[NuovoLaboratorio] liberazione: violenza nonviolenza

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da liberazione
Quanti spettri si aggirano nel nostro dibattito! Sono le nostre biografie,
talvolta giocate a tumulare il futuro nei sepolcri della tradizione. Sono l
Quanti spettri si aggirano nel nostro dibattito! Sono le nostre biografie,
talvolta giocate a tumulare il futuro nei sepolcri della tradizione. Sono
le ombre sinistre dell'ortodossia, sempre accaldate dai sudori dello
storicismo. Sono i fantasmi della nostra sconfitta, esorcizzati dal
restauro pedante della dottrina.=20

Ma come si fa ad invocare sempre e comunque, come un riparo di fortuna, i
tornanti aspri della storia globale pur di non guardare mai in faccia la
storia parziale del comunismo novecentesco? Certo che sono avvitati in un
nesso inscindibile, la nostra "parte" e il "tutto" di un secolo infuocato,
certo che la storia non si taglia a fette con la lama dell'opportunismo,
certo che non serve abusare di codici moralistici per recidere la radice
del male: ma l'impressione =E8 che ci sia chi preferisca, ancora oggi,
l'agiografia al posto del costume critico, la narrazione delle glorie
piuttosto che la trattazione degli orrori.=20

Il Gulag =E8 un esito che non consente alibi, giustificazioni, contorsionism=
i
semantici. E non =E8 inscrivibile in nessuna rubrica degli errori e delle
degenerazioni: appare come il compimento parossistico di quella
statolatria, staliniana e comunista, che capovolse nel sangue il senso
stesso di una missione che intendeva liberare le masse dalla separatezza
gerarchica della statualit=E0. La centralit=E0 esponenziale del primato del
Politico (il Partito, la macchina dello Stato, fino al Partito-Stato) =E8 lo
snodo, teorico e pratico, di una parabola nata e morta con il Novecento:
non a caso, nella straordinaria libert=E0 intellettuale del suo esilio
carcerario,=20
Gramsci intuisce la deriva dello stalinismo e contemporaneamente reagisce
alla lettura "crollista" della crisi capitalistica, elabora la teoria
dell'egemonia e della "conquista delle casematte", pur mentre si cimenta
con le ragioni di lungo periodo della sconfitta del movimento operaio
europeo. Il Partito non fu un "moderno Principe" o un "Intellettuale
collettivo", come nella suggestiva provocazione gramsciana, ma una
nomenclatura autoreferenziale e sacralizzata, un'entit=E0 metafisica:
sovraordinatrice e indiscutibile. Il Potere non fu sciolto dal fuoco della
libert=E0 di massa e dell'autogoverno, ma congelato e cristallizzato da una
burocrazia che lavor=F2 alacremente per ibernare ogni movimento sociale e pe=
r
privatizzare la politica come contenzioso interno ad una casta sacerdotale.=
=20

Ogni storia ha la sua storia. Ma il Gulag torna come un chiodo fisso in
questa parodia tragica del "sogno di una cosa": in Siberia, in Cina, nella
Corea del Nord. Come l'icona indicibile di una pedagogia autoritaria e
funebre, come punizione salvifica del nemico effettuale e di quello
potenziale, come pianificazione della superiore verit=E0 di un Politbur=F2 o=
di
un Comitato Centrale. Senza rompere qui, dove c'=E8 l'eredit=E0 di quella
cortina di ferro che possiamo chiamare "autonomia del politico", non saprei
come ricominciare a pensare il comunismo: non per civetteria da
tardo-utopista, bens=EC come bisogno e necessit=E0 di un pianeta soffocato d=
al
dolore sociale e dalla guerra infinita. Senza questa rottura non saprei
neppure rivendicare il "filo rosso" (politico, non solo emotivo e morale)
con la vicenda straordinaria di milioni di persone che, nel darsi il nome
di comunisti/e, fuoriuscivano dall'anonimato senza storia delle plebi,
costruivano la politica come liberazione dall'ingiustizia, introducevano
nella modernit=E0 le domande pi=F9 radicali sulle relazioni sociali e sui
rapporti di produzione.=20

Occorre volgere lo sguardo all'indietro, non per celebrare e magari
sopravvivere. Ma per vivere, per capire, per imparare. Una critica
comunista del comunismo novecentesco non =E8 un lusso per il tempo libero, m=
a
la pre-condizione della fatica della rifondazione. E storicizzare non
significa giocare a nascondino con i buchi neri della nostra storia,
trovare sempre contesti che occultano e omettono a piacimento, ridisegnare
i fatti dentro una sorta di esegesi provvidenziale. Altrimenti anche certa
ridondanza storicistica diventa una fuga metafisica dalle proprie
responsabilit=E0.=20

