Venerdì 16-01-2004
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http://www.interno.it/news/pages/2004/200401/news_000019109.htm>
Immigrazione: il Sottosegretario all'Interno Mantovano traccia un 
primo bilancio sulla attuazione della legge 189 del 2002
CONFERENZA DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO On.le ALFREDO MANTOVANO
"Immigrazione: primo bilancio della Legge 189/2002 e del Semestre di 
Presidenza Italiana dell'Unione Europea"
 Ringrazio il Gen. Siazzu, i frequentatori della Scuola e le autorità 
presenti. Cercherò di riportare in sintesi le linee guida della legge 
189 del 2002 e dell'azione di Governo in cui questo intervento 
riformatore si è inserito. L'azione di governo ha a sua volta 
conosciuto una intensificazione di iniziative soprattutto negli 
ultimi sei mesi, coincisi con la Presidenza del Consiglio dell'Unione 
Europea. Ovviamente tratterò aspetti di carattere generale e politici 
perché in sala più di uno, e molto meglio di me, potrebbe 
approfondire gli aspetti tecnici.
 La prima linea guida delle modifiche apportate, risponde, per 
riprendere una terminologia che si sta facendo strada in sede 
europea, al principio di condizionalità. Tenere conto di questo 
principio significa convincersi che il profilo più importante per 
affrontare in generale il tema dell'immigrazione, non soltanto 
nell'aspetto patologico dell'immigrazione clandestina, ma pure nella 
sua dimensione di quadro, privilegia i rapporti con i paesi di 
origine o di transito. Li privilegia nelle relazioni bilaterali ma 
anche e soprattutto (e questo è stato uno sforzo che l'Italia, in 
particolare il Ministro Pisanu, hanno sostenuto nel semestre di 
Presidenza italiana dell'Unione Europea) nei rapporti fra l'Unione 
nel suo insieme e i singoli Paesi di provenienza. Del principio di 
condizionalità vi è traccia già nel primo articolo della legge 189: 
al comma 2 si dice testualmente che "nella elaborazione, nella 
eventuale revisione dei programmi bilaterali di cooperazione e di 
aiuto per lo sviluppo, il Governo tiene conto anche della 
collaborazione prestata dai Paesi interessati alla prevenzione dei 
flussi migratori legali, al contrasto delle organizzazioni criminali, 
agli accordi di riammissione, agli accordi giudiziali", e così via. 
Questa terminologia non è vincolante, deterministica, ma è 
condizionante; si ritrova esattamente negli stessi termini nelle 
conclusioni del Vertice europeo di Siviglia sull'immigrazione del 
giugno 2002. Ci sono state molte critiche quando questo passaggio è 
venuto all'esame del Parlamento, ma il quadro europeo si sta 
orientando con decisione in questa direzione, e un riscontro più 
concreto di questo "tener conto" si rintraccia anche nell'art. 17 
comma 1, lettera a), della stessa legge: nello stabilire le quote, 
nei decreti sui flussi d'ingresso, si possono prevedere restrizioni 
numeriche all'ingresso di lavoratori di Stati che non collaborano 
adeguatamente nel contrasto all'immigrazione clandestina, in 
particolare nella riammissione dei propri cittadini destinatari di 
provvedimenti di rimpatrio. Questa norma tollera una lettura non in 
termini meramente negativi, di sanzione, bensì pure una positiva, 
perché nel "tener conto" ai fini della inclusione in quote 
privilegiate nei decreti flussi vale a maggior ragione l'ipotesi di 
comportamenti positivi di collaborazione. Se ne è avuta conferma nei 
decreti flussi del 2002-2003 e anche in quello per il 2004, che hanno 
dato dei segnali concreti allorché hanno previsto migliaia di nuovi 
ingressi regolari per quote privilegiate, alcune delle quali sono 
state riservate per la prima volta a Paesi che hanno mostrato di 
recente una collaborazione attiva su questo fronte; ne cito due, 
particolarmente significativi per le ragioni che dirò tra qualche 
istante: l'Egitto e lo Sri Lanka. In passato queste quote 
privilegiate erano riservate esclusivamente a Tunisia, Marocco e 
Albania.
