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SMOG, L'EMERGENZA CHE NON C'È

Articolo di Francesco Ramella pubblicato Lunedì 28 Gennaio da Il Sole 24
Ore, pag. 1

"Siamo arrivati ad un punto in cui ci stiamo giocando davvero la salute…
dobbiamo deciderci se vivere o morire". "Si muore di polveri nelle nostre
città". "Lo smog uccide 3.500 persone l’anno". La nostra sarebbe nientemeno
che "l’Età dei Veleni". Qualcuno ha persino sostenuto che, di 56milioni di
italiani, una trentina sarebbe di troppo. Ma la situazione è davvero così
drammatica? Sono giustificabili i divieti di circolazione? E quali sono le
soluzioni?

La qualità dell’aria: mai così buona come oggi

Grazie agli sforzi compiuti in tutti i settori (industria, riscaldamento e
circolazione), l’aria è complessivamente assai più pura oggi di quanto lo
sia stata da un secolo. Dopo oltre cento anni dalla scomparsa, i licheni,
estremamente sensibili all’inquinamento, sono ricomparsi nel centro di
Parigi. Lo smog degli inverni londinesi non è che un ricordo. Oggi, la
concentrazione media delle polveri nelle città europee è inferiore di cento
volte rispetto ai valori registrati a Londra negli anni ’50.

A Milano, negli ultimi dieci anni: il biossido di zolfo è passato dai 79
microgrammi per metrocubo agli 11 (-86%); gli ossidi di azoto sono diminuiti
da 255 a 141 microgrammi (-45%); l’ossido di carbonio è stato abbattuto dai
5,8 ai 2 microgrammi per metro cubo (-65%); il benzene è passato da 55 a 5
microgrammi (-90%). Non risponde quindi a verità l’affermazione secondo la
quale l’incremento della mobilità avrebbe vanificato i benefici della
riduzione di emissioni conseguita grazie al progresso tecnologico.

Oggi, però, l’attenzione è concentrata sulle cosiddette micropolveri (PM10)
cui viene attribuita la parte largamente predominante dei danni
dell’inquinamento atmosferico. E’ diminuita la concentrazione delle
micropolveri rispetto al passato? Per quanto riguarda l’Italia, non è
possibile dare una risposta certa a tale domanda in quanto sono disponibili
rilevazioni solo per pochissimi anni. Si può però ragionevolmente ipotizzare
che, anche per questo inquinante, la situazione stia progressivamente
migliorando. Secondo i dati forniti dall’EPA (l’agenzia per l’ambiente degli
Stati Uniti), le emissioni complessive di PM10 sono diminuite dal 1960 ad
oggi di oltre due terzi. E, più importante, dal 1988 - anno in cui sono
iniziate le rilevazioni - al 2000 la concentrazione delle micropolveri
nell’aria è diminuita del 25%.

Chi emette le polveri sottili?

Non vi è dubbio che, in ambito urbano, sia da addebitare al traffico
veicolare la maggior parte delle emissioni di micropolveri. Occorre però
distinguere (e quindi intervenire) secondo il tipo e le caratteristiche di
ogni veicolo. Secondo i dati forniti dall’ARPA della regione Toscana, le
auto catalizzate (circa i 2/3 del parco circolante) emettono
complessivamente l’1% delle polveri sottili, il 7% è attribuibile alle auto
non catalizzate ed il 92% ai veicoli commerciali, agli autocarri ed ai bus.

Occorre inoltre sottolineare che, in base agli standard previsti dalla UE,
per tutti i principali inquinanti, le emissioni delle auto che saranno
vendute a partire dal 2005 saranno inferiori di oltre l’80% rispetto a
quelle di un veicolo prodotto negli anni ’80. Per quanto riguarda più
direttamente il particolato e le particelle incombuste, una casa
automobilistica francese ha recentemente immesso sul mercato un’autovettura
con alimentazione a gasolio le cui emissioni, certificate dall’ufficio
federale tedesco dell’ambiente, sono venticinque volte inferiori al limite
imposto dalla UE.

Il blocco del traffico: un provvedimento ingiustificato

Non esiste alcuna prova certa di un solo decesso legato esclusivamente
all’inquinamento atmosferico; per alcuni individui particolarmente
vulnerabili l’inquinamento costituisce un fattore aggravante piuttosto che
una causa diretta di morte. Si moriva di smog a Londra negli anni ’50 ma,
come detto, da allora la qualità dell’aria nelle città è progressivamente
migliorata.

