[Cpt] min. Interno : bilancio

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Autor: Isabelle Saint-Saens
Data:  
Asunto: [Cpt] min. Interno : bilancio
Venerdì 16-01-2004
<http://www.interno.it/news/pages/2004/200401/news_000019109.htm>

Immigrazione: il Sottosegretario all'Interno Mantovano traccia un
primo bilancio sulla attuazione della legge 189 del 2002

CONFERENZA DEL SOTTOSEGRETARIO DI STATO On.le ALFREDO MANTOVANO

"Immigrazione: primo bilancio della Legge 189/2002 e del Semestre di
Presidenza Italiana dell'Unione Europea"

Ringrazio il Gen. Siazzu, i frequentatori della Scuola e le autorità
presenti. Cercherò di riportare in sintesi le linee guida della legge
189 del 2002 e dell'azione di Governo in cui questo intervento
riformatore si è inserito. L'azione di governo ha a sua volta
conosciuto una intensificazione di iniziative soprattutto negli
ultimi sei mesi, coincisi con la Presidenza del Consiglio dell'Unione
Europea. Ovviamente tratterò aspetti di carattere generale e politici
perché in sala più di uno, e molto meglio di me, potrebbe
approfondire gli aspetti tecnici.

La prima linea guida delle modifiche apportate, risponde, per
riprendere una terminologia che si sta facendo strada in sede
europea, al principio di condizionalità. Tenere conto di questo
principio significa convincersi che il profilo più importante per
affrontare in generale il tema dell'immigrazione, non soltanto
nell'aspetto patologico dell'immigrazione clandestina, ma pure nella
sua dimensione di quadro, privilegia i rapporti con i paesi di
origine o di transito. Li privilegia nelle relazioni bilaterali ma
anche e soprattutto (e questo è stato uno sforzo che l'Italia, in
particolare il Ministro Pisanu, hanno sostenuto nel semestre di
Presidenza italiana dell'Unione Europea) nei rapporti fra l'Unione
nel suo insieme e i singoli Paesi di provenienza. Del principio di
condizionalità vi è traccia già nel primo articolo della legge 189:
al comma 2 si dice testualmente che "nella elaborazione, nella
eventuale revisione dei programmi bilaterali di cooperazione e di
aiuto per lo sviluppo, il Governo tiene conto anche della
collaborazione prestata dai Paesi interessati alla prevenzione dei
flussi migratori legali, al contrasto delle organizzazioni criminali,
agli accordi di riammissione, agli accordi giudiziali", e così via.
Questa terminologia non è vincolante, deterministica, ma è
condizionante; si ritrova esattamente negli stessi termini nelle
conclusioni del Vertice europeo di Siviglia sull'immigrazione del
giugno 2002. Ci sono state molte critiche quando questo passaggio è
venuto all'esame del Parlamento, ma il quadro europeo si sta
orientando con decisione in questa direzione, e un riscontro più
concreto di questo "tener conto" si rintraccia anche nell'art. 17
comma 1, lettera a), della stessa legge: nello stabilire le quote,
nei decreti sui flussi d'ingresso, si possono prevedere restrizioni
numeriche all'ingresso di lavoratori di Stati che non collaborano
adeguatamente nel contrasto all'immigrazione clandestina, in
particolare nella riammissione dei propri cittadini destinatari di
provvedimenti di rimpatrio. Questa norma tollera una lettura non in
termini meramente negativi, di sanzione, bensì pure una positiva,
perché nel "tener conto" ai fini della inclusione in quote
privilegiate nei decreti flussi vale a maggior ragione l'ipotesi di
comportamenti positivi di collaborazione. Se ne è avuta conferma nei
decreti flussi del 2002-2003 e anche in quello per il 2004, che hanno
dato dei segnali concreti allorché hanno previsto migliaia di nuovi
ingressi regolari per quote privilegiate, alcune delle quali sono
state riservate per la prima volta a Paesi che hanno mostrato di
recente una collaborazione attiva su questo fronte; ne cito due,
particolarmente significativi per le ragioni che dirò tra qualche
istante: l'Egitto e lo Sri Lanka. In passato queste quote
privilegiate erano riservate esclusivamente a Tunisia, Marocco e
Albania.
