[NuovoLaboratorio] Sionismo articolo

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Autor: Elisabetta Filippi
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Asunto: [NuovoLaboratorio] Sionismo articolo
Interessante articolo di Eli Aminov. A riprova del fatto che il sionismo non
nasce con Sharon e il progetto sionista di "epurazione" del popolo
palestinese ha radici antiche.
Elisabetta


21 – NEWS FROM WITHIN        vol.XIIII      N° 7        Agosto 1998




IL SIONISMO E LA CITTA’ PALESTINESE
                                    di Eli Aminov



Il processo di colonizzazione in Palestina – includendo la sostituzione
della sua popolazione originaria con immigrati Ebrei, la trasformazione
delle terre Palestinesi in terre del popolo Ebraico e il trasferimento degli
abitanti con la trasformazione della maggior parte di loro in rifugiati – è
divenuto, negli anni recenti, materia di partenza per una seria ricerca e di
un interesse accademico assai diffuso. Tuttavia, nella ricerca relativa
alla storia della Palestina ed al processo di espropriazione del popolo
Palestinese, è stato trascurato o ignorato un aspetto centrale: un esame
della relazione tra il movimento Sionista e la città Palestinese. Nella
coscienza collettiva Israeliana, I Palestinesi erano visti come fellahin
(contadini) da tempo immemorabile, o tutt’al più come Beduini, banditi e
pastori. Non è questo il caso: si dovrebbe ricordare che fu solo nel 1948
che la società Palestinese (all’interno dei confini del nuovo stato
d’Israele) divenne una società rurale in modo così schiacciante, con la
scomparsa o l’espulsione della popolazione urbana Palestinese, come vedremo
sotto.
Nel periodo in cui iniziò l’insediamento Sionista, il popolo Palestinese
venne interrotto nel bel mezzo di un intenso processo di attuazione delle
caratteristiche che conformano una moderna nazione all’interno della propria
patria. La società Palestinese era certamente per la maggior parte una
società agricola, ma la stratificazione sociale che si produsse a seguito
della penetrazione del capitale Europeo si estrinsecò nella formazione di
nuove classi sociali sulla base dei rapporti capitalistici.Già all’inizio
del Mandato Britannico, sotto il cui patrocinio l’insediamento Sionista
crebbe e si sviluppò sul territorio, un quarto della popolazione locale
Palestinese risiedeva nelle città. Alla fine del Mandato la stessa
popolazione era salita al 34% . Il grado di urbanizzazione dei Palestinesi
era particolarmente elevato per un paese del Medio Oriente. La Palestina,
inoltre, era uno dei paesi più sviluppati, nel campo tecnologico,
dell’intero Medio Oriente. Ad esempio, il livello di mobilità – il numero di
automobili per mille abitanti, tra gli Arabi Palestinesi era più alto che in
ogni altro paese della regione,fatta esclusione per il Libano , ed era più
elevato che in Bulgaria ed in Polonia in quello stesso tempo. La media di
famiglie con apparecchi radio ( per quanto oggetti recenti e costosi ) era
quattro o cinque volte superiore a quella dell’Egitto e Siria. Le città
servivano da connessione, collegando la società locale alle trasformazioni,
alle innovazioni, alle invenzioni e alle nuove idee del mondo intero,
divenendo al tempo stesso laboratorio per lo sviluppo delle idee
nazionalistiche.
Nel 1946, in Palestina, c’erano 11 città con più di 10.000 abitanti; di esse
tre avevano una popolazione Araba di circa 70.000 ciascuna : Jaffa , Haifa
e Gerusalemme. Nelle grandi città non erano sviluppati solo il commercio, le
banche, l’industria leggera ed I trasporti, ma anche la vita culturale di
una società ricca e variegata: c’erano cinema, caffè, clubs sociali,
organizzazioni giovanili e femminili, giornali, settimanali, clubs sportivi,
teatri, istituti per lo studio di lingue straniere e perfino un club
aeronautico ( a Gerusalemme ). Tali fenomeni non erano presenti solo nelle
grandi città, ma anche in città di medie dimensioni come Tsafat, Tiberias,
Beit Shean, Acco, Lod, Ramleh e Beersheba, che avevano la funzione di centri
urbani, sociali ed amministrativi per la popolazione Palestinese.