Ci pesa questo passato, impaccia i nostri passi di libert=E0: se fossimo un
museo, andrebbe bene. Ma siamo un partito che non si sente orfano della P
maiuscola, che non si sente depositario del bene e del male, che non
intende mai pi=F9 dispensare sentenze di vita e di morte, che non ha la
presunzione di presentarsi come la sintesi matura del movimento e del
conflitto sociale. Per crescere, un partito cos=EC deve essere ag=ECto e
vissuto come uno dei luoghi in cui si pensa e si pratica una grammatica
inedita del rapporto tra comunit=E0 e libert=E0.=20

Il Novecento si =E8 schiantato sotto il peso di una sconfitta e di una
vittoria. La nostra sconfitta. La vittoria del Capitale come ideologia
della fine della storia, cio=E8 della estinzione del pensiero critico e come
generalizzazione molecolare dei processi di mercificazione. Il Potere, nel
tempo della globalizzazione liberista, non ha un Palazzo d'Inverno ma
infinite e stratificate "zone rosse": nella produzione, nella riproduzione,
nella gerarchia dei valori e delle forme di coscienza, nel corpo sociale e
persino nel corpo individuale. Espugnare ciascuno di questi territori
proibiti, sabotare ciascun deposito di comando autoritario, disobbedire
alle leggi del diritto del pi=F9 forte, disarmare la macchina della guerra
preventiva e permanente: questi sono i compiti a cui ci ha allenato il
"movimento dei movimenti". Sapendo che il capitale del Capitale =E8 nei
codici profondi della cultura, dei saperi, dell'immaginario: dove si
costruiscono i sogni e gli incubi dell'umanit=E0, dove si eternizza la
barriera sociale e si naturalizza l'oppressione, dove si costruisce ogni
gerarchia e ogni frattura tra i sessi e tra individui e tra fedi e tra
popoli, dove si proietta la vita intera nella guerra e la guerra intera
nella vita.=20

Noi siamo figli di una vicenda che indic=F2 alla brutalit=E0 necessitata dei
mezzi la soglia alta di un fine supremo: trascendere la violenza ontologica
del capitalismo. Abbiamo imparato che i mezzi cattivi si mangiano il fine
buono, e cio=E8 che i mezzi sempre prefigurano il fine: e non sto parlando
dei vietcong o dei partigiani, ma del comunismo che si appropria del
monopolio statuale della violenza. Non voglio mettere le brache alla
storia, voglio rischiare qualcosa o molto di me stesso nel costruire la pi=
=F9
radicale pratica di trascendimento della costituzione materiale e simbolica
del potere e della sua violenza: non voglio che il mio antagonismo produca
azioni (e immagini) simmetriche alla violenza che combatto. Non voglio che
l'ombra del mio avversario (che =E8 una forma del potere e
dell'organizzazione sociale) mi divori l'anima, mi disumanizzi, mi faccia
smarrire il senso stesso della rivoluzione che sar=E0, che =E8 gi=E0 cominci=
ata:
non un assalto alla baionetta, ma un processo largo e profondo di
costruzione di un "nuovo mondo possibile".=20

Nichi Vendola=20




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MA SI PUO' COSTRUIRE QUALCOSA
A PARTIRE DA UN CUMULO DI MACERIE?
Confesso che il dibattito avviatosi su "Liberazione" pone un problema di
non facile soluzione, e vale a dire l'individuazione di quale sia
l'effettivo oggetto del contendere. Dato il grande spazio concesso al tema
della "non violenza" si potrebbe pensare che questo sia il cuore del
problema, in verit=E0 esso =E8 solo un tassello di un dibattito ben pi=F9 am=
pio.
Per i temi e il modo con cui questi sono stati affrontati a me pare che, di
fatto, la questione che =E8 rimessa in campo sia la solita e, cio=E8, se abb=
ia
senso impegnarsi per la costruzione di un partito comunista, a meno di non
concepire tale costruzione come la salvaguardia di un puro simulacro di cui
si conservano i simboli mentre se ne svuotano i contenuti. Ma veniamo ad
alcuni punti essenziali.=20