 Questo aspetto è di particolare importanza, perché la collaborazione 
a monte è certamente la più efficace, quella che evita tragedie, 
quella che consente di raggiungere risultati più concreti, e di 
muoversi anche nella prospettiva di una integrazione reale; si parla 
a proposito di immigrazione di un certo ritardo culturale, e quindi 
anche politico, dell'Italia nell'affrontare questo tema a fronte di 
una esperienza più consolidata di Paesi come il Regno Unito e la 
Francia: personalmente dissento da questa valutazione, perché 
l'esperienza del Regno Unito, della Francia, dei Paesi che hanno una 
storia in qualche modo analoga é totalmente diversa rispetto alla 
dimensione del fenomeno in Italia. Lì vi era una comunità anche 
culturale, prima ancora che politica, consolidata nel bene e nel male 
da un passato coloniale; qui ci si trova di fronte a provenienze di 
extracomunitari le più diverse e le più disparate, nei confronti 
delle quali è veramente difficile trovare dei comuni denominatori. 
Anzi, la concentrazione di esperienze che l'Italia ha avuto negli 
ultimi quindici anni le consente di avanzare in sede europea 
soluzioni che al tempo stesso sono innovative ed equilibrate, evitano 
e temperano alcune proposte che vengono da altri Paesi, e che - se 
fossero applicate - non contribuirebbero a circoscrivere le tragedie 
che si consumano in mare. Voglio dire che non è il contrasto in mare 
l'elemento risolutivo del quadro, ma è lo sforzo politicamente 
impegnativo per impedire, grazie alla collaborazione del Paese 
d'origine o di transito, che il natante a rischio prenda il largo. 
Proprio perché si è privilegiato questo tipo di lavoro, si è 
verificato negli ultimi due anni, come tutti sanno, un significativo 
mutamento nelle rotte della clandestinità. Il canale d'Otranto è 
praticamente chiuso all'immigrazione clandestina; dalla fine di 
agosto del 2002 non c'è stato un solo gommone che sia giunto sulle 
coste pugliesi: il che non significa che tutti i problemi siano 
risolti, né significa che non arrivi qualcosa di illecito dall'altra 
sponda dell'Adriatico. Significa che vi è un rispetto di accordi che 
erano stati sottoscritti da tempo; i numeri parlano da sé, perché i 
clandestini intercettati in Puglia nei primi undici mesi di 
quest'anno sono stati 137, erano stati 3363 nei primi undici mesi del 
2002 e 8244 nei primi undici mesi del 2001. Quindi non è azzardato 
dire che la rotta del canale d'Otranto è praticamente chiusa.
 Discorso simile va fatto a proposito delle coste calabresi, che non 
sono state interessate dai gommoni, bensì, negli anni passati, 
soprattutto dalle carrette del mare che partivano dalla Turchia o 
transitavano dal canale di Suez: grosse imbarcazioni con 800, o 1000, 
o più persone a bordo; anche qui i numeri parlano da sé, se è vero 
che nei primi undici mesi del 2003 i clandestini intercettati in 
Calabria sono stati 177, mentre erano stati 2117 nello stesso periodo 
del  2002 e 6093 nello stesso periodo del 2001. La collaborazione da 
parte di paesi come la Turchia, l'Egitto e lo Sri Lanka consente di 
registrare questo risultato estremamente positivo. Il punto debole 
continua ad essere la Sicilia, le sue coste meridionali, le isole di 
Pantelleria e soprattutto Lampedusa. Ma anche sulle coste meridionali 
della Sicilia si registra un calo; mi rendo conto che esporre dei 
numeri è poco significativo nel momento in cui anche nel 2003 ci sono 
state tante tragedie del mare. Però i numeri servono ad avere una 
visione d'insieme del fenomeno; i clandestini rintracciati in Sicilia 
nei primi undici mesi del 2003 sono stati 13899 a fronte dei 17032 
dello stesso periodo del 2002. Devo dire, non per forzare i dati, che 
poiché la maggior parte dei clandestini che giungono in Sicilia 
arrivano in realtà a Pantelleria e a Lampedusa, il dato registrato 
corrisponde grosso modo a quello reale, mentre invece il dato 
ufficiale che si riferiva alla Puglia e alla Calabria presentava dei 
margini e delle distanze rispetto a quello reale: con coste lunghe e 
frastagliate - quali quelle delle due regioni - tanti sfuggivano alla 
registrazione; seguendo questo tipo di ragionamento, non mi sembra 
fuori luogo affermare che vi è un calo complessivo superiore rispetto 
al dato numerico fornito in queste rilevazioni.
