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Autore: P.Giordano
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Oggetto: [Cm-roma] Re: [Cm-roma Il diktat del "panino": dimissioni del vicedirettore del tg1
IL COMMENTO
Il diktat del "panino"
di SEBASTIANO MESSINA

UN VICEDIRETTORE che se ne va perché non vuole più stare al gioco di Mimun,
con la solidarietà di trenta colleghi, non è una faccenda interna del Tg1. È
il primo ingranaggio che si rompe, rumorosamente e clamorosamente,
nell'oliatissima macchina blindata di un telegiornale ormai del tutto
berlusconizzato. E' il primo vero segnale di dissenso che si leva
dall'interno del primo tg italiano contro l'uso delle notizie come strumento
di persuasione occulta del telespettatore.

Chi è abituato a leggere le vicende della Rai come un braccio di ferro
quotidiano per la gestione del potere potrà trovare incomprensibile e forse
autolesionista, il gesto a sorpresa di Daniela Tagliafico - cioè la rinuncia
a una posizione di comando da parte dell'unico vicedirettore del Tg1 non
omogeneo alla linea filo-berlusconiana di Clemente Mimun - per quella che
può sembrare solo un'arida questione di impaginazione del notiziario, ovvero
la tecnica del "panino".

E invece mai come in questo caso una lettera di dimissioni ha messo davanti
agli occhi di tutti, anche di chi faceva finta di non vedere, una questione
fondamentale per la democrazia italiana: il taroccamento dei telegiornali,
ovvero l'arte di addomesticare le notizie.

Il "panino", il bersaglio principale della lucidissima lettera della
Tagliafico, non è infatti un simpatico giochino dell'ora di pranzo né un
divertente esempio del gergo redazionale. Il "panino" è un metodo
sistematico per il confezionamento delle notizie di giornata, una tecnica
scientifica per separare nettamente, senza che il telespettatore se ne
accorga, le Verità del governo dalle Parole dell'opposizione.
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Il suo schema è semplice come quello di un sandwich: la parte del pane
spetta alla maggioranza, cioè a Berlusconi, e quella della fettina di
prosciutto all'opposizione. Qualunque sia il tema del giorno, qualunque cosa
abbiano detto Berlusconi o Rutelli, Bossi o D'Alema, Fini o Prodi, quando il
Tg1 arriva al capitolo della politica il telespettatore si vede consegnare
il suo "panino" quotidiano.

La prima fetta di pane tocca sempre al governo: è una fetta abbondante e
saporita, ricca di immagini e di dichiarazioni che i ministri rilasciano a
una telecamera, senza che nessun giornalista faccia mai loro uno straccio di
domanda. Poi la parola passa all'opposizione: una frasetta di Fassino, una
dichiarazioncina di Rutelli, una svelta citazione di Pecoraro Scanio,
insomma un riassuntino insapore e incolore di un dibattito che sembra privo
di senso.
A quel punto la palla torna alla maggioranza, cui tocca la seconda fetta di
pane: così appaiono a turno il rubizzo Calderoli, il sardonico Nania e il
curiale Sandro Bondi, lo sghignazzante Schifani, che si prendono
puntualmente il compito di ribattere al centro-sinistra.

Così, dietro una distribuzione apparentemente imparziale degli spazi - un
terzo al governo, un terzo all'opposizione, un terzo alla maggioranza: come
se il governo e la maggioranza fossero avversari - si nasconde un subdolo
metodo persuasivo che, come ha ricordato Umberto Eco, applica un'infallibile
regola mediatica: "Ha ragione chi parla per ultimo".

E' solo un dettaglio che il "panino" non sia nato al Tg1, ma al Tg2, dove
Mimun lo applicava già durante il governo dell'Ulivo (e già allora riusciva
a dare a Berlusconi l'ultima parola: non si può dire che non sia coerente).
Da quando il centro-destra ha preso il potere anche a Viale Mazzini, però,
il telegiornale di RaiUno è diventato un laboratorio di taroccamento della
realtà, dalla depurazione dell'audio dell'imbarazzante sfuriata del premier
contro il tedesco Schulz all'aggiunta di un pubblico fittizio, in sala
montaggio, al suo discorso alle Nazioni Unite. Per non parlare dei titoli al
bromuro, degli scontri tra Palazzo Chigi e il Quirinale nascosti dentro una
nebbia di altre polemiche, delle cattive notizie annegate nei pastoni.

E' un buon segno, dunque, che a Saxa Rubra ci sia ancora qualcuno che abbia
il coraggio di dire "non ci sto", come ha fatto Daniela Tagliafico, così
come è un buon segno che con lei si siano schierati - con la prevedibile
eccezione del neopromosso Giorgino - quasi tutti coloro che oggi prestano il
volto e il nome al Tg1, da Lilli Gruber a David Sassoli, da Tiziana Ferrario
a Maria Luisa Busi, denunciando pubblicamente una "situazione
intollerabile". Ormai non sono in gioco gli equilibri politici di una
redazione - che al cittadino interessano assai poco - ma l'identità,
l'autorevolezza e la credibilità del primo telegiornale italiano.


(26 gennaio 2004)