E cominciamo pure dalla questione della violenza. Molti fra quanti sono
intervenuti (da Tronti, a Raniero La valle, ecc) hanno espresso posizioni
che condivido. Che senso ha oggi questa palingenesi della non violenza? Se
si vuole polemizzare con comportamenti sbagliati a sinistra che praticano
(soprattutto simbolicamente) forme di lotta discutibili sarebbe sufficiente
richiamare queste forze nei momenti dovuti (ma, guarda caso, ce n'e voluto
prima di smettere di civettare con queste forme di protesta). Se si vuole
teorizzare che la guerra preventiva e il terrorismo esauriscono il campo
della violenza possibile bisognerebbe allora per lo meno spiegare che fine
ha fatto il concetto di resistenza. In ogni caso, che senso ha assumere la
non violenza come categoria metastorica? E se, come ha posto Ingrao
(utilizzato il pi=F9 delle volte solo per le affermazioni che tornano
comodo), ci si trovasse nella necessit=E0 di reagire all'aggressione?=20

Marginalmente, vorrei tornare sulla vicenda delle Foibe e dei fatti di
Venezia. Da quando in qua uno degli errori fondamentali che avrebbe
commesso la sinistra sarebbe stato quello di "angelizzare" la resistenza?
Forse che il problema fondamentale che abbiamo di fronte =E8 di contrastare
l'apologia della violenza resistenziale? Non scherziamo. Se vi =E8 oggi un
problema =E8 semmai quello di respingere un'iniziativa revisionistica che
punta a fare di tutta un'erba un fascio, mettendo repubblichini e
partigiani sulla stessa barca, in nome di una comune ispirazione
patriottica o del rispetto che si deve comunque alla vita umana. Vorrei
anche mi si spiegasse come mai a Venezia i nostri rappresentanti
istituzionali abbiano accettato la modifica del nome di una piazza al fine
di celebrare i martiri delle foibe.=20

E, da questo punto di vista, mi permetto di chiedere: da oggi in poi i
nostri amministratori in giro per l'Italia, di fronte ad iniziative
analoghe promosse spesso dai DS (il pi=F9 delle volte per fare l'occhiolino
all'elettorato di destra), cosa dovranno fare? Forse accodarsi?=20

Le interpretazioni date nel partito di questo dibattito sulla violenza non
mi hanno convinto. Alcuni hanno insinuato che si trattasse del prezzo da
pagare per entrare nel salotto buono della borghesia, nella prospettiva
dell'entrata al governo. A me pare che vi sia qualcosa di pi=F9 profondo, e
cio=E8 il tentativo di definire un nuovo profilo di questo partito e del suo
ruolo. Consideriamo alcune affermazioni emerse nel dibattito. Il compagno
Bertinotti su una recente intervista su Il manifesto ha testualmente detto:
"Vorrei vederlo in faccia uno che oggi dica voglio fare un partito marxista
o leninista". Come debba essere intesa questa frase (per me sorprendente)
lo s'intuisce successivamente dove, di fronte alla domanda sul senso che a
questo punto assume il riferimento al comunismo, la risposta =E8 assai
indicativa: "la parola comunista ha un valore, ma non dice "io vengo da
li", bens=EC "io vado la". Quindi, il comunismo ha un senso se fa "tabula
rasa" della sua storia. In questa storia, naturalmente, non c'=E8 solo
Stalin, c'=E8 Lenin e anche il nostro povero Gramsci, che ora comprendiamo
come sia stato frettolosamente cancellato dal nostro statuto.=20

La domanda da porsi =E8 la seguente: ma si pu=F2 costruire qualcosa a partir=
e
da un cumulo di macerie? La risposta che ci viene =E8 non meno sconcertante.
Essa sta nel riferirsi all'assunzione dell'esperienza pratica dei
movimenti, escludendo ogni riferimento ad alcun elemento teorico dato, ma
anche semplicemente ad ogni riflessione sull'esperienza del passato. In
questo contesto, =E8 il movimento a farsi soggetto d'egemonia. E' il
movimento, insomma, che si assume il compito di svolgere il ruolo di
intellettuale collettivo e, in ultima analisi, di guidare la
trasformazione. Ma qui sorge una prima questione e cio=E8 quella della presa
del potere. In che modo, insomma, questo movimento pu=F2 trasformare la
societ=E0, a maggior ragione se ormai gli stati nazionali non esistono
praticamente pi=F9, se il nuovo potere imperiale =E8 tanto forte quanto
spazialmente inafferrabile? In primo luogo, mi pare, che a questo quesito
si tenti di rispondere attraverso alcune scelte: con l'assunzione della
centralit=E0 delle nuove "moltitudini" e considerando praticamente azzerata
la dimensione della sfera politico-istituzionale; in secondo luogo con
l'assolutizzazione, come forma di lotta, della non violenza, scelta
considerata obbligata di fronte agli enormi squilibri nei rapporti di forza
con l'impero, ed infine, col rifiuto della presa del potere come
occupazione della sfera politico istituzionale. Qui il cerchio si chiude.=20