Questo aspetto è di particolare importanza, perché la collaborazione
a monte è certamente la più efficace, quella che evita tragedie,
quella che consente di raggiungere risultati più concreti, e di
muoversi anche nella prospettiva di una integrazione reale; si parla
a proposito di immigrazione di un certo ritardo culturale, e quindi
anche politico, dell'Italia nell'affrontare questo tema a fronte di
una esperienza più consolidata di Paesi come il Regno Unito e la
Francia: personalmente dissento da questa valutazione, perché
l'esperienza del Regno Unito, della Francia, dei Paesi che hanno una
storia in qualche modo analoga é totalmente diversa rispetto alla
dimensione del fenomeno in Italia. Lì vi era una comunità anche
culturale, prima ancora che politica, consolidata nel bene e nel male
da un passato coloniale; qui ci si trova di fronte a provenienze di
extracomunitari le più diverse e le più disparate, nei confronti
delle quali è veramente difficile trovare dei comuni denominatori.
Anzi, la concentrazione di esperienze che l'Italia ha avuto negli
ultimi quindici anni le consente di avanzare in sede europea
soluzioni che al tempo stesso sono innovative ed equilibrate, evitano
e temperano alcune proposte che vengono da altri Paesi, e che - se
fossero applicate - non contribuirebbero a circoscrivere le tragedie
che si consumano in mare. Voglio dire che non è il contrasto in mare
l'elemento risolutivo del quadro, ma è lo sforzo politicamente
impegnativo per impedire, grazie alla collaborazione del Paese
d'origine o di transito, che il natante a rischio prenda il largo.
Proprio perché si è privilegiato questo tipo di lavoro, si è
verificato negli ultimi due anni, come tutti sanno, un significativo
mutamento nelle rotte della clandestinità. Il canale d'Otranto è
praticamente chiuso all'immigrazione clandestina; dalla fine di
agosto del 2002 non c'è stato un solo gommone che sia giunto sulle
coste pugliesi: il che non significa che tutti i problemi siano
risolti, né significa che non arrivi qualcosa di illecito dall'altra
sponda dell'Adriatico. Significa che vi è un rispetto di accordi che
erano stati sottoscritti da tempo; i numeri parlano da sé, perché i
clandestini intercettati in Puglia nei primi undici mesi di
quest'anno sono stati 137, erano stati 3363 nei primi undici mesi del
2002 e 8244 nei primi undici mesi del 2001. Quindi non è azzardato
dire che la rotta del canale d'Otranto è praticamente chiusa.
Discorso simile va fatto a proposito delle coste calabresi, che non
sono state interessate dai gommoni, bensì, negli anni passati,
soprattutto dalle carrette del mare che partivano dalla Turchia o
transitavano dal canale di Suez: grosse imbarcazioni con 800, o 1000,
o più persone a bordo; anche qui i numeri parlano da sé, se è vero
che nei primi undici mesi del 2003 i clandestini intercettati in
Calabria sono stati 177, mentre erano stati 2117 nello stesso periodo
del 2002 e 6093 nello stesso periodo del 2001. La collaborazione da
parte di paesi come la Turchia, l'Egitto e lo Sri Lanka consente di
registrare questo risultato estremamente positivo. Il punto debole
continua ad essere la Sicilia, le sue coste meridionali, le isole di
Pantelleria e soprattutto Lampedusa. Ma anche sulle coste meridionali
della Sicilia si registra un calo; mi rendo conto che esporre dei
numeri è poco significativo nel momento in cui anche nel 2003 ci sono
state tante tragedie del mare. Però i numeri servono ad avere una
visione d'insieme del fenomeno; i clandestini rintracciati in Sicilia
nei primi undici mesi del 2003 sono stati 13899 a fronte dei 17032
dello stesso periodo del 2002. Devo dire, non per forzare i dati, che
poiché la maggior parte dei clandestini che giungono in Sicilia
arrivano in realtà a Pantelleria e a Lampedusa, il dato registrato
corrisponde grosso modo a quello reale, mentre invece il dato
ufficiale che si riferiva alla Puglia e alla Calabria presentava dei
margini e delle distanze rispetto a quello reale: con coste lunghe e
frastagliate - quali quelle delle due regioni - tanti sfuggivano alla
registrazione; seguendo questo tipo di ragionamento, non mi sembra
fuori luogo affermare che vi è un calo complessivo superiore rispetto
al dato numerico fornito in queste rilevazioni.