 La rotta prevalente oggi è quella che attraversa i confini 
meridionali della Libia con varie provenienze e poi si riversa sulle 
coste libiche, e in parte anche su quelle tunisine. Non utilizza nel 
tratto finale gommoni, ma pescherecci che si prestano a questo tipo 
di traversata; sono in corso da tempo contatti bilaterali di 
diplomazie, il Ministro Pisanu ha incontrato il Leader libico nel 
mese di luglio, e qualche riscontro concreto c'è stato, perché si 
segnala, proprio a seguito di quell'incontro e dei primi accordi 
intrapresi sia pure in modo informale, un calo di partenze dalle 
coste libiche. Il lavoro è però tutt'altro che agevole per una serie 
di circostanze: prima fra tutte, ma non l'unica, la permanenza 
dell'embargo dell'Unione Europea, che resiste nonostante la revoca 
dell'embargo da parte dell'ONU; come tutti sanno, un accordo di 
collaborazione ha bisogno per reggersi anche di beni materiali (in 
questo caso motovedette, elicotteri ecc.), che non si possono cedere 
alla Libia in presenza di questa preclusione.
 Notizie positive provengono dall'Egitto, grazie alla collaborazione 
instaurata a partire da una bozza di accordo che è stata sottoscritta 
con le autorità del Cairo nel maggio del 2002, e che ha consentito di 
inviare al Cairo, e più in particolare sul canale di Suez, un nostro 
ufficiale di collegamento: è un colonnello della Guardia di finanza, 
che è lì già da oltre un anno, per fornire uno scambio di 
informazioni in tempo reale. Il dato più significativo e la 
conseguenza più rilevante di questo accordo è costituita dal fatto 
che in più di una circostanza, tre se non ricordo male, le autorità 
egiziane hanno fermato prima dell'ingresso nel Canale delle 
imbarcazioni cariche di clandestini, e le nostre forze di polizia 
hanno mandato sul posto dei voli charter che hanno fatto salire a 
bordo i clandestini e li hanno riaccompagnati nei paesi di origine 
(soprattutto nello Sri Lanka). E' una sorta di difesa avanzata, che 
presenta costi minori rispetto a tollerare il passaggio delle navi e 
a far sì che entrino nel Mediterraneo, e quindi arrivino in Italia, 
con tutti i problemi conseguenti. È già accaduto tre volte e ha fatto 
diminuire notevolmente la frequenza su quel tipo di rotta.
 La politica dei flussi si è raccordata in modo stretto con quella 
del contrasto, per far sì che ci sia un binario parallelo tra la 
repressione e l'integrazione; sono stati sottoscritti nuovi accordi: 
vorrei segnalare in modo particolare quelli, oltre che con Malta e 
Cipro, con la Moldavia e con lo Sri Lanka; quest'ultimo si sta 
rivelando particolarmente efficace, col riconoscimento alle autorità 
cingalesi delle quote privilegiate sia per il 2002 che per il 2003. 
Si è ottenuto in cambio un controllo molto stretto in partenza, che 
ha abbattuto notevolmente l'arrivo di clandestini da quello Stato.