La classe lavoratrice Palestinese e le sue organizzazioni giocavano una
parte importante nella vita delle grandi città, ma la vita culturale era
stimolata e sviluppata principalmente ad opera di un ampio strato della
classe piccolo-borghese che vi stava emergendo. Questo strato era avverso al
Sionismo e spesso criticò la dirigenza Palestinese feudal-borghese che era
legata al capitale straniero, al regime coloniale , alle monarchie Arabe e
perfino al Sionismo. Ciò nonostante, la piccola-borghesia mai si dissociò
dalla guida politica o sviluppò opinioni politiche indipendenti. Tuttavia
questo strato fornì la guida ideologica al movimento nazionalista in ambedue
le versioni, pan-Araba e Palestinese. L’importanza di questo strato nella
struttura nazionale Palestinese divenne concretamente percepibile quando si
esamina la sua disponibilità a pagare le tasse al Comitato Direttivo Arabo,
perfino prima della grande sollevazione [1936-39 , diretta contro il
Colonialismo Britannico ed I suoi atteggiamenti politici filo-Sionisti ] .
Il Comitato Direttivo fece fronte alle spese tramite la contribuzione
volontaria ed impose tariffe nelle varie regioni. Jaffa, ad esempio, riuscì
a raccogliere l’ 84 % delle tariffe imposte ad essa, Ramleh e Lod l’ 86 %.
Jaffa, la cui popolazione costituiva l’ 8 % della popolazione totale della
Palestina, nel 1929-30 contribuì a più del 20 % del bilancio del Comitato
Direttivo. Perciò non è sorprendente che data l’importanza di questo
settore della popolazione nella struttura nazionale Palestinese, esso – e la
sua incubatrice, la città Palestinese – si conquistarono l’odio sfrenato del
movimento Sionista.
Questa avversione entrò in azione nella guerra di ripartizione del 1947-48 :
la maggior parte delle città Arabe venne conquistata e “purificata” prima
del 15 maggio 1948 , data alla quale ufficialmente si scatenò la “guerra
d’indipendenza” . La popolazione urbana Araba di Haifa, Tiberias e Tsfar,
così come dei dintorni Arabi meridionali e occidentali di Gerusalemme,
venne allontanata prevalentemente nell’Aprile del 1948 , proprio sotto il
naso dell’Amministrazione Mandataria Britannica. Al fine d’incoraggiare la
fuga dei residenti Arabi che restavano nelle loro case di Gerusalemme,
l’Agenzia Ebraica si dette da fare per spargere la voce che le proprietà di
quegli Arabi che avrebbero abbandonato le loro case a causa degli scontri,
sarebbero state restituite loro alla fine dei combattimenti ( Yediot
Aharanot 5/4/1948 ). Naturalmente ciò era solo una favola. Quando gli
scontri terminarono, soltanto il 5 % della popolazione Araba originaria
restò nelle città Arabe, includendo Jaffa, Lod, Ramleh e le altre città
citate in precedenza – e questo numero comprendeva addirittura anche I
rifugiati dai villaggi Arabi dei dintorni. Queste città vennero popolate da
Ebrei ed I rifugiati Palestinesi che rimasero furono concentrati in
quartieri Arabi separati , come WadiNissnass ad Haifa , Ajami a Jaffa e la
città vecchia a Ramleh . La città Palestinese cessò di esistere come
fattore di risveglio e fermento di progresso a partire da una prospettiva
nazionalistica. La sua assenza rese possibile l’istituzione di
un’amministrazione militare, economica e conveniente per le autorità, ad
una società che venne costretta a ripiegare su se stessa indietro di molte
generazioni. La scomparsa della città Palestinese trasformò la società
Araba in Israele da una società organica con una stratificazione in classi
sviluppata, in una società marginale subordinata ai centri urbani Ebraici,
compresa la totale dipendenza del proletariato Palestinese dai siti
d’impiego nelle comunità Ebraiche.
Le uniche città nelle quali rimase una consistente popolazione Palestinese
furono Nazareth e Mijdal Gad . I Sionisti ebbero paura nel portare a
termine la “purificazione” etnica di Nazareth, per l’importanza della città
nel mondo Cristiano perciò , dai villaggi circostanti, spinsero I rifugiati
entro la città,per inquinare in tal modo le sue istituzioni grazie ad una
nuova popolazione rurale.