A questo punto, per=F2, il trascendimento del capitalismo non si comprende
proprio da cosa nasca. Non si giova pi=F9 di una contraddizione principale
(quella fra capitale e lavoro), non =E8 supportato pi=F9 da soggetti sociali
ben definiti, non pu=F2 avvalersi delle contraddizioni interimperialistiche,
non ha avversari ben riconoscibili e aggredibili. Si capisce, allora,
perch=E9 parlando di comunismo si finisce con l'alludere ad un non meglio
precisato "di la da venire", ad un affascinante, quanto vago, '"altro mondo
possibile" i cui connotati restano, per l'appunto, ancora largamente
indefiniti.=20

Gianluigi Pegolo=20
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Disertare lo scontro militare per l'alternativa=20
Ma i poteri costituiti sono capaci di tutto
La nonviolenza non =E8 una scelta idealistica
Nuove forme=20
di politica
Caro direttore, a rompere il processo storico oggi =E8 proprio la violenza
della guerra e del terrorismo. Difatti l'effetto dialettico della guerra
della vergogna mossa da Bush contro l'Iraq ha prodotto il trionfo del
movimento per la pace che ha attraversato il mondo intero. Gli operatori di
pace non sono solo i gruppi pacifisti, ma la societ=E0 civile mondiale che s=
i
=E8 convinta (infine) che la guerra, qualunque guerra, non =E8 la soluzione =
per
nessun problema. Essa =E8 un problema per l'umanit=E0, poich=E9, se non foss=
e
tenuta a bada, come Hiroshima insegna, metterebbe fine all'umanit=E0. Saper
cio=E8 costruire l'alternativa su un terreno "altro" da quello in cui ci
vogliono imporre di stare. Scegliere la strada di disertare lo scontro
militare per la conquista del potere - ma cercare altres=EC, come direbbe il
subcomandante Marcos - di "destrutturare il potere" attraverso nuove forme
della politica e della partecipazione democratica =E8 solo un primo passo pe=
r
gettare le basi di questa alternativa, l'altro mondo possibile, il nostro
non-modello di ci=F2 che con un po' di pudore per l'emozione, chiamiamo
ancora comunismo.=20

Daniele Lombardi Lucca

Come rinunciare=20
all'uso della forza?=20

Caro direttore, personalmente sarei stato ben lieto di indossare un casco a
Genova, dal momento che il mio atteggiamento del tutto inoffensivo non mi
ha evitato due punti in testa... Naturale che l'avversario, quanto pi=F9
ferocemente esercita in tutto il mondo il suo dominio, tanto pi=F9 chieda ai
suoi antagonisti di essere non violenti. Comprensibile =E8 anche la necessit=
=E0
di contrastare l'indebita assimilazione tra conflitto sociale e violenza
proclamando la nostra "ispirazione" non violenta. Altra cosa per=F2 =E8 la
rinuncia all'uso della forza quando ogni altro mezzo =E8 impossibile, e
questo non solo per quanto riguarda il passato: cosa accade quando la
spinta alla trasformazione sociale si scontra con la resistenza dei poteri
costituiti, loro s=EC capaci di tutto?=20

Marco Schettini Roma

La nonviolenza=20
=E8 rivoluzione
Caro direttore, contrariamente a quanto sostenuto da Cannav=F2, Casarini e
Bersani, penso che la scelta della nonviolenza come forma di lotta di
liberazione dallo sfruttamento strutturale dell'economia capitalista non
sia dettata da una lettura idealistica (e pertanto mistificante) della
realt=E0, bens=EC credo che tale scelta affondi le proprie motivazioni
nell'analisi materiale e storica dei modi di produzione e degli attuali
rapporti politici e di forza che ne derivano. Lo stato delle cose =E8 dato
dalla violenza della classe dominante e dalla guerra militare, economica e
sociale scatenata dal capitalismo globale contro la periferia del mondo,
contro i diritti dei lavoratori, degli studenti, e contro la dignit=E0 di
miliardi di persone. Abolirlo oggi significa essere radicalmente diversi.
Il sistema si regge sulla violenza permanente: pertanto scegliere la
nonviolenza, la pace e la giustizia come pratiche di vita quotidiana e come
orizzonte di liberazione significa costruire e fare la rivoluzione.=20