 
 La seconda linea guida dell'intervento legislativo è il raccordo 
stretto tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro. Anche 
su questo aspetto, come tutti ricorderanno, la discussione in 
Parlamento è stata molto animata, ma anche in questo caso l'Italia ha 
anticipato un orientamento sul quale l'Unione europea si sta 
definitivamente attestando, sulla base dei lavori preparatori della 
direttiva che ormai pendono da oltre due anni, in materia di ingresso 
regolare; l'ingresso regolare in questa proposta di direttiva viene 
collegato strettamente con un contratto di lavoro. Non vi è stata, a 
differenza delle critiche ascoltate dentro e fuori il Parlamento 
durante l'esame della legge, nessuna equiparazione 
dell'extracomunitario a una merce: l'extracomunitario ha delle 
prospettive di lavoro che sono diversificate; può esserci 
l'intenzione di permanere nel nostro territorio limitatamente a una 
parte dell'anno per svolgere un lavoro stagionale, che può anche 
essere ripetuto nel corso degli anni: la legge viene incontro a 
questa periodicità di soggiorno breve sul nostro territorio allorché 
il comma 3 ter dell'articolo 5 prevede la possibilità di permessi di 
soggiorno triennali per chi svolga ogni anno lavori stagionali. 
Questo semplifica la vita all'extracomunitario e al personale delle 
questure. Può esservi una prospettiva di lavoro a tempo determinato: 
un anno e poi si torna nel paese d'origine; può esservi, infine, una 
prospettiva di lavoro tendenzialmente a tempo indeterminato: in tal 
caso il permesso di soggiorno è per due anni, ed è rinnovabile se 
continua il lavoro per arrivare ai sei anni. Decorsi sei anni, può 
essere richiesta la carta di soggiorno. Nella legge è stata peraltro 
confermata, sia pure con una contrazione temporale, la possibilità 
che in caso di perdita del lavoro si possa rimanere sul territorio 
nazionale per un periodo di sei mesi per trovare un altro lavoro. Vi 
è ancora qualche nostalgico dell'istituto dello sponsor, che la legge 
ha abolito: tale abolizione è però avvenuta sulla base di una 
valutazione obiettiva di dati; l'ultimo decreto relativo agli 
sponsor, che risale all'aprile del 2001, aveva consentito l'utilizzo 
degli sponsor per 15 mila extracomunitari, ma aveva fatto registrare 
il 60 per cento di richieste da parte di garanti stranieri; questo 
non ha portato ad una valutazione automaticamente negativa, ma è 
stato considerato con attenzione perché ha aperto ipotesi e scenari 
che per ragioni obiettive non lasciavano tranquilli. Si è abolito 
l'istituto dello sponsor, immaginando percorsi che valorizzino una 
integrazione effettiva: per questo l'articolo 19 della legge, che ha 
modificato l'articolo 23 del Testo Unico, ha previsto dei titoli di 
prelazione; nell'ambito di programmi approvati, organizzazioni 
sindacali, organizzazioni di categoria, associazioni di volontariato, 
Regioni ed enti territoriali possono attivare programmi di istruzione 
e di formazione professionale nei Paesi di origine: la frequentazione 
di questi corsi rappresenta titolo di prelazione per l'ingresso in 
Italia. Questa norma tende a favorire l'ingresso in Italia di 
extracomunitari già con una formazione di base e con qualche nozione 
rudimentale della nostra lingua e del nostro diritto: il che dà 
garanzie superiori rispetto a quelle che poteva fornire uno sponsor, 
soprattutto se in larga parte dei casi era extracomunitario.
 Il terzo cardine della riforma è l'effettività delle espulsioni; 
bisogna dire che da questo punto di vista l'azione di governo aveva 
visto incrementare le espulsioni effettive sia nel 2001 che nel 2002; 
raccogliendo delle indicazioni proveniente dai tecnici, è stato 
aumentato il periodo di permanenza nei centri, da 30 giorni (20 più 
10), a 60 (30 più 30),per avere tempo per l'identificazione della 
nazionalità del clandestino. I dati relativi ai primi undici mesi del 
2003 fanno registrare in numeri assoluti  un decremento di 
espulsioni: ciò perché vi è un decremento di arrivi; in percentuale 
le espulsioni salgono, in assoluto sono di meno perché vi è un numero 
inferiore di clandestini che arriva in Italia, quindi vi è un duplice 
dato positivo rispetto al passato.