La logica d’intervento adottata dalle autorità a Mijdal fu, invece,
completamente diversa. Questa città, dove, dopo la guerra del 1948,, era
rimasto un quarto della sua popolazione, era divenuta una sorta di centro di
soccorso per quei rifugiati che tornavano furtivamente indietro oltre I
confini per fare il raccolto dei loro campi o per ricuperare le proprietà
mobili che erano state lasciate addietro. L’amministrazione militare vi
spostò dalle tribù Beduine di Jawarish un clan ( hamula ) di collaboratori
allo scopo di controllare I residenti della città. Ciò non permise di
portare a termine l’assistenza offerta dai residenti della città ai loro
fratelli e quindi il loro destino fu segnato. Il 17 Agosto 1950 I
residenti di Mijdal Gad ricevettero gli ordini di espulsione e , in presenza
dei soldati Israeliani, fu richiesto loro di sottoscrivere la dichiarazione
che essi stavano abbandonando le loro case di loro spontanea volontà.
Nell’Ottobre dello stesso anno, tutti I residenti erano stati tradotti nella
Striscia di Gaza. Sulle rovine delle loro case venne costruita la città di
Ashkelon.
La distruzione delle città Palestinesi ed il blocco delle loro ricrescita,
per il loro ruolo di punti focali al concretarsi della coscienza nazionale
Palestinese, fu uno degli obiettivi principali di coloro che ebbero la
responsabilità degli “Affari Arabi” nei successivi governi Israeliani. La
città Palestinese che, in contrapposizione al villaggio fatto di tribù e
clan (hamula ), si sviluppa popolata da individui che formano nuove
connessioni sociali, personali e culturali, è stata sempre una minaccia per
l’identità Israeliana che si è costruita sui miti del Sionismo. Questo
processo affrettato ed artificiale di edificazione di una nazione
Ebraico-Israeliana poteva tener testa alla presenza di una popolazione
nativa di carattere agricolo, nomade e primitiva. L’esistenza invece di
una Palestina urbana, nel passato così come nel presente, scuote
ripetutamente le fondamenta dell’esistenza reale del colonialismo Sionista e
ne distrugge tutte le giustificazioni ; Israele ha perciò utilizzato
svariati metodi e stratagemmi per ostacolare l’urbanizzazione della società
Palestinese.
A dispetto della crescita della popolazione Palestinese, fin dal 1948 , come
risultato di un naturale incremento, non si è manifestata alcuna migrazione
verso le città miste o Ebraiche. Il dr. Rassem Hameisi nei suoi studi
descrive la situazione in questo modo: “ L’aumento di popolazione nei
villaggi fu accompagnato da una crescita economica senza però migrazioni
verso le città, contrariamente ai fenomeni che sono avvenuti in tutti gli
altri paesi. Ci fu aumento della popolazione senza l’abbinamento di uno
sviluppo dell’economia, dei servizi e delle infrastrutture……….Invece,fu
messo in atto un piano di regolazione e di limitazione. Tutto ciò portò
alla riproposizione nelle comunità dei caratteri di rusticità e di
sottosviluppo, anche se quella popolazione stava attraversando un processo
di urbanizzazione.” E più avanti: “ La “promozione” in termini
convenzionali-legali dello status municipale di una comunità non porta alla
sua trasformazione in una città in senso urbano, funzionale, amministrativo
ed economico.” Perciò “perfino le comunità Arabe grandi, quelle
riconosciute in senso formale quali città o cittadine, come Nazareth,
Shafaram, Sakhinin, Taibeh, Tamra, Tira e Rahat, sono di fatto dei grandi
villaggi, se si classificano nei termini del livello delle loro
infrastrutture, dei servizi, delle relazioni sociali e della loro base
economica.”
L’arretratezza accentuata, tuttavia, si manifesta non solo nel blocco
degl’investimenti e dello sviluppo industriale, ma anche nella cultura di
una guida patriarcale basata sul clan (hamula). Cioè, l’uso della
separazione e della frammentazione della popolazione Palestinese in comunità
etniche, del separatismo e dell’isolamento come mezzo per rappresentare le
relazioni sociali. E’ assolutamente chiaro che il successo di tali metodi
fra I cittadini Palestinesi d’Israele ha incoraggiato ad applicare la stessa
politica a tutta la Palestina.


1967   :   GERUSALEMME   ,   HEBRON    E     RAMALLAH  .