La rotta prevalente oggi è quella che attraversa i confini
meridionali della Libia con varie provenienze e poi si riversa sulle
coste libiche, e in parte anche su quelle tunisine. Non utilizza nel
tratto finale gommoni, ma pescherecci che si prestano a questo tipo
di traversata; sono in corso da tempo contatti bilaterali di
diplomazie, il Ministro Pisanu ha incontrato il Leader libico nel
mese di luglio, e qualche riscontro concreto c'è stato, perché si
segnala, proprio a seguito di quell'incontro e dei primi accordi
intrapresi sia pure in modo informale, un calo di partenze dalle
coste libiche. Il lavoro è però tutt'altro che agevole per una serie
di circostanze: prima fra tutte, ma non l'unica, la permanenza
dell'embargo dell'Unione Europea, che resiste nonostante la revoca
dell'embargo da parte dell'ONU; come tutti sanno, un accordo di
collaborazione ha bisogno per reggersi anche di beni materiali (in
questo caso motovedette, elicotteri ecc.), che non si possono cedere
alla Libia in presenza di questa preclusione.
Notizie positive provengono dall'Egitto, grazie alla collaborazione
instaurata a partire da una bozza di accordo che è stata sottoscritta
con le autorità del Cairo nel maggio del 2002, e che ha consentito di
inviare al Cairo, e più in particolare sul canale di Suez, un nostro
ufficiale di collegamento: è un colonnello della Guardia di finanza,
che è lì già da oltre un anno, per fornire uno scambio di
informazioni in tempo reale. Il dato più significativo e la
conseguenza più rilevante di questo accordo è costituita dal fatto
che in più di una circostanza, tre se non ricordo male, le autorità
egiziane hanno fermato prima dell'ingresso nel Canale delle
imbarcazioni cariche di clandestini, e le nostre forze di polizia
hanno mandato sul posto dei voli charter che hanno fatto salire a
bordo i clandestini e li hanno riaccompagnati nei paesi di origine
(soprattutto nello Sri Lanka). E' una sorta di difesa avanzata, che
presenta costi minori rispetto a tollerare il passaggio delle navi e
a far sì che entrino nel Mediterraneo, e quindi arrivino in Italia,
con tutti i problemi conseguenti. È già accaduto tre volte e ha fatto
diminuire notevolmente la frequenza su quel tipo di rotta.
La politica dei flussi si è raccordata in modo stretto con quella
del contrasto, per far sì che ci sia un binario parallelo tra la
repressione e l'integrazione; sono stati sottoscritti nuovi accordi:
vorrei segnalare in modo particolare quelli, oltre che con Malta e
Cipro, con la Moldavia e con lo Sri Lanka; quest'ultimo si sta
rivelando particolarmente efficace, col riconoscimento alle autorità
cingalesi delle quote privilegiate sia per il 2002 che per il 2003.
Si è ottenuto in cambio un controllo molto stretto in partenza, che
ha abbattuto notevolmente l'arrivo di clandestini da quello Stato.