 I primi mesi di applicazione della legge non mancano di mostrare 
problemi concreti su vari fronti. Mi fermo a quelli relativi alle 
espulsioni. Viene previsto dalla legge l'arresto in flagranza e il 
giudizio per direttissima nell'ipotesi in cui, una volta decorso 
inutilmente il termine per l'identificazione, lo straniero riceve 
l'intimazione ad allontanarsi dal territorio nazionale e non la 
rispetta; in questo caso l'inottemperanza all'intimazione integra un 
reato che viene punito con la pena da sei mesi a un anno di arresto, 
e per questo reato vi è l'arresto in flagranza e il giudizio per 
direttissima. Il problema sorge per il fatto che non sempre la 
convalida dell'arresto, spesso per difficoltà oggettive, riesce ad 
essere realizzata nel termine previsto di 48 ore: scaduto questo 
termine, l'extracomunitario viene rimesso in libertà, e non sempre il 
raccordo tra autorità giudiziaria e autorità di polizia consente 
l'immediato intervento dell'autorità di polizia. D'altra parte, il 
limite di pena è troppo basso per fare immaginare un'ordinanza di 
custodia cautelare, ammesso che esistano le altre condizioni per un 
provvedimento cautelare; questo è un punto sul quale, se si ipotizza 
a breve-medio termine una riflessione di insieme sulla prima 
applicazione di questa legge, sarà opportuno valutare se intervenire 
concretamente. 
 Vi è poi, e questo è un ulteriore elemento dell'intervento 
riformatore, un maggior rigore nei confronti dei trafficanti di 
uomini; più disposizioni vanno in questa direzione: fra esse ricordo 
la norma contenuta nel comma 3 dell'articolo 11 della legge 189, cioè 
quella che per i delitti connessi all'immigrazione prevede una 
diminuente fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera 
per impedire che l'attività delittuosa comporti conseguenze 
ulteriori, o aiuta concretamente le autorità di polizia e l'autorità 
giudiziaria a raccogliere gli elementi di prova decisivi per 
ricostruire i fatti. È una norma che potrebbe consentire, tenendo 
conto anche delle condizioni in cui avvengono certi sbarchi, di 
ricostruire il quadro dell'organizzazione criminale di riferimento. 
Sta dando utilità concreta e significativa quella disposizione così 
contestata nel momento in cui la legge è stata discussa in 
Parlamento, relativa alle cosiddette impronte digitali. Nella prima 
fase di applicazione della legge, e soprattutto di applicazione della 
regolarizzazione, sono stati oltre 700 mila i soggetti a cui sono 
stati effettuati rilievi fotodattiloscopici, e più di un caso il 
confronto con ciò che era contenuto nelle banche dati ha consentito 
di individuare i colpevoli di reati significativi che avevano 
identità diverse e false.
 Ultimo aspetto della legge è quello relativo alla disciplina del 
diritto di asilo. Il Parlamento ha iniziato ad occuparsi della 
materia in modo organico, nel senso che vi era una pausa nell'iter di 
alcune proposte di iniziativa parlamentare, in qualche misura 
sollecitata dal Governo, che aveva chiesto di attendere la 
conclusione del semestre italiano per verificare l'approvazione in 
sede europea delle direttive sull'asilo. Questo per evitare di varare 
una legge non coincidente con le direttive in discussione. Poiché 
queste direttive non sono state approvate nel semestre, non c'è 
ragione per fermare l'ulteriore corso della legge; l'iter è ripreso, 
sono stati presentati degli emendamenti, e il loro numero elevato non 
deve far immaginare manovre ostruzionistiche: al contrario, nella 
Commissione affari costituzionali della Camera vi è un clima positivo 
e costruttivo. Il numero elevato di emendamenti dipende dal numero di 
articoli sui quali si interviene e dall'obiettiva complessità e 
articolazione della materia. Nel frattempo, nella legge 189 sono 
stati inseriti due articoli che hanno l'obiettivo circoscritto di 
impedire l'uso strumentale della richiesta di asilo. Viene introdotta 
una procedura più celere (il che non significa sommaria o 
superficiale): sono istituite al posto dell'unica commissione 
centrale che in questo momento esamina le domande di asilo, delle 
commissioni territoriali (7, complessivamente), ciascuna delle quali 
esaminerà la sua parte di domande. Le commissioni territoriali 
saranno integrate anche dalla presenza di un rappresentante dell'Alto 
Commissariato ONU per i profughi e i rifugiati: è una presenza che 
valutiamo importante e preziosa, per il rigore e il contributo che 
finora l'ACNUR ha dato all'esame di questo tipo di domande.
