voglia competere dovrà presentare un piano per il
> miglioramento sia della ricerca che dell'insegnamento. Tra i partecipanti
> all'incontro di Berlino c'erano anche il premio Nobel per la fisica

Störmer
> della Columbia University e il cancelliere Gerhard Schröder. «Abbiamo un
> urgente bisogno di più fondi per la ricerca, ma dobbiamo anche ottenere
> maggiore qualità dai nostri soldi», ha detto la ministra.
>
> Una gara analoga era stata effettuata in Germania nel 1996, con lo scopo

di
> promuovere le ricerche sulle biotecnologie. Si chiamava «Bioregio» e a
> partecipare erano state chiamate appunto le singole regioni, sollecitate a
> presentare dei progetti di ricerca avanzata. Il bilancio è stato

abbastanza
> soddisfacente e la mappa dei «biopark» nati per l'occasione è visibile
> sull'apposito sito http://www.bioregio.com.
>
> In Inghilterra in queste settimane viene rivisitato un precedente progetto
> chiamato «Research Assessment Exercise». Si tratta di valutare in maniera

il
> più possibile oggettiva le prestazioni di ricerca delle singole un
> università e sulla base di tali graduatorie distribuire 8 miliardi di
> sterline annuali. Nella precedente versione il sistema aveva ricevuto

molte
> critiche perché i criteri di distribuzione premiale non erano
> sufficientemente condivisi e nemmeno trasparenti. Basti dire che il
> Consiglio preposto alla distribuzione non aveva voluto rendere pubbliche

le
> formule sulla cui base le somme erano state distribuite.
>
>
>
> Da l'Unità del 24.02.2004
>
> Ricerca tre passi nel buio
> di Pietro Greco
>
> Letizia Moratti, ministro dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca,
> ha presentato di recente il disegno di legge delega sul «Riordino dello
> stato giuridico e del reclutamento dei professori universitari». Giulio
> Tremonti, ministro dell'Economia, ha firmato nei giorni scorsi a Genova,
> insieme alla stessa Letizia Moratti, il decreto che inaugura l'Istituto
> Italiano di Tecnologia (Iit) immediatamente commissariato e affidato alla
> direzione del Ragioniere generale dello Stato, Vittorio Grilli. Adriano De
> Maio, Rettore dell'università privata Luiss e Commissario del massimo Ente
> pubblico di ricerca italiano, il Cnr, ha inviato nei giorni scorsi ai
> direttori degli oltre cento istituti del Consiglio Nazionale delle

Ricerche
> l'atteso documento in cui prefigura la sua proposta di riordino della
> struttura fondata da Vito Volterra e guidata, tra gli altri, da Guglielmo
> Marconi.
> Così, per caso, in pochi giorni e tra mille contestazioni ci sono stati
> offerti, finalmente, un numero di elementi sufficienti per capire in che
> direzione sta andando la ricerca scientifica italiana sotto il governo
> Berlusconi.
> Cominciamo dall'università. Quello proposto dal Ministro del Miur, signora
> Moratti, è un riordino a costo zero. Eppure capace, come rileva Giulio
> Baillo, Rettore del Politecnico di Milano, di minare alla base addirittura
> «il ruolo e la missione dell'università». Dell'università pubblica,
> aggiungiamo noi. Per i motivi che sono ampiamente denunciati in questi
> giorni da professori e studenti, mai così uniti nella lotta. La
> precarizzazione (brutto termine per una bruttissima prospettiva) della
> carriera universitaria e la liceizzazione (brutto termine per una
> prospettiva addirittura medievale) degli atenei pubblici, destinati -
> proprio come succedeva nelle università del Tardo Medioevo - a produrre
> didattica senza ricerca. Se questa riforma verrà attuata, la qualità dell'
> università italiana pubblica scadrà a livelli bassissimi. Tanto da

svuotare
> di senso sia il concetto di "università di massa" (ovvero aperta a tutti,
> ricchi e poveri) sia quello di "università motore delle produzione di

nuove
> conoscenze" che, da almeno due secoli a questa parte, costituisce il
> fondamento dell'organizzazione scientifica e culturale in tutto il mondo.
> Come sostiene Baillo, il «ruolo e la missione dell'università» saranno
> stravolti. Con quali conseguenze? Con tre conseguenze prevedibili. La
> migrazione (verso l'estero, verso università private italiane tutte da
> costruire) degli studenti più abbienti e dei professori più richiesti. Il
> parcheggio per qualche anno dei giovani meno abbienti che restano a

studiare
> nell'università-liceo in attesa di un lavoro qualificato che non verrà

mai.
> Quella di prosciugare la gran parte della ricerca scientifica di base del
> nostro paese (piccola, ma spesso di qualità) e di prosciugare, quindi, la
> stessa cultura della ricerca in un periodo in cui, ironia della sorta, nel
> mondo occidentale sta nascendo la "società della conoscenza". Poiché -
> Giappone docet - non c'è sviluppo duraturo senza ricerca pubblica di base,
> la direzione verso la quale punta con decisione la riforma delle

università
> è tanto chiara quanto paradossale: portare l'Italia fuori dalla "società
> della conoscenza".
> La medesima direzione verso cui sembra puntare la costituzione, a Genova,
> dell'Istituto Italiano della Tecnologia per volontà del ministro dell'
> Economia Giulio Tremonti. La firma, in pompa magna, del decreto istitutivo
> dell'Iit ha infatti iniziato a rendere più chiara la sua fumosa