Con la conquista del West Bank nel 1967 , Israele cercò ancora una volta, 
sotto la copertura della guerra, di “pulire” dei loro abitanti le città del 
West Bank vicine al confine.  Kalkiliya, ad esempio, fu distrutta e  parte 
della sua popolazione trasferita.  La distruzione venne bloccata 
immediatamente a seguito di un ordine degli Americani apparentemente 
tranquillo, ma esplicito, e  la parte distrutta della città venne 
ricostruita.
L’occupazione di Gerusalemme Est  marcò l’inizio di un processo di 
distruzione urbana della città Araba ed , insieme ad essa, il consolidamento 
delle istituzioni urbane della città Ebraica che fu destinata a prendere il 
posto di quella precedente.  La prima “purificazione” etnica avvenne nel 
Quartiere Ebraico (nella città vecchia ) e nel sobborgo di Mugrabi, vicino 
alle mura occidentali, il quale venne completamente demolito. A quel tempo, 
sotto il patrocinio dell’Autorità Israeliana delle Terre, venne costituita 
un’unità segreta, dal nome  Igum,  il cui scopo era quello di cercare di 
trasferire terre e proprietà in Gerusalemme dalle mani Arabe a quelle dei 
vari corpi Ebraici.  Le linee guida operative di questa unità affermavano. “ 
Noi dobbiamo spezzare il nucleo dei residenti Musulmani della Città Vecchia 
ed incoraggiare l’emigrazione degli stessi residenti verso altri paesi” 
(Ha’aretz  ,10/5/98)   .  Nei primi mesi dopo la guerra, Israele si assicurò 
di controllare le arterie del traffico da Gerusalemme ai ponti sul fiume 
Giordano ed incoraggiò l’uscita ( senza ritorno ) degli Arabi di 
Gerusalemme.  Soldati,allora dislocati lungo il fiume Giordano,hanno 
testimoniato che essi impedivano il ritorno ai residenti e quelli che erano 
riconosciuti come residenti di Gerusalemme venivano fucilati.  
L’interruzione della contiguità residenziale Araba divenne una politica 
praticata in tutte le parti di Gerusalemme, convertendola in un’aggregazione 
di quartieri disconnessi.  Quartieri Ebraici, tutti con contiguità 
territoriale, vennero costruiti rapidamente .
Dopo la firma degli Accordi di Oslo, le comunicazioni tra la Gerusalemme Est 
Araba come centro commerciale e la sua periferia rurale furono quasi 
completamente tagliate.  La Gerusalemme Araba alla fine fu convertita in una 
città moribonda, senza cinema o vita notturna – o affatto senza alcuna vita 
urbana.  Questo processo di distruzione è stato pianificato e portato a 
termine con totale rigore fino ad oggi giorno.  Per esempio, fin dal 1996  
il Ministero dei Trasporti ha rifiutato il rinnovo delle licenze delle 
Compagnie di Autobus di proprietà Araba che servono la popolazione Araba.  
La distruzione del trasporto pubblico danneggia anzitutto la persona povera, 
così come le donne e le ragazze.  Un trasporto irregolare e non garantito 
riduce la loro possibilità di lasciare le case per motivi di studio, di 
lavoro o per godere delle attività di svago ed aumenta la loro dipendenza 
dagli uomini della famiglia – padri, fratelli, mariti.  (Questo fenomeno è 
avvenuto anche, in anni recenti, nei villaggi Arabi della Galilea a causa 
della costruzione delle strade di attraversamento riservate – bypass roads - 
  che servono solo alle comunità Ebraiche e la concomitante riduzione del 
numero delle fermate degli autobus di servizio per le comunità Arabe ).  Uno 
dei fenomeni sociali degli ultimi anni è stata la reintroduzione in 
Gerusalemme di tribunali che applicano la legge consuetudinaria – 
istituzioni patriarcali che in passato esistevano nella società rurale e 
nomade, sotto la guida di sheik  e capi clan (famula) .  Questi processi 
stanno venendo incoraggiati dall’ PA così come dalle Autorità Israeliane.
Ad Hebron, la distruzione urbana è stata portata a termine tramite lo 
sviluppo degli insediamenti Ebraici, una crescita cancerosa che iniziò in 
una zona, ma che dilagò con nuove propaggini – trasformando il centro di 
Hebron in un altro pianeta per la popolazione locale. Fin dall’inizio, i 
coloni di Hebron hanno ottenuto un consistente sostegno da parte dei  
servizi segreti di sicurezza ( per esempio, le armi contrabbandate dal 
Ministro degli Esteri Yagal Allon nel suo ufficio ai coloni  al Park Hotel  
nel 1968, furono consegnate a Levinger [ capo dei coloni di Hebron ] in 
evidente violazione di una decisione governativa ).  Il cuore della città 
Araba fu distrutto e fu trasformato in una zona a “segregazione” Ebraica.  