La seconda linea guida dell'intervento legislativo è il raccordo
stretto tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro. Anche
su questo aspetto, come tutti ricorderanno, la discussione in
Parlamento è stata molto animata, ma anche in questo caso l'Italia ha
anticipato un orientamento sul quale l'Unione europea si sta
definitivamente attestando, sulla base dei lavori preparatori della
direttiva che ormai pendono da oltre due anni, in materia di ingresso
regolare; l'ingresso regolare in questa proposta di direttiva viene
collegato strettamente con un contratto di lavoro. Non vi è stata, a
differenza delle critiche ascoltate dentro e fuori il Parlamento
durante l'esame della legge, nessuna equiparazione
dell'extracomunitario a una merce: l'extracomunitario ha delle
prospettive di lavoro che sono diversificate; può esserci
l'intenzione di permanere nel nostro territorio limitatamente a una
parte dell'anno per svolgere un lavoro stagionale, che può anche
essere ripetuto nel corso degli anni: la legge viene incontro a
questa periodicità di soggiorno breve sul nostro territorio allorché
il comma 3 ter dell'articolo 5 prevede la possibilità di permessi di
soggiorno triennali per chi svolga ogni anno lavori stagionali.
Questo semplifica la vita all'extracomunitario e al personale delle
questure. Può esservi una prospettiva di lavoro a tempo determinato:
un anno e poi si torna nel paese d'origine; può esservi, infine, una
prospettiva di lavoro tendenzialmente a tempo indeterminato: in tal
caso il permesso di soggiorno è per due anni, ed è rinnovabile se
continua il lavoro per arrivare ai sei anni. Decorsi sei anni, può
essere richiesta la carta di soggiorno. Nella legge è stata peraltro
confermata, sia pure con una contrazione temporale, la possibilità
che in caso di perdita del lavoro si possa rimanere sul territorio
nazionale per un periodo di sei mesi per trovare un altro lavoro. Vi
è ancora qualche nostalgico dell'istituto dello sponsor, che la legge
ha abolito: tale abolizione è però avvenuta sulla base di una
valutazione obiettiva di dati; l'ultimo decreto relativo agli
sponsor, che risale all'aprile del 2001, aveva consentito l'utilizzo
degli sponsor per 15 mila extracomunitari, ma aveva fatto registrare
il 60 per cento di richieste da parte di garanti stranieri; questo
non ha portato ad una valutazione automaticamente negativa, ma è
stato considerato con attenzione perché ha aperto ipotesi e scenari
che per ragioni obiettive non lasciavano tranquilli. Si è abolito
l'istituto dello sponsor, immaginando percorsi che valorizzino una
integrazione effettiva: per questo l'articolo 19 della legge, che ha
modificato l'articolo 23 del Testo Unico, ha previsto dei titoli di
prelazione; nell'ambito di programmi approvati, organizzazioni
sindacali, organizzazioni di categoria, associazioni di volontariato,
Regioni ed enti territoriali possono attivare programmi di istruzione
e di formazione professionale nei Paesi di origine: la frequentazione
di questi corsi rappresenta titolo di prelazione per l'ingresso in
Italia. Questa norma tende a favorire l'ingresso in Italia di
extracomunitari già con una formazione di base e con qualche nozione
rudimentale della nostra lingua e del nostro diritto: il che dà
garanzie superiori rispetto a quelle che poteva fornire uno sponsor,
soprattutto se in larga parte dei casi era extracomunitario.

Il terzo cardine della riforma è l'effettività delle espulsioni;
bisogna dire che da questo punto di vista l'azione di governo aveva
visto incrementare le espulsioni effettive sia nel 2001 che nel 2002;
raccogliendo delle indicazioni proveniente dai tecnici, è stato
aumentato il periodo di permanenza nei centri, da 30 giorni (20 più
10), a 60 (30 più 30),per avere tempo per l'identificazione della
nazionalità del clandestino. I dati relativi ai primi undici mesi del
2003 fanno registrare in numeri assoluti un decremento di
espulsioni: ciò perché vi è un decremento di arrivi; in percentuale
le espulsioni salgono, in assoluto sono di meno perché vi è un numero
inferiore di clandestini che arriva in Italia, quindi vi è un duplice
dato positivo rispetto al passato.