Matteo Saudino Lega obiettori di coscienza, Torino

Il Movimento=20
fa paura al Sistema
Cara "Liberazione", gli scudi in plexiglas terrorizzano il Sistema? Il
taglio delle pompe forse o l'abbattimento delle zone rosse? E' il
Movimento, vasto, Mondiale, radicale nei contenuti, capace di cambiare le
coscienze, il senso comune, capace di mettere in discussione il Pensiero
Unico e di vincere su questo versante (vedi Cancun) che fa paura a Lor
Signori. La repressione su pochi, e lo abbiamo detto da sempre, da Genova
2001 in poi, ha lo scopo di delegittimare tutto il Movimento, e questo s=EC
fa paura al Sistema, che vuole far passare tutto il Movimento come
violento, e quindi neutralizzarlo, renderlo incapace di mobilitare, di
coinvolgere ed in sostanza impedire che si rivoluzionino i rapporti di
forza reali nella societ=E0. Per disarticolare ed annullare questo Loro
progetto noi, ora, che facciamo? Ne sono convinta, la non violenza, senza
se e senza ma. Oppure pensate che ci troviamo di fronte ad una situazione
come nel =9121 con una repressione di massa e sul ciglio di una guerra=
civile?=20

Lucia Mielli S. Benedetto del Tronto (Ap)=20

I violenti=20
sono loro!=20

Gentilissimi compagni, questo dibattito sulla non-violenza avviene perch=E9
veniamo imputati dalla classe dirigente, ingiustamente, come violenti e
subiamo questa pressione. Per me la questione =E8 facile. I violenti sono
loro! Si attribuisce la violenza alle radici del comunismo (appunto per la
pressione borghese), anche tra molti di noi. Ci si dovrebbe domandare che
cosa avrebbe dovuto fare quella giovane repubblica, che aveva firmato la
pace e chiamava a tutta l'Europa di non combattere, contro gli attacchi
dell'Europa borghese e degli Usa? Non difendersi? Mettere gi=F9 le armi e
provare un'altra volta con manifestazioni pacifiche? Gli argomenti portati
avanti dai pacifisti sono astratti ed ignorano i fatti. Noi non siamo
violenti perch=E9 siamo le vittime della violenza. Questo non significa che
non dovremmo difendere i nostri diritti umani con la violenza quando fosse
necessario. La questione =E8 coinvolta con lo stato di coscienza del popolo =
e
come questa violenza viene percepita - necessit=E0 del momento, o inutile.=
=20

Sante Camo New York

Il terreno di lotta=20
non lo scegliamo noi
Caro compagno Curzi, penso che Mario Tronti abbia perfettamente ragione, in
particolare quando ritiene che le forme di lotta violenta intraprese dai
comunisti nel corso della loro lunga storia non sono state volute dai
comunisti stessi e dal movimento operaio, ma essi sono stati costretti ad
adottarle perch=E9 in tali circostanze quello era il terreno concreto di
lotta n=E9 ci si poteva estraniare dalla lotta. Potevano forse i partigiani
utilizzare metodi non violenti di lotta contro la violenza nazifascista?
Sarebbe veramente ingenuo ed antistorico rispondere affermativamente a
questa domanda. Come ci insegna il marxismo esiste una fondamentale
differenza tra il pentimento, che non ci appartiene, e l'autocritica che =E8
parte integrante del nostro modo di fare politica.=20