 Sui regolamenti, si è sbloccata una stasi che dipendeva da fattori 
terzi: la Conferenza unificata Stato - Regioni - Enti territoriali 
non aveva manifestato un gradimento straordinario nei confronti 
dell'ultima legge finanziaria, e aveva bloccato i lavori della 
Conferenza per un po' di tempo, a prescindere dal merito dei vari 
provvedimenti al suo esame. La scorsa settimana questo blocco si è 
sciolto, abbiamo ricevuto un bel parere negativo; ma questo significa 
che comunque i regolamenti andranno all'esame del Consiglio di Stato, 
e quindi, dopo un nuovo vaglio del Consiglio dei Ministri, dovrebbero 
essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
 Il quadro è completato da quella operazione che si è avviata nel 
mese di novembre del 2002 e che si è chiamata regolarizzazione. Essa 
ha avuto come fonti normative l'articolo 33 della legge 189/02 con 
riferimento al lavoro domestico o di assistenza di carattere medico, 
e il decreto legge 195/02 con riferimento al lavoro subordinato in 
senso lato. Perdonerete se per l'ennesima volta sottolineo la 
differenza sostanziale che esiste tra regolarizzazione e sanatoria. 
Le sanatorie del passato si limitavano a prendere in considerazione 
la presenza sul territorio nazionale a una certa data e riguardavano 
i disoccupati, garantendo loro soltanto le iscrizioni alle liste di 
collocamento. La regolarizzazione non si è limitata a questo, ma ha 
richiesto un rapporto di lavoro reale, che è stato fatto emergere con 
una domanda che è stata presentata non dall'extracomunitario ma dal 
suo datore di lavoro. Il rapporto di lavoro è stato formalizzato in 
un contratto di lavoro con un salario regolare: a esso si è collegata 
la regolarizzazione contributiva, l'assistenza sanitaria, e un 
contesto di sicurezza, perché a ciascuno sono stati effettuati i 
rilievi fotodattiloscopici. Le più ottimistiche previsioni della 
vigilia facevano immaginare non più di 400 mila domande di 
regolarizzazione: sono state invece ben 705 mila! Pur in presenza di 
una serie di problemi nella fase iniziale, determinati sia dalla 
quantità delle domande sia dalla oggettiva difficoltà di leggere 
alcune delle istanze (qualcuna era stata compilata con caratteri 
cirillici e qualche altra prescindendo dalle caselle che consentono 
la lettura ottica), si sono poi superati questi scogli, e oggi, con 
una punta di orgoglio che riguarda tutte le amministrazioni dello 
Stato che hanno collaborato per la riuscita di questa operazione, 
possiamo dire che la regolarizzazione è alle nostre spalle: su 705 
mila domande presentate i procedimenti conclusi sono circa 640 mila; 
la stragrande maggioranza si riferiscono a contratti già definiti, 
mentre una esigua minoranza di persone che hanno perso il lavoro 
hanno avuto il permesso di soggiorno temporaneo per trovarne un 
altro. Le istanze respinte per le ragioni più varie sono una 
percentuale ridottissima rispetto all'insieme: siamo all'incirca sui 
25 mila rigetti. Tutto questo è stato fatto in un anno, senza file al 
momento della presentazione della domanda (in virtù della convezione 
con Poste Italiane, che ha consentito di distribuire le istanze 
sull'intero territorio nazionale attraverso i 14 mila uffici postali, 
qualcosa di più rispetto alle 103 Questure), e senza file anche al 
momento della formalizzazione; tutti sono stati ben lieti di essere 
convocati in Prefettura, a giorno e a orario fisso, e di avere, 
sempre in Prefettura, in una sola occasione definito i vari 
adempimenti: non soltanto la sottoscrizione del contratto di lavoro, 
ma pure, come si diceva, la regolarizzazione contributiva, sanitaria 
e fiscale. L'ultima sanatoria era durata due anni e mezzo con 250 
mila domande, lasciando una coda di 35 mila pratiche inevase; 
l'attuale regolarizzazione, con un carico di 705 mila domande e con 
un lavoro molto più impegnativo, si è conclusa in un anno. Il Governo 
è grato a tutti coloro che hanno profuso ogni sforzo perché questa 
operazione riuscisse al meglio, e il fatto che non si parli più di 
regolarizzazione mi sembra estremamente positivo: se se ne parlasse 
sarebbe solamente in chiave critica, da parte dell'opposizione e dei 
mass media, per cui conviene accontentarsi del silenzio.