I primi mesi di applicazione della legge non mancano di mostrare
problemi concreti su vari fronti. Mi fermo a quelli relativi alle
espulsioni. Viene previsto dalla legge l'arresto in flagranza e il
giudizio per direttissima nell'ipotesi in cui, una volta decorso
inutilmente il termine per l'identificazione, lo straniero riceve
l'intimazione ad allontanarsi dal territorio nazionale e non la
rispetta; in questo caso l'inottemperanza all'intimazione integra un
reato che viene punito con la pena da sei mesi a un anno di arresto,
e per questo reato vi è l'arresto in flagranza e il giudizio per
direttissima. Il problema sorge per il fatto che non sempre la
convalida dell'arresto, spesso per difficoltà oggettive, riesce ad
essere realizzata nel termine previsto di 48 ore: scaduto questo
termine, l'extracomunitario viene rimesso in libertà, e non sempre il
raccordo tra autorità giudiziaria e autorità di polizia consente
l'immediato intervento dell'autorità di polizia. D'altra parte, il
limite di pena è troppo basso per fare immaginare un'ordinanza di
custodia cautelare, ammesso che esistano le altre condizioni per un
provvedimento cautelare; questo è un punto sul quale, se si ipotizza
a breve-medio termine una riflessione di insieme sulla prima
applicazione di questa legge, sarà opportuno valutare se intervenire
concretamente.

Vi è poi, e questo è un ulteriore elemento dell'intervento
riformatore, un maggior rigore nei confronti dei trafficanti di
uomini; più disposizioni vanno in questa direzione: fra esse ricordo
la norma contenuta nel comma 3 dell'articolo 11 della legge 189, cioè
quella che per i delitti connessi all'immigrazione prevede una
diminuente fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera
per impedire che l'attività delittuosa comporti conseguenze
ulteriori, o aiuta concretamente le autorità di polizia e l'autorità
giudiziaria a raccogliere gli elementi di prova decisivi per
ricostruire i fatti. È una norma che potrebbe consentire, tenendo
conto anche delle condizioni in cui avvengono certi sbarchi, di
ricostruire il quadro dell'organizzazione criminale di riferimento.
Sta dando utilità concreta e significativa quella disposizione così
contestata nel momento in cui la legge è stata discussa in
Parlamento, relativa alle cosiddette impronte digitali. Nella prima
fase di applicazione della legge, e soprattutto di applicazione della
regolarizzazione, sono stati oltre 700 mila i soggetti a cui sono
stati effettuati rilievi fotodattiloscopici, e più di un caso il
confronto con ciò che era contenuto nelle banche dati ha consentito
di individuare i colpevoli di reati significativi che avevano
identità diverse e false.

Ultimo aspetto della legge è quello relativo alla disciplina del
diritto di asilo. Il Parlamento ha iniziato ad occuparsi della
materia in modo organico, nel senso che vi era una pausa nell'iter di
alcune proposte di iniziativa parlamentare, in qualche misura
sollecitata dal Governo, che aveva chiesto di attendere la
conclusione del semestre italiano per verificare l'approvazione in
sede europea delle direttive sull'asilo. Questo per evitare di varare
una legge non coincidente con le direttive in discussione. Poiché
queste direttive non sono state approvate nel semestre, non c'è
ragione per fermare l'ulteriore corso della legge; l'iter è ripreso,
sono stati presentati degli emendamenti, e il loro numero elevato non
deve far immaginare manovre ostruzionistiche: al contrario, nella
Commissione affari costituzionali della Camera vi è un clima positivo
e costruttivo. Il numero elevato di emendamenti dipende dal numero di
articoli sui quali si interviene e dall'obiettiva complessità e
articolazione della materia. Nel frattempo, nella legge 189 sono
stati inseriti due articoli che hanno l'obiettivo circoscritto di
impedire l'uso strumentale della richiesta di asilo. Viene introdotta
una procedura più celere (il che non significa sommaria o
superficiale): sono istituite al posto dell'unica commissione
centrale che in questo momento esamina le domande di asilo, delle
commissioni territoriali (7, complessivamente), ciascuna delle quali
esaminerà la sua parte di domande. Le commissioni territoriali
saranno integrate anche dalla presenza di un rappresentante dell'Alto
Commissariato ONU per i profughi e i rifugiati: è una presenza che
valutiamo importante e preziosa, per il rigore e il contributo che
finora l'ACNUR ha dato all'esame di questo tipo di domande.