Pablo Genova Pavia

Se avessero ragione=20
le donne?=20

Caro direttore, vedo i rischi dello schematismo nel modo di porre la
questione della nonviolenza (e, tuttavia, mi ha colpito il fatto che le
uniche voci di dissenso rispetto ad essa siano voci, e scritti, di segno
maschile. Certo, pu=F2 essere un caso. Ma forse no. E se, ancora una volta,
avessero ragione le donne?). L'idealismo lo vedo, al contrario, dalla parte
di chi, sorvolando sull'esperienza storica (e sui suoi fallimenti), tratta
i temi della "forza", della "rottura rivoluzionaria", del "progetto",
dell'"organizzazione" (in altri termini la "teoria della rivoluzione") come
propedeutici rispetto all'azione politica nel vivo del movimento reale.
Contraddicendo, in tal modo, non solo il Marx che ragiona sulla Comune, ma
lo stesso Lenin che costruisce, sperimentando sul campo, sia il partito
bolscevico che le politiche successive al 1917, compresa la Nep. Per non
parlare di Gramsci, il quale pure fu a suo tempo accusato di idealismo e
gradualismo nel suo ragionare sulla complessit=E0 del tema della rivoluzione
in occidente, la centralit=E0 della questione contadina, la conquista della
societ=E0 civile, la reimpostazione in senso non meccanicistico del rapporto
fra struttura e sovrastruttura, compiendo qui un'innovazione teorica di non
poca portata, poich=E9 giungeva a contemplare il cambiamento strutturale
anche a partire dall'azione sovrastrutturale (Cosa =E8, d'altronde, avvenuto
nel '68? E cosa col movimento femminista? E cosa avviene, oggi, col
movimento dei movimenti?).=20

Claudio Buttazzo Bologna

E' possibile un'azione=20
di forza nonviolenta
Gentile direttore, la mia impressione =E8 che ci sia una grande confusione d=
i
termini: per esempio si continua a confondere la parola forza con la parola
violenza. Ma proprio il caso di Milano ha dimostrato la forza di un'azione
nonviolenta che ha consentito ad un attore sociale, la parte pi=F9 debole, d=
i
vincere. Quindi, forza e violenza non sono sovrapponibili: ci pu=F2 essere
un'azione di forza violenta come un'azione di forza nonviolenta. Noi
obiettori di coscienza abbiamo fatto la nostra "rivoluzione culturale"
cambiando mentalit=E0, atteggiamenti e leggi. E senza fare neanche un morto.
A quale prezzo? Con anni di galera scontati nei carceri militari che negli
anni sessanta erano tutt'altro che alberghi a tre stelle e, dopo la legge
del 1972 che ha finalmente riconosciuto l'obiezione di coscienza, con
milioni di ore di servizio civile fatto da decine di migliaia di giovani
che hanno servito la "Patria" aiutando le fasce sociali pi=F9 deboli,
occupandosi dell'inquinamento o della protezione ambientale o di quella
civile. A chi dice che la nonviolenza =E8 una pratica che non esiste rispond=
o
che non sa o non vuol vedere e se la violenza ha portato tragedie perch=E9
vogliamo continuare a "farci del male"?=20

Sergio Bergami Padova

Non porgiamo=20
l'altra guancia
Caro direttore, se si accetta - e mi pare scontato - la realt=E0 della
societ=E0 divisa in classi, del colonialismo, dell'imperialismo, del
nazifascismo, e delle dittature anticomuniste (come "longa manus" yankee),
appare in tutta evidenza l'inaudita violenza perpetrata ai danni di milioni
di esseri umani, derivata dal feroce sfruttamento quotidiano, dalle guerre
di aggressione verso popoli inermi e dalla cancellazione dei pi=F9 elementar=
i
diritti umani. Mi pare inutile in questa sede dilungarci sui crimini del
capitalismo come anche su quelli commessi da alcuni regimi totalitari
pseudocomunisti, ma credo sia pi=F9 opportuno affermare il diritto/dovere
alla resistenza e alla ribellione contro l'oppressione. Quali forme queste
debbano assumere non possono essere codificate "a priori", ma =E8 la Storia
stessa a determinarli, in base alle contingenze, ai rapporti di forza, alle
scelte collettive e alla cultura di chi si oppone al "tallone di ferro".
Altro principio-guida irrinunciabile =E8 senz'altro che i fini non
giustificano i mezzi. Nel senso che non sempre tutto =E8 lecito perch=E9
attuato contro l'oppressore: crudelt=E0, stermini indiscriminati contro
civili, sono, ad esempio, azioni di aborrire non solo perch=E9 eticamente
intollerabili, ma perch=E9 confondono i connotati tra aggressore e aggredito=
,
tra oppresso e oppressore, perch=E9 impediscono un'immediata individuazione
tra causa giusta e causa scellerata. In una parola, giusta =E8 la linea di
condotta attuata dalla resistenza contro il nazifascismo. Insomma, fini e
mezzi debbono coincidere.=20

Roberto Giuliani
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"Eppure il vento soffia ancora...."

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antonio bruno FORUM AMBIENTALISTA MOVIMENTO ROSSO VERDE 339 3442011
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