[Lecce-sf] Fw: Re:[antiamericanisti] Questioni irrisolte

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著者: rosario
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題目: [Lecce-sf] Fw: Re:[antiamericanisti] Questioni irrisolte
Fare attenzione a questi di "antiamericanisti" i quali hanno rapporti molto
dubbi con fasci terzoposizionisti e che si sono impantanati con la lista
lasciando spazio aperto a numerosi e dichiarati fascisti. Infatti dalla
lista , proprio per questi motivi sono usciti molti compagni compreso Fulvio
Grimaldi e L'avamposto degli incompatibili. Personalmente ho seguito tutte
le polemiche e ho varie MAIL che in seguito vi spedirò. "irak libero" e una
loro organizzazione telematica.
Ciao Rosario
----- Original Message -----
From: <antanarivo@???>
To: "antiamericanisti" <antiamericanisti@???>
Cc: "antiamericanisti" <antiamericanisti@???>
Sent: Thursday, January 29, 2004 8:41 AM
Subject: Re:[antiamericanisti] Questioni irrisolte


> l'anticameraCari compagni,
> questo è un intervento lungo.
>
> Riprendo l'intervento di Moreno per spiegare quello che penso sulle varie

questioni poste sul tappeto, compresa la "questione" De Benoist. Io non ho
chiesto l'espulsione di De Benoist dalla lista, credo invece che il c.d.
progetto antiamericanista sia ambiguo in sè. E deve, a mio avviso,
sciogliere questa ambiguità. Fuori dai denti, il problema non sono De
Benoist o Galoppini o Catalano. Ma coloro che, da comunisti, dovrebbero (o
avrebbero dovuto) contrastare le tesi e le posizioni politiche di De
Benoist, ecc. Se questo fosse avvenuto, se questo avvenisse, il progetto
assumerebbe un connotato diverso dalle ambiguità nelle quali si impantana.
Personalmente non accetterei, per esempio, la mia firma accanto a quella di
A. B. Mariantoni, di Thion o di Ostidich. Ma non è avvenuta alcuna battaglia
contro queste posizioni. E anzi, i vari interventi, soprattutto quelli di
Pasquinelli (esempio sui "popoli reazionari", sul quale intervengo in
seguito o sulla valutazione positiva di "Italicum") vanno in senso contrario
a una battaglia contro le tesi di questi esponenti di destra (anche se
alcuni di loro si definiscono "sinistra sociale"). Coloro i quali, come il
sottoscritto, cercano di battersi contro queste idee, sono loro il bersaglio
dei messaggi di Pasquinelli e altri. Non perchè io ostacoli il movimento
antiamericanista, ma perchè evidentemente costituisco la cattiva coscienza
di questo amalgama. Faccio un paio di esempi.
>
> Quando tempo fa si presentò il "caso" Thion, Moreno non ne sapeva nulla.

Ho postato in lista un testo di Thion e Moreno ha reagito: "chi se ne frega
di quello che dice Thion?".
>
> La questione si pone a maggior ragione oggi con De Benoist. Moreno scrive:

"Dialogare, ben inteso, non vuol dire, condividere, inciuciare, flirtare; ma
spesso criticare, attaccare, demolire, decostruire le tesi dell'avversario".
Poi scrive che non conosce le fasi del pensiero di De Benoist, "Ma su un
punto cruciale mi pare egli abbia ragione: la demolizione spietata del
paradigma tutto occidentale e borghese della modernità" e, infine, "non
condivido gran parte delle proposte politiche di De Benoist"
>
> Dove si trova la decostruzione, la demolizione, la critica e l'attacco

delle tesi di De Benoist? Gramsci, citato da Pasquinelli, leggeva
approfonditamente Croce e Gentile (vi ricordo che era il filosofo ufficiale
del regime, non un oppositore marginale) per demolirlo. Pasquinelli non
legge De Benoist, quindi non può "demolirlo". Mi sembra di aver fornito in
alcuni messaggi, vari elementi di valutazione sul pensiero di De Benoist,
tutti testi molto recenti. Ma da parte dei nuovisti del terzo millennio non
c'è stata nessuna critica, attacco, ecc.
>
> Provo ad aggiungere qualcosa. Consiglio a chi ha veramente voglia di