Sui regolamenti, si è sbloccata una stasi che dipendeva da fattori
terzi: la Conferenza unificata Stato - Regioni - Enti territoriali
non aveva manifestato un gradimento straordinario nei confronti
dell'ultima legge finanziaria, e aveva bloccato i lavori della
Conferenza per un po' di tempo, a prescindere dal merito dei vari
provvedimenti al suo esame. La scorsa settimana questo blocco si è
sciolto, abbiamo ricevuto un bel parere negativo; ma questo significa
che comunque i regolamenti andranno all'esame del Consiglio di Stato,
e quindi, dopo un nuovo vaglio del Consiglio dei Ministri, dovrebbero
essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

Il quadro è completato da quella operazione che si è avviata nel
mese di novembre del 2002 e che si è chiamata regolarizzazione. Essa
ha avuto come fonti normative l'articolo 33 della legge 189/02 con
riferimento al lavoro domestico o di assistenza di carattere medico,
e il decreto legge 195/02 con riferimento al lavoro subordinato in
senso lato. Perdonerete se per l'ennesima volta sottolineo la
differenza sostanziale che esiste tra regolarizzazione e sanatoria.
Le sanatorie del passato si limitavano a prendere in considerazione
la presenza sul territorio nazionale a una certa data e riguardavano
i disoccupati, garantendo loro soltanto le iscrizioni alle liste di
collocamento. La regolarizzazione non si è limitata a questo, ma ha
richiesto un rapporto di lavoro reale, che è stato fatto emergere con
una domanda che è stata presentata non dall'extracomunitario ma dal
suo datore di lavoro. Il rapporto di lavoro è stato formalizzato in
un contratto di lavoro con un salario regolare: a esso si è collegata
la regolarizzazione contributiva, l'assistenza sanitaria, e un
contesto di sicurezza, perché a ciascuno sono stati effettuati i
rilievi fotodattiloscopici. Le più ottimistiche previsioni della
vigilia facevano immaginare non più di 400 mila domande di
regolarizzazione: sono state invece ben 705 mila! Pur in presenza di
una serie di problemi nella fase iniziale, determinati sia dalla
quantità delle domande sia dalla oggettiva difficoltà di leggere
alcune delle istanze (qualcuna era stata compilata con caratteri
cirillici e qualche altra prescindendo dalle caselle che consentono
la lettura ottica), si sono poi superati questi scogli, e oggi, con
una punta di orgoglio che riguarda tutte le amministrazioni dello
Stato che hanno collaborato per la riuscita di questa operazione,
possiamo dire che la regolarizzazione è alle nostre spalle: su 705
mila domande presentate i procedimenti conclusi sono circa 640 mila;
la stragrande maggioranza si riferiscono a contratti già definiti,
mentre una esigua minoranza di persone che hanno perso il lavoro
hanno avuto il permesso di soggiorno temporaneo per trovarne un
altro. Le istanze respinte per le ragioni più varie sono una
percentuale ridottissima rispetto all'insieme: siamo all'incirca sui
25 mila rigetti. Tutto questo è stato fatto in un anno, senza file al
momento della presentazione della domanda (in virtù della convezione
con Poste Italiane, che ha consentito di distribuire le istanze
sull'intero territorio nazionale attraverso i 14 mila uffici postali,
qualcosa di più rispetto alle 103 Questure), e senza file anche al
momento della formalizzazione; tutti sono stati ben lieti di essere
convocati in Prefettura, a giorno e a orario fisso, e di avere,
sempre in Prefettura, in una sola occasione definito i vari
adempimenti: non soltanto la sottoscrizione del contratto di lavoro,
ma pure, come si diceva, la regolarizzazione contributiva, sanitaria
e fiscale. L'ultima sanatoria era durata due anni e mezzo con 250
mila domande, lasciando una coda di 35 mila pratiche inevase;
l'attuale regolarizzazione, con un carico di 705 mila domande e con
un lavoro molto più impegnativo, si è conclusa in un anno. Il Governo
è grato a tutti coloro che hanno profuso ogni sforzo perché questa
operazione riuscisse al meglio, e il fatto che non si parli più di
regolarizzazione mi sembra estremamente positivo: se se ne parlasse
sarebbe solamente in chiave critica, da parte dell'opposizione e dei
mass media, per cui conviene accontentarsi del silenzio.
