Autore: Tuula Haapiainen Data: Oggetto: [Cerchio] Alle origini della parola
Alle origini della parola
Non è facile fare un inventario di tutti i comportamenti, di tutti i tabù,
di tutti i detti, i proverbi, i costumi, le usanze, le istituzioni che
negano alla donna l'uso della «parola». Si tratta di una rete così estesa e
così costante di tratti culturali che praticamente va rintracciata in tutti
i tempi, in tutte le culture, in tutti i campi, anche quelli più lontani
dalla parola stessa. In tutte le culture c'è stata e c'è ancora una volontà
esplicita di sottrarre alla donna l'uso della parola, una volontà alla cui
base si trova una motivazione culturale profondamente radicata
nell'inconscio: la posizione stessa della donna nei confronti della parola,
alle sue origini e nel suo significato essenziale.
La cultura è stata definita più volte come un sistema di comunicazione
simbolica, ma se la cultura nasce necessariamente come "comunicazione", cioè
come legame di un gruppo con un altro gruppo, è anche vero che la
possibilità di comunicare si fonda su una consonanza, su una volontà di
rapporto che giustamente Lévi-Strauss chiama un'alleanza, un patto, uno
scambio. Seguendo quello che è ormai un dato accettato da tutti gli
antropologi, e messo in luce da Lévi-Strauss in Strutture elementari della
parentela, è necessario che le donne vengano scambiate perchè la vita
sociale dei gruppi esista. Il divieto dell'incesto, sul quale si fonda la
necessità di sposarsi fuori dal gruppo, lungi dall'essere un fenomeno
naturale, è solo la condizione indispensabile per assicurare la circolazione
e lo scambio delle donne tra i gruppi. «Nel momento stesso in cui io vieto a
me stesso di usare una donna, della quale di conseguenza un altro uomo può
disporre, c'è da qualche parte un uomo che rinuncia a una donna che, perciò,
diviene disponibile per me. Il contenuto della proibizione dell'incesto non
si esaurisce nel fatto della proibizione: questa viene stabilita solo per
garantire e fondare, direttamente o indirettamente, immediatamente o
mediatamente, un processo di scambio».
Il punto forse più importante di questa argomentazione di Lévi-Strauss, che
dimostra come la cattiva coscienza del maschio possa agire perfino su uno
studioso dal rigore logico ineccepibile, è quello in cui Lévi-Strauss tenta
di attenuare in qualche modo la gravità della teoria sullo «scambio delle
donne», sostenendo che l'alleanza, tutto sommato, avrebbe potuto formarsi
anche facendo circolare gli uomini. «Le lettrici di questo saggio, che
potranno rimanere turbate nel vedere il genere femminile trattato come una
merce sottoposta a transazione fra operatori maschili, possono consolarsi
tenendo conto che le regole del gioco rimarrebbero inalterate se decidessimo
di considerare gli uomini come oggetti di scambio per gruppi di donne». Ma
questa ipotesi ovviamente non regge. Prima di tutto perchè, come è chiaro,
la storia è data da ciò che è realmente avvenuto e non da ciò che sarebbe
potuto avvenire. Ma anche e soprattutto in base alla spiegazione causale
dello scambio che lo stesso Lévi-Strauss sottolinea: «Il più importante
degli scambi è quello che riguarda le donne. Perchè le donne costituiscono
il bene per eccellenza. E soprattutto perchè le donne non sono tanto un
"segno" di valore sociale quanto uno "stimolo" naturale e per giunta lo
stimolo del solo istinto la cui soddisfazione possa essere differita. E di
conseguenza il solo per cui, all'atto dello scambio, grazie alla percezione
della reciprocità, possa operarsi quella trasformazione dallo stimolo al
segno che, definendo in tal modo il passaggio dalla natura alla cultura, può
svilupparsi come istituzione». Lo stimolo di cui si tratta è l' «istinto
sessuale maschile» e quindi la regola culturale, il nuovo ordine, appaiono
ineluttabilmente instaurati dal maschio. La donna diventa oggetto
privilegiato e al tempo stesso significativo della cultura dato che la
cultura, prima ancora che organizzazione sociale, è scoperta e attribuzione
di significati. La donna è il sesso che viene oggettivato per funzionare
come "segno" culturale. Lo scambio che avviene con la circolazione delle
donne stabilisce la possibilità di comunicazione tra i gruppi stessi
attraverso il "dono". Il dono infatti, esprime la diversità tra chi dona e
chi riceve, ma stabilisce anche una possibilità d'identità, perchè donare
significa portare all'esistenza altrui qualcosa di sè: l'oggetto dato è una
parte del proprio io che, nel momento in cui viene accettato, stabilisce il
circuito della reciprocità e il principio d'identità tra chi dona e chi
riceve. Il dono è comunicazione, è "segno" significante che pone la
possibilità di un linguaggio comune attraverso un valore che è identico per
tutti e quindi comprensibile per tutti. La donna è questo "valore" percepito
immediatamente da tutti i maschi come tale e il dono delle donne pertanto è
a fondamento della struttura simbolica della comunicazione culturale. La
donna è il primo segno e la riserva d'oro su cui viene garantita
reciprocamente tra i gruppi la sostanza della loro parola, il suo valore, la
sua verità. La comunicazione, poi, una volta avviata con lo scambio delle
donne, continua con la forza stessa che sostiene la parola tra gli uomini,
una parola che non è mai vuota perchè è costruita su una pietra angolare che
non può e non deve mai venire meno: la donna.
Il problema del rapporto della donna con la parola nasce da qui, da questa
radice prima della formazione della cultura. La donna è la parola delle
parole, segno e simbolo della comunicazione tra gli uomini, contenuto
fondante di tutte le loro parole, di tutti i loro patti, che appunto in un
solo caso diventerebbero vuoti, se le donne si rifiutassero di essere
«segni» per l'uomo.
Ida Magli - "Potenza della parola e silenzio della donna" (DWF - 1976)