polemizzare con le tesi del teorico della Nuova Destra di leggersi "Le
origini culturali del terzo Reich" di Mosse. In particolare la figura di
Dietrich Eckart, o di von Polenz e di Rhiel. In un racconto di Polenz, che
ha avuto una certa influenza su Hitler, Der Buettnerbauer, il contadino di
Buettner si indebita con un ebreo che ne ipoteca la terra, vendendola poi a
un industriale che vi costruisce la fabbrica. Il contadino si impicca e il
suo ultimo sguardo è rivolto alla terra che sparirà inghiottita dal
capitalismo moderno. In questo racconto c'è tutto: il mito del Volk , legato
alla terra, la critica all'ebreo, in quanto mediatore finanziario, la
condanna della modernità che distrugge le radici popolari. I tre elementi
della critica debenoistiana: l'individualismo liberale, il "mondialismo" e
l'universalismo modernista e marxista (o meglio giacobino), il ritorno a un
paganesimo naturale, sono tutti presenti negli autori popolari (volkish)
antisemiti di fine secolo in Germania. Dopo Auschwitz l'antisemitismo è
riservato ai rozzi della curva sud. Gli intellettuali, i politici e i
raffinati intelelttuali di destra l'hanno sostituito con l'antisionismo,
meno compromettente, dandogli però lo stesso contenuto: il tentativo del
capitale ebraico (pardon, sionista) e americano di controllare il mondo, cui
si devono opporre i popoli riappropriandosi delle loro radici (per cortesia,
se qualcuno mi vuole accusare di filosionismo, si prenda la briga, prima, di
leggere il mio articolo "Fermare la Shoà del popolo palestinese", che trova
sul link
http://members.xoom.virgilio.it/progettocomu/internazionale/i_shoa.htm che
posso inviare a chi fa richiesta). Il "differenzialismo" di De Benoist
affonda le sue radici in questo amalgama culturale e in questo il suo
percorso intellettuale è abbastanza coerente. Cerchiamo di applicare il
pensiero differenzialista all'educazione, per esempio: avremmo scuole
islamiche, cattoliche, ebraiche, ecc. Non è un caso che il laboratorio
politico del pensatore francese sia la Lega Nord (alle cui scuole quadri
relaziona), ma che le sue idee siano penetrate nel Vlaams Blok del defunto
Pym Fortuin, o nel Partito Nazionale ceco per fare qualche esempio, per non
parlare del Fronte Nazionale di Le Pen, la cui signora era alla testa di un
comitato France-Iraq.
>
> Cosa c'entra il c.d. movimento antiamericanista in tutto questo? C'entra,

perchè in politica non è ammesso il vuoto. Nella misura in cui si abbandona
quello che noi comunisti del Novecento chiamiamo la "centralità operaia"
nella lotta all'imperialismo, con tutto quello che comporta, ovvero il
tentativo di fornire un programma universalista (internazionalista) di
rivoluzione sociale, diritti uguali per tutti, l'emancipazione delle donne,
ecc. si devono trovare altri soggetti di resistenza all'imperialismo
americano. E sarebbero i popoli, le nazioni, che si dividerebbero in
reazionari e non (guarda caso è la stessa ideologia sionista) o le piccole
comunità. L'ideologia che emerge è un'ideologia differenzialista, che assume
l'egemonia nella resistenza: a volta a volta lo sciismo, il sunnismo, il
nazionalismo (o subnazionalismo, il comunitarismo) di questo o quel popolo.
Invece io credo che l'unica forza sociale che ha la capacità di sconfiggere
l'imperialismo e far fare un passo in avanti all'umanità sia il
proletariato del terzo mondo, unito con quello dei paesi imperialisti. In
politica non esiste il vuoto e non esiste neppure la novità assoluta. De
Benoist e (in questo associato) Preve, sostituiscono a un'analisi
materialista della società, che vuole la classe operaia al centro della
lotta rivoluzionaria, il mito, ovvero un inesistente "popolo", o una
"comunità" (benchè storicamente determinata, ma anche i romantici facevano
risalire le nazioni al Medio evo). Ovvero al marxismo novecentesco il
romanticismo di fine ottocento. E' questa la prospettiva del terzo
millennio?
>
> Non è un caso che la deriva nazionalista del c.d. movimento

antiamericanista stia causando imbarazzi e scontenti non solo in lista e nei
comitati, ma, per quanto ne so, all'interno stesso di Direzione17. Questo
dovrebbe far riflettere. E la minaccia non troppo velata di chiudere la
lista per elminare i rompicoglioni come il sottoscritto è un ulteriore passo
verso una soluzione reazionaria dell'ambiguità che ha caratterizzato
l'"antiamericanismo". Per quanto mi riguarda personalmente, aderirei
volentieri a un movimento antimperialista classista, che ponesse il
proletariato e le masse plebee al centro della trasformazione sociale e
della lotta antimperialista, in una lotta politica incessante con le
tendenze nazionaliste. Questo vuol dire, sostegno incondizionato alla
resistenza irachena nella sua lotta contro l'occupazione militare (ovvero
senza fare l'analisi del sangue ai combattenti), ma coltivazione di un
progetto autonomo proletario per la soluzione socialista della crisi,
cercando in Iraq i riferimenti politici che si battono per tale progetto.
>
> Quindi faccio una proposta. Inserire nel documento di fondazione la frase:

"In quanto antimperialisti conseguenti riteniamo che solo la classe operaia
internazionale possa dare una soluzione finale, socialista egualitaria, alla
crisi in cui l'imperialismo, e in particolare quello americano, sta gettando
l'umanità intera. Perciò, pur sostenendo qualsiasi azione che colpisca gli
interessi imperialisti in Iraq o altrove, e difendendo dalla repressione
ogni combattente antimperialista, quale che sia il suo credo religioso o
politico, ci battiamo contro qualsivoglia tentativo reazionario da parte
delle frazioni arabe (da Hamas a Al Quaeda, dai Talibani agli Sciiti al
potere in Iran) di imporre la reislamizzazione del Medio Oriente, contro il
panislamismo così come contro la sua balcanizzazione, per una società laica
con uguali diritti per tutti, uomini e donne, e per tutte le nazionalità. I
diritti nazionali e democratici potranno trovare soluzione in una
federazione socialista che raggruppi tutti i popoli del Medio Oriente. Oggi
più che mai è valido il detto marxista: socialismo o barbarie. Per questo,
come movimento antiamericanista, ci sentiamo parte di quell'avanguardia
cosciente che lotta per costruire il partito comunista internazionale che
darà visibilità e progettualità a questo programma".
>
> Credo che su questo ci sia da discutere ed è questo il nodo ineliminabile.
>
> Saluti marxisti leninisti
>
> Gino C.