Numerose sono le sfide nell'immediato futuro: conclusa la sanatoria,
comincia la stagione dei rinnovi dei permessi di soggiorno. Tutti
coloro che hanno definito un contratto e hanno avuto un permesso di
soggiorno, lo hanno avuto per un anno: a partire da novembre -
dicembre 2003 cominciano già a scadere i primi permessi di soggiorno.
La regolarizzazione, inoltre, ha riguardato chi aveva un posto di
lavoro, non le loro famiglie: si pone il problema dei
ricongiungimenti familiari, che saranno più o meno ampli in base al
nucleo familiare di ciascun lavoratore. Avranno comunque
un'estensione notevolissima, visto che ci sono 650 mila lavoratori
regolarizzati: sta partendo quindi un lavoro nuovo, altrettanto
impegnativo rispetto a quello che è alle spalle, tale da richiedere
una serie di misure perché il sistema vada a pieno regime.
E' poi necessario continuare sulla strada degli accordi bilaterali,
e ottenere un livello di coinvolgimento più ampio dei paesi di
provenienza o di transito. Sul coordinamento in mare, siamo nella
fase di attuazione del decreto interministeriale da parte della nuova
Direzione dell'immigrazione presso il Dipartimento di pubblica
sicurezza, con la previsione della ripartizione per zone tra la
Guardia di finanza e le unità della Marina militare. L'esperienza
dirà, su questi come su altri terreni, su quali punti intervenire e
quali disposizioni modificare ulteriormente; intanto queste
disposizioni vanno pienamente attuate, considerando che con
l'immigrazione avremo a che fare non solo nei prossimi anni, ma nei
prossimi decenni, e che le modalità di approccio sono non quelle di
un insieme di fotografie istantanee, ma quelle di un lungometraggio.
Armiamoci di pazienza e di attenzione alla realtà, per far sì che
l'azione del Governo, del Parlamento, e delle Amministrazioni
coinvolte sia la più adeguata possibile. Un'azione che continuerà a
muoversi approfondendo la dimensione europea.

L'Italia si è molto impegnata nel semestre e probabilmente i frutti
di questo impegno non si stanno cogliendo per intero oggi: si
coglieranno nei prossimi semestri con altre presidenze. E' stato
fatto un lavoro istruttorio imponente, che ha consentito di
sciogliere tanti nodi dal punto di vista tecnico: pur se
l'istruttoria tecnica non è tutto, è molto nel momento in cui poi si
affrontano le discussioni sul piano politico. Per la regolazione dei
flussi legali alla Commissione ci è stato affidato in questo semestre
il compito di elaborare uno studio per una politica di quote annuali
europee, e questo è un punto politicamente significativo: non sfugge
a nessuno che in un accordo con un paese di provenienza o di transito
il peso che può avere un partner come l'Italia, o la Germania, o il
Regno Unito, e il peso che può avere l'Unione europea nel suo insieme
è incomparabilmente diverso. Sono stati approvati due regolamenti,
relativi all'inserimento di elementi biometrici nei visti e nei
permessi di soggiorno, mentre un terzo provvedimento sui passaporti è
in via di elaborazione, e si è concordato di adottare le impronte
digitali e il riconoscimento facciale con parametri di base. Dicevo
del lavoro istruttorio che è stato fatto, e che ha riguardato in
particolare la direttiva sull'ingresso di soggiorno di
extracomunitari per motivi di lavoro (ne facevo cenno prima): la
proposta è stata presentata dalla Commissione da oltre due anni, e la
stessa Commissione oggi, sulla base del lavoro tecnico svolto, è in
grado di prendere decisioni più adeguate sul seguito dell'iniziativa.