Ciò ha trasformato il centro della città in un luogo che molti Palestinesi 
hanno cominciato ad abbandonare a causa delle vessazioni quotidiane 
introdotte dai coloni. E, meraviglia delle meraviglie: per molti anni 
l’amministrazione militare ha permesso ai Palestinesi che hanno abbandonato 
il centro della città di costruire case nei sobborghi della città, senza il 
pericolo della loro demolizione o di altri impedimenti.
Ad Hebron, sono state messe in pratica tutte le forme di penetrazione 
Sionista, così come controllare la popolazione Palestinese che Israele vi ha 
raccolto fin dal 1948, limitando in particolar modo la moderna mobilità ed 
impedendo il processo di urbanizzazione e di industrializzazione.  Gli 
insediamenti, il furto della terra, le strade di attraversamento riservate 
–bypass roads -  la divisione della città, il blocco allo sviluppo e la 
mancanza  di connessione tra la città e la sua periferia rurale per la quale 
essa funge da capoluogo regionale, hanno trasformato Hebron in un insieme di 
quartieri separati senz’alcuna integrazione.  Nell’analisi finale , la 
politica d’Israele di de-urbanizzazione è parte di un processo di genocidio 
il cui scopo è l’estirpazione del popolo Palestinese come entità nazionale .
Tutti i malanni dovuti agli Accordi di Oslo sono evidenti ad Hebron.  
Sebbene la ripartizione delle responsabilità tra Israele e l’PA acquisti un 
aspetto territoriale nella città, la distinzione reale è nella misura delle 
responsabilità per l’ordine sociale.  La parte della città che gl’Israeliani 
con arroganza chiamano “Quartiere Ebraico” include circa  400  Ebrei e circa 
  20.000 Palestinesi, i quali mancano di tutti i diritti.  In questa città , 
sezionata e lacerata, alla quale gli Accordi di Oslo  sono designati ad 
assicurare la progressiva disintegrazione, l’odio del movimento Sionista e 
la paura della città Palestinese si esprimono in modo particolarmente 
intenso.
Altre città Palestinesi stanno ugualmente sottostando al processo di 
distruzione urbana – Ramallah , ad esempio .  Come nel caso di Hebron, così 
pure a Ramallah, nei sobborghi della città sono stati costruiti insediamenti 
Israeliani e strade di attraversamento riservate – bypass roads -  derubando 
la sua terra e le sue risorse di acqua, soffocandola e condannandola ad una 
sistematica degradazione. Inoltre, quale aggiunta, come trattamento speciale 
, Israele costringe Ramallah, città che la stampa Israeliana descrive come 
il Gush Dan [ più ricca regione di Israele ] dell’Autorità Palestinese, a 
soffocare sotto le sue immondizie.  Ventiquattro anni fa la Municipalità di 
Ramallah costruì una struttura per lo smaltimento delle immondizie nel sud 
della città.  La struttura conteneva quattro vasche acide, che erano 
sufficienti a quel tempo per le necessità della città, ma che oggi giorno 
non sono neppure approssimativamente adeguate.  Il piano cittadino di 
ampliamento della struttura fu proibito da Israele, affermando che la strada 
di attraversamento riservata –bypass road – per la base militare Israeliana 
di Ofer doveva passare esattamente sul sito dove si dovevano costruire le 
vasche acide aggiuntive.  Tutte le istanze dei funzionari dell’PA  perchè 
Israele sposti di un poco la programmata bypass road, sono cadute nel vuoto. 
  Un funzionario ha affermato : “Fra altri cinque anni Ramallah assomiglierà 
ad un campo profughi a causa dell’immondizie  buttate nelle strade “ 
(Ha’aretz  5/2/98 ) .  Questo funzionario, come pure  Amira Hass, la 
giornalista che riferì i fatti, apparentemente credono che se le cose si 
deterioreranno con tale ampiezza, ciò sarà conseguenza della prova di forza 
muscolare e della corruzione dell’occupante piuttosto che il frutto di una 
politica segreta Sionista, perdurante da molti anni, il cui scopo è 
evidenziato nella distruzione della città Palestinese.
                        (traduzione di mariano mingarelli)


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