fisionomia.
> L'istituto che in Italia dovrebbe rinverdire le gesta del mitico Mit di
> Boston sarà diretto, unico esempio in Occidente, dal Ragioniere generale
> dello Stato. E, probabilmente, non si fonderà sul lavoro di centinaia di
> scienziati impegnati a realizzare precisi programmi di ricerca, ma su

pochi
> amministrativi (si parla di una decina) impegnati a distribuire risorse,
> cospicue per l'Italia, senza un progetto scientifico. L'impressione è che

l'
> Iit finirà per diventare un'agenzia e per dispensare i suoi fondi a

pioggia
> ad aziende private italiane prive di una vocazione per l'innovazione

fondata
> sulla ricerca. Quei fondi, peraltro, non sono pochi nel panorama
> tecnoscientifico italiano e vengono sottratti alla ricerca pubblica.

Ancora
> una volta il messaggio è chiaro: meno soldi al pubblico, più soldi
> (pubblici) al privato. Con questo tipo di approccio il sistema produttivo
> italiano non riuscirà mai a entrare in quel settore decisivo della
> competizione economica internazionale che è l'alta tecnologia.
> Veniamo, infine, al progetto di riordino del Cnr che il commissario
> governativo Adriano De Maio ha trasmesso nei giorni scorsi ai direttori d'
> Istituto del Cnr. Non entreremo nei dettagli. Diremo subito che il

progetto
> De Maio, che peraltro è ancora in corso, non segue, per fortuna, le
> direttive del Ministro Moratti. Che il commissario ha adottato un metodo
> abbastanza partecipativo, coinvolgendo le strutture del Cnr. Che il suo
> progetto ha una sua filosofia interna ben definita e coerente. Anche se la
> sua filosofia - trasformare il Cnr in un Ente di ricerca con una

fortissima
> vocazione all'applicazione tecnologica - non è quella della gran parte dei
> ricercatori dell'Ente e, per quel che conta, neppure la nostra.
> In definitiva, a parte una certa analisi ingenerosa nei confronti dei
> presidenti che l'hanno preceduto, Adriano De Maio conferma la sua nota
> abilità e propone un progetto di riordino piuttosto radicale, ma

logicamente
> fondato. Con un difetto, però. Non c'è alcuna indicazione dei costi. E non

c
> 'è alcuna indicazione perché Adriano De Maio sa che i soldi di cui avrebbe
> bisogno non ci sono. Che il nostro governo, quando si tratta di riformare

le
> strutture pubbliche, lesina i quattrini. Annuncia nozze mettendo a
> disposizione solo fichi secchi. Ma le riforme strutturali, come le nozze,
> non si fanno con i fichi secchi. Lo riconosce lo stesso De Maio: «Questa
> struttura regge soltanto se esiste un sistema pluriennale di

finanziamento».
> Sistema pluriennale di finanziamento su cui il nostro massimo Ente

pubblico
> di ricerca, il Cnr, non può evidentemente contare, a differenza dell'Iit

di
> Tremonti.
> Ma non mancano solo i soldi (che pure sono indispensabili). Manca anche e
> soprattutto la politica. Adriano De Maio, a conclusione del suo documento,
> sembra indicare le condizioni per una saggia direzione della ricerca: «In
> questo momento caratterizzato da scarsità di risorse e da una struttura
> industriale che ha poca propensione all'investimento ed è costituita
> prevalentemente da piccole e medie imprese, è la mano pubblica a giocare

il
> ruolo principale nella definizione di una strategia della ricerca in
> Italia».
> Non distruzione del pubblico, dunque, ma, al contrario, forte direzione

del
> pubblico per stimolare la nascita di una reale vocazione alla ricerca

anche
> nella nostra industria privata.
> Adriano De Maio ricorda che esiste una «forte correlazione tra una chiara
> "strategia pubblica"» e la percentuale della ricchezza nazionale che un
> sistema Paese (pubblico più privati) investe in ricerca. Anche i privati,
> infatti, hanno bisogno di una "strategia pubblica" forte e chiara. Perché
> «un'azienda investe in un Paese se "sa" dove il Paese stesso vuole

andare».
> Non è un caso che nel paese leader dello "sviluppo fondato sulla ricerca"

e
> della "scienza imprenditrice", gli Stati Uniti, a definire la strategia,

con
> politiche chiare e mezzi finanziari pubblici imponenti, sia il governo
> federale.
> Va da sé che, se Adriano De Maio sente il bisogno di fare questa notazione
> sulla "strategia pubblica" è perché rileva che in questo momento il nostro
> paese non "sa" dove vuole andare. Nella distruzione, sistematica eppure
> furiosa, della ricerca pubblica il ministro del Miur, Letizia Moratti, il
> ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, e l'intero governo Berlusconi si
> sono dimenticati del loro dovere politico primario. Indicare al Paese una
> strategia. Dire all'Italia dove deve collocarsi in quella che una volta
> veniva chiamata la divisione internazionale del lavoro.
> Ecco, dunque, che il decreto Moratti per l'università, l'inaugurazione

dell'
> Iit e il progetto di riordino del Cnr a opera del commissario De Maio ci
> forniscono l'indicazione chiara della direzione verso cui punta il governo
> Berlusconi: distruggere la ricerca pubblica e la pubblica formazione e poi
> vagolare nel buio, senza meta.
>
>
>
>
>
>
>
>
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