Sono stati fatti dei passi in avanti sulla gestione integrata delle
frontiere esterne con l'attivazione di una Common Unit composta dagli
esperti delle frontiere; sono stati definiti anche i nuovi centri per
il coordinamento del programma operativo per il controllo delle
frontiere marittime proposto dall'Italia. Sull'asilo, su quelle
direttive che attendeva anche il Parlamento italiano, la presidenza
italiana ha consentito di ridurre le riserve sul testo
originariamente proposto da 239 a 37: gran parte del lavoro è stato
svolto, e l'auspicio è che entro il maggio del 2004 (questa era la
scadenza posta dal Consiglio di Tampere) tali direttive possano
essere varate. Al di là del formale rispetto delle scadenze, le
direttive sull'asilo sono importantissime per una ragione oggettiva e
sostanziale: l'Europa continua ad essere guardata come meta di tanti
perseguitati a vario titolo, e quindi è indispensabile avere
strumenti giuridici per discernere la persecuzione effettiva da
quella virtuale o evocata in chiave strumentale; il singolo Stato
dell'Unione può ben dotarsi di una legislazione sull'asilo, ma non
sarà mai una legislazione perfettamente sovrapponibile a quella di
uno Stato europeo confinante, e in questa materia sarebbe negativo
consolidare sistemi giuridici diversi, perché dalla differenza dei
sistemi può derivare una diversità dei luoghi prescelti quanto a
destinazione. L'omogeneità dal punto di vista giuridico è
indispensabile perché da parte dell'Europa ci sia una risposta
univoca rispetto a questo tipo di esigenza.

Concludo dicendo che sul contrasto all'immigrazione clandestina sono
state approvate due decisioni importanti, che facilitano la
collaborazione degli Stati membri sia quanto all'espulsione sia
nell'organizzazione di voli congiunti per il rimpatrio dei
clandestini. E' stato approvato il regolamento sulla creazione di una
rete di funzionari di collegamento incaricati dell'immigrazione; un
importante accordo è stato raggiunto anche sulla direttiva per il
rilascio del permesso di soggiorno alle vittime della tratta di
esseri umani che collaborano con le autorità competenti; da questo
punto di vista abbiamo potuto utilizzare le esperienze positive che
in Italia sono state fatte in applicazione dell'articolo 18 della
legge sull'immigrazione, il cui meccanismo è servito per
l'elaborazione di questo documento dell'Unione europea. Vorrei
ricordare infine la Conferenza dei Ministri dell'Interno sul dialogo
religioso che si è svolta a Roma il 30 e 31 ottobre, che ha portato
all'approvazione di una dichiarazione sul dialogo interreligioso: è
un elemento che va nella direzione della integrazione, e quindi di
una politica di immigrazione più seria, più organica, e di
prospettiva. L'Italia può essere ben orgogliosa di aver promosso
attraverso il nostro Ministro dell'interno una iniziativa così
importante, che ha avuto, anche simbolicamente, passaggi molto
efficaci, a cominciare dalla udienza del Santo Padre.
Quanto è stato fatto in questi due anni e mezzo costituisce non un
punto di arrivo, ma semplicemente un punto di partenza di ciò che,
speriamo meglio e con l'aiuto di tutti, si può fare nel resto della
legislatura. Colgo l'occasione per fare a tutti non solo gli auguri
di buon lavoro ma anche di buone feste natalizie.