[NuovoLaboratorio] violenza e non violenza

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Author: Giovanna Caviglione
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Subject: [NuovoLaboratorio] violenza e non violenza
dal manifesto del 25 gennaio

La grande differenza tra aggressione e difesa
La storia del Novecento insegna che le guerre civili mondiali non le ha
volute il movimento operaio. Si tratta di un punto importante dal quale dev=
e
partire ogni dibattito che interroga la sinistra sull'uso della violenza
ALBERTO BURGIO
Questa discussione sulla violenza e la politica mi sembra intrecci due
questioni che forse conviene tenere distinte. Si parla di storia (della
storia dei comunisti e del movimento operaio) e ci si interroga su quale si=
a
oggi la pratica politica pi=F9 appropriata al conflitto anticapitalistico. Mi
rendo conto che analisi del presente e idea del passato si influenzino a
vicenda. Ma non =E8 detto che il discorso si giovi della loro indistinzione.
La storia. Mario Tronti ha posto una premessa che pare anche a me
fondamentale: =ABL'et=E0 delle guerre civili mondiali, con dentro il fascismo e
il nazismo, non l'ha voluta il movimento operaio: =E8 storia moderna,
capitalistica, del Novecento, con cui, in qualche modo, i conti bisognava
farli=BB. O si parte da qui, o =E8 inevitabile approdare a conclusioni
paradossali, nelle quali i ruoli si rovesciano e le responsabilit=E0 si
confondono. Questo significa non vedere la violenza che ha segnato le
risposte alla violenza del dominante? Niente affatto. E non significa
nemmeno rifiutarsi di discuterne, di interrogarsi sugli eccessi e persino
sui crimini. Significa non perdere di vista l'enorme differenza tra
aggressione e difesa, che non coinvolge esclusivamente il piano morale o
giuridico, ma illumina anche la ricerca storica sulla cultura e
l'antropologia del movimento operaio, non da oggi sul banco degli imputati.
Io sono convinto che la violenza - l'uso delle armi, l'esperienza della
guerra, l'esercizio della coercizione - sia estranea alla concezione del
mondo dei comunisti e di quanti avversano il capitalismo per la sua carica
distruttiva e per la sua costitutiva iniquit=E0. A Venezia, nel convegno sull=
e
foibe che =E8 all'origine di questo dibattito, Bertinotti ha ricordato
l'orrore provato da Luigi Pintor nel prendere le armi contro i fascisti.
Appunto. Penso che Pintor incarnasse in quel momento l'ethos pi=F9 autentico
della lotta partigiana. Certo, il famigerato Novecento suole essere prodott=
o
a confutazione di questo convincimento. Ma si commettono, cos=EC argomentando=
,
errori che non diventano ragioni per il solo fatto di essere molto =E0 la pag=
e
anche presso gran parte della sinistra =ABcritica=BB.
Il gulag e le purghe - per chiamare subito in causa gli scheletri pi=F9
ingombranti - non furono il frutto naturale dell'Ottobre (che con poco sens=
o
delle proporzioni si provvede oggi a dichiarare morto e sepolto), n=E9 della
pianificazione e della modernizzazione a tappe forzate. Derivarono dal
trionfo dell'arbitrio e dalla paranoia del potere dispotico. Che a loro
volta non intrattengono alcun rapporto privilegiato con la socializzazione
dei grandi mezzi di produzione. Che discendono dalla fragilit=E0 o
inconsistenza dell'elemento statuale (travolto appunto dall'urto dei poteri
di fatto) piuttosto che dalla sua presunta ipertrofia (come in tempi di
egemonia liberista si ribadisce). Riguardo a tutta questa questione dello
stalinismo =E8 giunto il momento - mi sembra - di abbandonare un impacciato
silenzio. Non =E8 vero che si tentenni nella critica, non =E8 vero che si
indulga a giustificazionismi. =C8 vero piuttosto che spesso e volentieri ci s=
i
serve di questa gigantesca questione come di una clava per scopi politici
immediati di tutt'altro genere. In obbedienza - verrebbe da dire - alla pi=F9
classica tradizione stalinista.

Quale conflitto?