 Numerose sono le sfide nell'immediato futuro: conclusa la sanatoria, 
comincia la stagione dei rinnovi dei permessi di soggiorno. Tutti 
coloro che hanno definito un contratto e hanno avuto un permesso di 
soggiorno, lo hanno avuto per un anno: a partire da novembre - 
dicembre 2003 cominciano già a scadere i primi permessi di soggiorno. 
La regolarizzazione, inoltre, ha riguardato chi aveva un posto di 
lavoro, non le loro famiglie: si pone il problema dei 
ricongiungimenti familiari, che saranno più o meno ampli in base al 
nucleo familiare di ciascun lavoratore. Avranno comunque 
un'estensione notevolissima, visto che ci sono 650 mila lavoratori 
regolarizzati: sta partendo quindi un lavoro nuovo, altrettanto 
impegnativo rispetto a quello che è alle spalle, tale da richiedere 
una serie di misure perché il sistema vada a pieno regime.
 E' poi necessario continuare sulla strada degli accordi bilaterali, 
e ottenere un livello di coinvolgimento più ampio dei paesi di 
provenienza o di transito. Sul coordinamento in mare, siamo nella 
fase di attuazione del decreto interministeriale da parte della nuova 
Direzione dell'immigrazione presso il Dipartimento di pubblica 
sicurezza, con la previsione della ripartizione per zone tra la 
Guardia di finanza e le unità della Marina militare. L'esperienza 
dirà, su questi come su altri terreni, su quali punti intervenire e 
quali disposizioni modificare ulteriormente; intanto queste 
disposizioni vanno pienamente attuate, considerando che con 
l'immigrazione avremo a che fare non solo nei prossimi anni, ma nei 
prossimi decenni, e che le modalità di approccio sono non quelle di 
un insieme di fotografie istantanee, ma quelle di un lungometraggio. 
Armiamoci di pazienza e di attenzione alla realtà, per far sì che 
l'azione del Governo, del Parlamento, e delle Amministrazioni 
coinvolte sia la più adeguata possibile. Un'azione che continuerà a 
muoversi approfondendo la dimensione europea.
 L'Italia si è molto impegnata nel semestre e probabilmente i frutti 
di questo impegno non si stanno cogliendo per intero oggi: si 
coglieranno nei prossimi semestri con altre presidenze. E' stato 
fatto un lavoro istruttorio imponente, che ha consentito di 
sciogliere tanti nodi dal punto di vista tecnico: pur se 
l'istruttoria tecnica non è tutto, è molto nel momento in cui poi si 
affrontano le discussioni sul piano politico. Per la regolazione dei 
flussi legali alla Commissione ci è stato affidato in questo semestre 
il compito di elaborare uno studio per una politica di quote annuali 
europee, e questo è un punto politicamente significativo: non sfugge 
a nessuno che in un accordo con un paese di provenienza o di transito 
il peso che può avere un partner come l'Italia, o la Germania, o il 
Regno Unito, e il peso che può avere l'Unione europea nel suo insieme 
è incomparabilmente diverso. Sono stati approvati due regolamenti, 
relativi all'inserimento di elementi biometrici nei visti e nei 
permessi di soggiorno, mentre un terzo provvedimento sui passaporti è 
in via di elaborazione, e si è concordato di adottare le impronte 
digitali e il riconoscimento facciale con parametri di base. Dicevo 
del lavoro istruttorio che è stato fatto, e che ha riguardato in 
particolare la direttiva sull'ingresso di soggiorno di 
extracomunitari per motivi di lavoro (ne facevo cenno prima): la 
proposta è stata presentata dalla Commissione da oltre due anni, e la 
stessa Commissione oggi, sulla base del lavoro tecnico svolto, è in 
grado di prendere decisioni più adeguate sul seguito dell'iniziativa. 