D’accordo, non si muore. Ma quanti anni di vita ci ruba l’inquinamento
atmosferico? Nessuno. Lo scorso anno l’ISTAT ha pubblicato una statistica
sulla durata media della vita nelle Province italiane. Nel 1995 la vita
media in Italia era di 77,9 anni: a Roma ed a Milano, le due città a più
elevata densità di traffico, la speranza di vita era rispettivamente di 78 e
78,2 anni. Diversa era la situazione nel passato. Nel 1850, la speranza di
vita a Londra era pari a 35 anni contro i 40 nel resto della Gran Bretagna.
Una differenza ancora più accentuata si riscontrava all’inizio del ‘900
negli Stati Uniti: nelle aree urbane la vita media era di quaranta anni a
fronte dei 54 nelle aree rurali.

In ogni caso, per quanto marginale, non si può negare che esista un effetto
negativo della "cattiva" qualità dell’aria sulla salute. E’ questa una buona
ragione per bloccare la circolazione?

Se così fosse, dovremmo essere coerenti fino in fondo. E bloccare il
traffico non un giorno alla settimana ma sempre. Negli scorsi quindici
giorni di "allarme smog" non vi è una sola persona in Italia che, uscita di
casa al mattino in buone condizioni di salute, non vi abbia fatto ritorno
alla sera perché uccisa dallo smog. In quegli stessi giorni, sulle strade
italiane sono morte più di duecento persone e molti di più sono stati i
feriti gravi. Ci preoccupiamo quindi della pagliuzza e non vediamo la trave.

Senza dimenticare poi il fatto che il blocco del 70% delle auto private
equivale ad una riduzione delle emissioni di micropolveri dell’ordine
dell’1% (sarebbe molto più efficace il blocco dei bus alimentati a gasolio).

Quale soluzione?

Tra le svariate idee avanzate in questi giorni, ve n’è una che ha raccolto
un consenso quasi unanime. Per ridurre la mobilità privata occorre investire
per migliorare i servizi di trasporto pubblico, in particolare il trasporto
su rotaia (metropolitane e ferrovie regionali). Tale tesi non trova conferme
nelle realtà. La capacità di sottrarre traffico alla strada da parte di
nuove infrastrutture di trasporto collettivo è assai modesta. Esistono
numerosi esempi di realizzazione di sistemi di trasporto collettivo in
ambito urbano che non hanno comportato alcuna rilevante riduzione della
mobilità privata e della congestione (alcuni amministratori hanno sostenuto
che, poiché il miglioramento dei servizi di trasporto pubblico non è
sufficiente a ridurre la mobilità privata, occorre deliberatamente
peggiorare le condizioni di circolazione). Londra dispone di un’eccellente
rete di metropolitana ma l’attuale dibattito sul problema traffico ricalca
molto da vicino quello in corso in Italia.

La strada da perseguire non sembra quindi essere quella del potenziamento
del trasporto collettivo (al contrario, è possibile ridurre drasticamente il
livello dei sussidi per la gestione dei servizi: a Londra i ricavi tariffari
coprono oltre l’80% dei costi di produzione) ma, piuttosto, la realizzazione
di autostrade sotterranee ("metrostrade") a pedaggio. Pur avendo costi di
investimento analoghi a quelli di una metropolitana, una "metrostrada"
presenta i seguenti vantaggi: una più elevata quota di traffico di
superficie attratta e, dunque, maggiori benefici ambientali e in termini di
sicurezza, costi di esercizio più contenuti, introiti da traffico nettamente
più elevati ed in grado di ripagare in tempi brevi l’investimento. A Oslo,
negli anni ’90 è stato realizzato un tunnel che attraversa la città.
L’investimento sarà ripagato nell’arco di poco più di un decennio grazie ai
pedaggi riscossi per l’accesso nell’area urbana. Come ha dichiarato il
presidente dell’Unione dei trasporti pubblici francesi: "Per conquistare
appena uno o due punti di quota di mercato nei confronti dell’automobile,
dovremmo investire cifre colossali in trasporti collettivi. Mandiamo
piuttosto le automobili sottoterra".

Franco Ramella

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