Marco Revelli insiste sulla contrapposizione guerresca che ha marcato la
cultura politica novecentesca. Non mancano certo documenti di tale
impostazione. Se Schmitt legge la politica sullo sfondo della polarit=E0
bellica, Gramsci concepisce la lotta contro il fascismo (=ABguerra di
posizione nella sua fase decisiva=BB) come un =ABassedio reciproco=BB di potenze
simmetriche. E non si tratta del solo Novecento. Marx parla della violenza
come levatrice della storia, convinto che nessuna classe dominante assista
inerme alla fine dei propri privilegi. Ma il punto non =E8 ideologico,
concerne la realt=E0 e la struttura materiale del conflitto. Prima di mettere
sotto processo le idee, chiediamoci se esse riflettevano i fatti, se ne
coglievano o meno aspetti cruciali. Insomma: la guerra c'era, ha dissanguat=
o
l'Europa sino alla met=E0 del Novecento (e vi ha riaperto ferite sul finire
del secolo: ma su questo torner=F2): quali idee del conflitto,
dell'avversario, della prassi politica avrebbero potuto o dovuto coltivare =
i
comunisti e quant'altri cercavano di fermare la carneficina e di sradicare
il sistema di potere che l'aveva causata?
E non si tratta solo di guerra in senso stretto. Forse ce ne siamo
dimenticati, ma la guerra civile, le stragi, le esecuzioni sommarie di
insubordinati e avversari sono state un ingrediente normale nel governo
delle societ=E0 sino in epoche recenti. La Comune viene soppressa in un bagno
di sangue nel 1871. Bava Beccaris non appare ai suoi contemporanei un folle
assassino. I fascismi ci accompagnano sino alla fine della guerra mondiale =
e
in alcuni casi le sopravvivono ancora per decenni. =C8 una conquista recente
l'aver costretto il capitalismo a limitarsi - di norma e nei paesi
=ABavanzati=BB - alla violenza fredda del mercato, rinunciando a quella calda
delle armi. Una conquista preziosa, che ci consente di dire senza incertezz=
e
che la lotta politica non violenta =E8 l'unica forma di conflitto praticabile=
,
qui e ora. Ma ieri? Stiamo attenti a non perdere di vista le profonde
differenze tra le diverse epoche, tanto pi=F9 che non possiamo nemmeno
escludere che vengano tempi pi=F9 cupi: cosa faremmo, mi chiedo, se - per dir
cos=EC - via Tasso tornasse quella che gi=E0 fu?
Ma soprattutto su un punto bisogna essere netti. Revelli sottolinea la forz=
a
d'urto della cultura della guerra, capace - scrive - di determinare la
=ABmetamorfosi antropologica=BB di chiunque impieghi la violenza. Questo non mi
pare sostenibile. I comunisti italiani, i partigiani, quanti combatterono
armi in pugno i fascisti non sono restati per questo prigionieri di
quell'esperienza. La storia del secondo Novecento in questo paese dimostra
precisamente il contrario. Negli scorsi decenni la lotta armata =E8 stata una
tragedia che ha coinvolto, a sinistra, minoranze di pi=F9 giovani generazioni=
.
La cultura della guerra ha conservato robuste radici solo a destra,
seminando terrore e bombe e stragi rimaste, non per caso, in gran parte
impunite.
Detto della storia, si pone il problema della violenza politica oggi.
Problema che, per essere utilmente discusso, richiede un preliminare
chiarimento. Quali oneri ha il discorso politico? Di che cosa tratta? Io
credo che non sia sufficiente indicare aspirazioni e valori, penso si abbia
l'obbligo di dire anche come si ritenga concretamente realizzabile un
progetto. Non bastano i principi, si =E8 anche responsabili dei risultati
delle proprie scelte. Altrimenti si abbandona il terreno della politica, pe=
r
insediarsi - forse non consapevolmente - nel campo dell'utopia. O della
religione.
Quando parliamo di un altro mondo possibile, la parola-chiave =E8 possibile.
Una lotta =E8 politica se non coinvolge sogni, ma reali potenzialit=E0. Per
questo, affrontando la discussione sulla violenza non ci si pu=F2 sottrarre,
con nobili gesti, alle domande (retoriche) poste da Ingrao (a mio modo di
vedere, orientate in senso divergente rispetto all'argomentazione di
Bertinotti). Che cosa si fa contro la violenza dell'aggressore? Come si
incide sui poteri? Si risponde (quando si risponde): proprio perch=E9 assolut=
a
(=ABradicale=BB), la non-violenza =E8 la contromisura adeguata alla violenza
assoluta della guerra globale. Cio=E8: contro distruttivit=E0 totale, totale no=
n
distruttivit=E0; contro guerra preventiva, pace preventiva; contro guerra
asimmetrica, strategia asimmetrica dell'=ABantagonismo=BB.