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Credo che Gino abbia posto delle questioni importanti, sull'impostazione
che ciascuno di noi ha e credo che da questo bisogna partire.
Cominciamo, perchè ho aderito all'apello per l'Iraq libero? (e non sono un
pentito ne un dissociato, non mi piaciono ne mi sono mai piaciuti i fenomeni
di pentimento e di dissociazione infatti Sorfri, che pur considero
innocente, non mi piace).
Parto dal fatto che le rivendicazioni del diritto di autodecisione da parte
di una nazione opressa da un apase imperialista dominante deve essere
impostato nell'ambito comune della lotta del proletariato.
lenin sintetizzò, im modo esemplare il metodo marxista: "le singole
rivendicazioni della democrazia, compresa l'autodecisione, non sono un
assoluto, ma una particella del complesso del movimento democratico (oggi:
del complesso del movimento socialista mondiale). E' possibile che, in
singoli casi determinati, la particella sia in contraddizione con il tutto,
e allora bisogna respingerla. E' possibile che il movimento republicano di
un paese sia soltanto uno strumento degli intrighi clericali o finanziari,
monarchici di altri paesi; allora non dovremo sostenere quel movimento
concreto; ma sarebbe ridicolo cancellare questa ragione dal programma della
socialdemocrazia internazionale la parola d'ordine della repubblica" (V.I.
lenin luglio 1916).
In sostanza, sono perl l'autodeterminazione nazionale delle nazione opresse
quando esse hanno un carattere antimperialista, quando mettono in crisi il
sistema di comando e gli equilibri dell'imperialismo.
Inoltre, ritengo tuttora valido, la tesi dell'Internazionale Comunista, che
mettete in evidenza che una delle caratteristiche dell'imperialismo consiste
nella divisione del mondo tra una minoranza di stati opressori e una larga
maggioranza di stati opressi. Perciò il moto nazionalrivoluzionario delle
nazioni dipendenti fa parte dello scontro di classe sia locale che
internazionale.
Perciò, una vittoria in una paese dipendente (e tanto meglio se in nella
forma più radicale) crea per il proletariato delle metropoli imperialiste
una condizione favorevole al rilancio della sua iniziativa. E voglio
prendere come esempio l'aumento del prezzo del petrolio che cìè stato
nell'agosto del 2000,quando il greggio aveva raggiunto i 37 dollari al
barile, ci furono proteste in tutta Europa, con blocchi dei porti
(barcellona) scioperi dei camionisti, dei pescatori ecc.
Bisogna ricordarsi che il processo di nazionalizzione delle risorse
petrolifere avvenute nel mondo arabo nel secondo dopoguerra è stato tutt'uno
con la scesa in campo degli sfruttati arabi (es la detronizzazione per via
insurrezionale della monarchia hascemita irachena nel 1958, la guerra di
liberazione nazionale algerina ecc.) che avevano come bersaglio il
colonialismo, le corrotte cosche semifeudali e le multinazionali, questo
processo rivoluzionario, che dal controllo del petrolio è inseparabile, ha
avuto conseguenze destabilizzanti sull'Europa e sull'intero occidente
capitalistadove l'aumento del prezzo del petrolio all'inizio degli anni '70
concorse con il ciclo mondiale delle lotte operaie del 1969-1972 ad
accrescere i costi di produzione dei capitalisti europei e giapponesi (che
sono quelli più dipendenti dalle importazioni petrolifere) nel momento in
cui finiva un trenttenio di sviluppo e pù acuto diventava più acuto il
bisogno di capitale ad abbassare i costi di produzione.
Ovviamente, tendo a precisare, questa vittoria nei paesi dipendenti crea
soltanto le condizioni. Non mi aspetto certamente che una rivoluzione
vittoriosa nelle aree arretrate determini di per sè il crollo degli apparati
di potere delle classi dominanti delle metropoli imperialiste. Viceversa,
una rivoluzione nelle aree arretrate esalta i compiti autonomi e
insostituibili del proletariato delle metropoli imperialiste.
Proprio perchè l'apertura di un periodo rivoluzionario in un'area chiama in
causa i rapporti diretti tra proletariato e classi capitalistiche nelle
metropoli imperialistiche è evidente che lo scontro a tale livello si
conclude senza che si sia per lo meno rafforzate le prospettive
rivoluzionarie specificamente proletarie all'interno delle metropoli, i
paesi imperialisti di getteranno con ancora maggiore vigore, utilizzando
il rafforzato disarmo del proletariato interno, nel soffocamento di ogni
tentativo rivoluzionario o anche semplicemente di avre un posizione autonoma
nelle aree che cercano di sfuggire al suo controlo. Perciò, la rivoluzione
nelle aree dipendenti, ha un peso importante nella preparazione di quella
comunista internazionale, e il proletariato delle metropoli imperialiste ha
un dupplice ruolo. quello di saper utiliizare le rivoluzioni nei paesi
dipendenti per rafforzare le proprie posizioni contro la propria borghesia e
di impegnarsi per trasfrormare questo tentivo cone un fattore di
accelerazione dello della rivoluzione proletaria nelle areee arretrate.
A fianco dei partiti riformisti tradizionali, che tutte le volte che il
capitalismo è in difficoltà, hanno fatto quadrato intorno ai suoi
interessi, si sono delienate formazioni che hanno interpretato il compito le
difficoltà della classe capitalista in chiave minimalista, cioè
ricontrattando la collaborazione di classe (es il recente movimento per la
pace contro la guerra all'Iraq.)
E proprio quando si affronta dell'uso dell'instabilità determinata
dall'apertura di una rivoluzione nei paesi dipendenti in una chiave
internazionalista di classe, che viene in evidenza il problema della forma
di tale rivoluzione.
Se è vero che il proletariato deve utilizzare per i proprin fini autonomi
anche l'avvio di una rivoluzione di tipo naziomalistico, è anche vero che i
modi di ciò possa avvenire può interferire sullo svolgimento della
rivoluzione stessa.
Io, ritengo, che i comunisti pur non confondendosi con le forze
nazionaliste (in lotta con l'imperilisno magari anche con motivi religiosi e
stò pensando al risveglio islamico) lo sostengono militarmente, perchè come
dicevo prima ogni colpo portato all'imperialismo preapra un migliore terreno
alla rivoluzione proletaria mondiale, e sopratutto perchè lottando in prima
fila essi possano conquistare la direzione dei movimenti di massa e
trasformarli da genricamente antimperialisti (nelle varie forme
nazionaliste) in veri movimenti proletari.
Per conclidere bisogna chiarsi sul concetto di imperialismo, io ritengo sia
tuttora valido la concesione che l'imperialismo sia una fase dell
capitalismo e che si possa riassmere in cincque punti:
1 la concentrazione dellla produziuone e del capitale, che ha raggiunto un
grado talmente sviluppato da creare i monopoli con funzione decisiva bella
vita economica
2 La fusione del capitale bancario con quello industriale e il formarsi
sulla base di questo del capitale finanziario
3 la grande importanza acquisita dalle esportazioni di capitale in
confronto con l'esportazione di merci
4 Il sorgere di associaizone monopoliste internazionali che si spartiscono
il mondo
5 La compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze
Con questo voglio trarre la conclusione politica, che se essendo,
l'imperialismo una fase una sovrastrutura del capitalismo, non ci può essere
un antimperialismo conseguente se non sia anche anticapitalista.
Sacchi Marco
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