Sono stati fatti dei passi in avanti sulla gestione integrata delle 
frontiere esterne con l'attivazione di una Common Unit composta dagli 
esperti delle frontiere; sono stati definiti anche i nuovi centri per 
il coordinamento del programma operativo per il controllo delle 
frontiere marittime proposto dall'Italia. Sull'asilo, su quelle 
direttive che attendeva anche il Parlamento italiano, la presidenza 
italiana ha consentito di ridurre le riserve sul testo 
originariamente proposto da 239 a 37: gran parte del lavoro è stato 
svolto, e l'auspicio è che entro il maggio del 2004 (questa era la 
scadenza posta dal Consiglio di Tampere) tali direttive possano 
essere varate. Al di là del formale rispetto delle scadenze, le 
direttive sull'asilo sono importantissime per una ragione oggettiva e 
sostanziale: l'Europa continua ad essere guardata come meta di tanti 
perseguitati a vario titolo, e quindi è indispensabile avere 
strumenti giuridici per discernere la persecuzione effettiva da 
quella virtuale o evocata in chiave strumentale; il singolo Stato 
dell'Unione può ben dotarsi di una legislazione sull'asilo, ma non 
sarà mai una legislazione perfettamente sovrapponibile a quella di 
uno Stato europeo confinante, e in questa materia sarebbe negativo 
consolidare sistemi giuridici diversi, perché dalla differenza dei 
sistemi può derivare una diversità dei luoghi prescelti quanto a 
destinazione. L'omogeneità dal punto di vista giuridico è 
indispensabile perché da parte dell'Europa ci sia una risposta 
univoca rispetto a questo tipo di esigenza.
 Concludo dicendo che sul contrasto all'immigrazione clandestina sono 
state approvate due decisioni importanti, che facilitano la 
collaborazione degli Stati membri sia quanto all'espulsione sia 
nell'organizzazione di voli congiunti per il rimpatrio dei 
clandestini. E' stato approvato il regolamento sulla creazione di una 
rete di funzionari di collegamento incaricati dell'immigrazione; un 
importante accordo è stato raggiunto anche sulla direttiva per il 
rilascio del permesso di soggiorno alle vittime della tratta di 
esseri umani che collaborano con le autorità competenti; da questo 
punto di vista abbiamo potuto utilizzare le esperienze positive che 
in Italia sono state fatte in applicazione dell'articolo 18 della 
legge sull'immigrazione, il cui meccanismo è servito per 
l'elaborazione di questo documento dell'Unione europea. Vorrei 
ricordare infine la Conferenza dei Ministri dell'Interno sul dialogo 
religioso che si è svolta a Roma il 30 e 31 ottobre, che ha portato 
all'approvazione di una dichiarazione sul dialogo interreligioso: è 
un elemento che va nella direzione della integrazione, e quindi di 
una politica di immigrazione più seria, più organica, e di 
prospettiva. L'Italia può essere ben orgogliosa di aver promosso 
attraverso il nostro Ministro dell'interno una iniziativa così 
importante, che ha avuto, anche simbolicamente, passaggi molto 
efficaci, a cominciare dalla udienza del Santo Padre.
 Quanto è stato fatto in questi due anni e mezzo costituisce non un 
punto di arrivo, ma semplicemente un punto di partenza di ciò che, 
speriamo meglio e con l'aiuto di tutti, si può fare nel resto della 
legislatura. Colgo l'occasione per fare a tutti non solo gli auguri 
di buon lavoro ma anche di buone feste natalizie.