L'apoteosi della guerra
Lasciamo andare, per il momento, questa storia della =ABasimmetria=BB (che
oscura l'effettiva portata della strategia statunitense, mirata contro le
altre potenze - Cina, Unione europea - ormai prossime a costituire
competitori globali). Il punto =E8: quali ragioni lasciano prevedere che
simili eleganti equazioni produrranno gli effetti sperati? Quali analisi
concrete, quali piani d'azione? Si dice: il Novecento segn=F2 l'apoteosi dell=
a
guerra. Bene: quale miglior banco di prova, allora, per misurare l'efficaci=
a
di una strategia =ABantagonistica=BB? Si dica a quali antecedenti si pensa, su
quali esperienze ci si basa. Non pare che i nazisti si arrestassero dinanzi
alle braccia levate degli ebrei, n=E9 che la loro ferocia abbia dilagato solo
dopo che a Varsavia il ghetto insorse. Non risulta che gli Stati uniti
abbiano dovuto ritirarsi dal Vietnam perch=E9 sopraffatti dalla non-violenza
dei vietcong. Che cosa significa, in concreto, che =ABsiamo forti se siamo
deboli=BB, come ha detto Bertinotti a Venezia?
Cade qui a proposito il discorso sulla =ABdiscontinuit=E0=BB. =C8 invalso lo schema
secondo cui =ABil Novecento =E8 finito=BB e si tratta ora di un'epoca nuova. Cred=
o
si tratti di una impareggiabile sciocchezza. Certo, non tutto =E8 identico a
prima. La scomparsa dell'Urss e la fine dell'equilibrio bipolare hanno
trasformato in profondit=E0 il quadro internazionale. Ma ne hanno modificato
gli assetti, non la logica. Nemmeno Negri, se capisco, crede pi=F9
nell'esistenza dell'ordine unipolare vagheggiato dai neo-cons. E basta
leggere un po' nella profusione di piani strategici sfornati
dall'amministrazione Bush e dai think-tanks del Pentagono per capire che il
mondo in cui ci troviamo =E8 ancora diviso in aree di influenza contese tra
grandi potenze nucleari contrapposte. Robert Kagan non sar=E0 un fine
pensatore, come non lo sono i Fukuyama e gli Huntington. Ma vorr=E0 pur dir
qualcosa che molte teste d'uovo a Washington scrivano a chiare lettere che
la Quarta guerra mondiale =E8 cominciata gi=E0 negli anni Novanta, nel Golfo e
nei Balcani, la Terza essendosi conclusa nel `91 con l'affondamento
dell'Unione sovietica. Gli scenari di guerra che costoro tracciano hanno
dalla loro almeno un elemento di verit=E0: di l=E0 dagli obiettivi contingenti
(=ABterroristi=BB e =ABStati canaglia=BB), la guerra di Bush si rivolge alle minacc=
e
mortali che incombono sull'egemonia americana: alla potenza economica (e
forse gi=E0 domani politica) dell'Europa e a quella economica e politica (e
forse gi=E0 oggi militare) cinese. Se questo =E8, non sarebbe saggio smetterla
con le mitologie post-novecentesche?
E non sarebbe anche il caso, visto che discorriamo di violenza e
non-violenza, di gettare uno sguardo al di l=E0 di quanto accade in
quest'angolo di mondo e nelle nostre =ABtiepide case=BB? Che cosa intenderebber=
o
dei nostri travagli i palestinesi alle prese con la tortura, la sete, la
sopraffazione coloniale? E i colombiani in lotta contro un governo militare
alleato al narcotraffico? E Cuba, alla quale ogni giorno gli Stati uniti
rammentano che la sua indipendenza suona intollerabile offesa alle orecchie
del sovrano? E i resistenti iracheni? Gi=E0, i resistenti iracheni. Su questo
bisognerebbe discutere tra noi, piuttosto che accontentarci di improvvide
semplificazioni. Si parla con insistenza di una =ABspirale guerra-terrorismo=BB=
:
ma chi muove guerra e chi =E8 terrorista? E che fine fa, con questo schema, l=
a
lotta degli iracheni contro l'occupazione? Ha osservato Raniero La Valle,
intervenendo in questa discussione, che =ABricomprendere tutte le possibili
resistenze nell'unica categoria del terrorismo [...] vuol dire non
riconoscere pi=F9 alcuna causa=BB. Non resta che aggiungere una glossa
marginale: davvero non vorremmo che anche alla sinistra =ABcritica=BB c=E0piti di
assumere giudizi o punti di vista propri di chi minaccia di mettere il
pianeta a ferro e a fuoco.