[Cerchio] << Vinti e Vincitori -- M : Stecco >>

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Autor: cerchio@inventati.org
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Asunto: [Cerchio] << Vinti e Vincitori -- M : Stecco >>
Stecco! Stecco! Ho da dirti cose, leggi attento, cercherò di non dilungarmi, ma
la tentazione è tanta...

>Va bene! proverò a cercarlo nelle librerie locali ma, credo, con scarsi

risultati. Sai, qui da noi dette librerie vendono libracci comunissimi. Non si
riesce mai a trovare qualcosa che esula oltre l'ordinario.

Situazione prevedibilissima, prova comunque. In caso negativo, vai sul sito
della Malatempora e ordinalo on line, te lo mandano senza spese di spedizione e
scontato del 20%. www.malatempora.com. E non fare il puntiglioso stavolta!

>A proposito: mi hanno consigliato "IL SANGUE DEI VINTI". Credo che lo leggerò!


Domanda: chi te l'ha consigliato e perchè?

>Ne hai letto qualche pagina, per caso? Dicono che parli delle stragi di certi

partigiani illuminati! fammi sapere! sai quanto tengo in alta considerazione le
tue opinioni!

No non l'ho letto ma lo conosco assai bene, è di Giampaolo Pansa, arriva a casa
mia per Natale (lo regalerò a pappo mio!). E' da leggersi assolutamente assieme
al libro che ti ho consigliato, alcuni il libro di Pansa l'hanno esplorato
leggendo pure 1984 di Orwell, e siccome 'Nel Paese di Belusconia' prende spunto
proprio da Orwell, direi che se li hai in mano entrambi, il tuo natale sarà coi
fiocchi, anche se stai a sud! :)

Personalmente le tematiche prese di petto con coraggio da Pansa fanno già parte
da tempo della mia conoscenza e risalgono al periodo universitario (felicemente
concluso, fuori dall'accademia post moderna per dios!). In uno dei corsi
prescelti, potei scegliere i libri da studiarmi, e quindi misi le mani su un
libro scritto da un Inglese intitolato War in Italy 1943 - 45, dove senza peli
sulla lingua ma senza alcun tentativo di revionismo destrorso, si faceva luce
sugli aspetti più controversi del partigianesimo. Essendo un libro scritto da un
Inglese, come il libro di Tobia Jones che tu conosci, niente retorica, cosa
comune qui da noi, solo un tentativo di maggiore oggettività.

Allego una intervista con Pansa del mese di Ottobre, leggila bene, preambolo
necessario al suo libro, perchè tu capisca bene dove ci troviamo.

M

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Quei fascisti uccisi dopo il 25 aprile
di Simonetta Fiori

E' una pagina orrenda della storia italiana del Novecento. Storie di impiccati e
traditori, di stupri e torture, di fucilazioni di massa ed efferatezze gratuite,
di cadaveri irrisi e violati, della furia vendicativa che travolse il Nord
d'Italia alla fine della guerra. Storie laceranti e dolorose, perché nelle vesti
di aguzzini e seviziatori, tra il maggio del 1945 e la fine del 1946 (talvolta
anche più in là), s'incontrano alcuni dei partigiani che avevano liberato il
paese da nazisti e fascisti. E tra le vittime, ritratte nella luce livida della
morte, uomini della Guardia Nazionale Repubblicana, brigatisti neri, federali di
Salò, ma anche farmacisti, avvocati, artigiani, commercianti, operai,
casalinghe, maestre elementari, affittacamere, talvolta condannati alla forca
soltanto per una tessera del Partito fascista repubblicano. Per quasi sessant'
anni questa vicenda è rimasta avvolta in un velo di reticenze e di silenzi
imbarazzati. La racconta ora, con la passione storiografica degli esordi e la
limpidezza del narratore sapiente, Giampaolo Pansa, in un libro - Il sangue dei
vinti (Sperling & Kupfer, pagg. 382, euro 17, dal 14 ottobre in libreria) - che
susciterà polemiche non lievi.

"Dopo tante pagine scritte, anche da me, sulla Resistenza e sulle atrocità
compiute dai tedeschi e dai repubblichini, mi è sembrato giusto far vedere
l'altra faccia della medaglia. Ossia quel che accadde ai fascisti dopo il crollo
della Repubblica sociale italiana".

Il risultato è un viaggio attraverso l'orrore compiuto dall'autore insieme a
Livia, una bibliotecaria quarantenne che è l'unico personaggio inventato del
racconto. Meticolosa e sconvolgente è la mappa dei crimini. Scuole e ville
trasformate in luoghi di tortura. Uomini gettati vivi nei forni delle
acciaierie. Fiumi gonfi di cadaveri sfigurati. Un'intera colonna di soldati - la
"Morsero" - esposta al linciaggio popolare, esecuzioni di massa sul Piave,
assalti furibondi alle carceri, donne stuprate e poi finite con una pallottola.

A Milano, Torino, in tanta parte della Liguria, nel Veneto, in Emilia. E tanto
più feroce era stata l'occupazione nazifascista, quanto più furiosa esplode la
vendetta. Soltanto alla fine di questo viaggio scopriremo che Livia è figlia
d'un ex partigiano della Volante Rossa (la squadra che nel dopoguerra a Milano
seminò terrore tra gli ex repubblichini) e con quel controverso passato vuol
fare i conti.

Lei, Pansa, perché ha voluto aprire una pagina così spinosa?

"Avevo diciannove anni quando cominciai a studiare la storia della Resistenza. A
quella straordinaria vicenda civile ho dedicato con slancio la mia tesi di
laurea, avviata con Alessandro Galante Garrone e conclusa con Guido Quazza, i
miei maestri. Da allora ho continuato a scriverne, con una curiosità mai
soddisfatta: ma cosa è realmente accaduto alla fine della guerra? Nessuno mi ha
mai dato una risposta. Non gli accademici, per cui la storia si concludeva con
il 25 aprile. Né la storiografia di sinistra, che per opportunismo partitico o
faziosità ideologica ha quasi sempre ignorato quegli avvenimenti. A
sessantasette anni mi sono detto: ma perché non provare a raccontare il 'dopo 25
aprile'?".

Nessun disagio nel confrontarsi con una materia così incandescente?

"No, perché dovrei? Sono un ex ragazzo di sinistra, ho un pedigree antifascista,
l'eroe per antonomasia è il partigiano che liberò la mia città, Casale
Monferrato. Ma ho sempre saputo che la guerra civile è una scuola terribile per
tutti. Ti abitua alla violenza disumana. Chi sostiene che soltanto una parte s'
è macchiata di pratiche bestiali sa di dichiarare il falso. Quello schifo
l'abbiamo visto in entrambi i campi e io ho voluto raccontare quel che è
accaduto nel mio campo".

Claudio Pavone, che per primo ha sdoganato a sinistra il termine di "guerra
civile", scrive che crudeli e sadici furono presenti nelle due parti in lotta
(in numero senza confronti superiore tra i repubblichini) e tuttavia ciò che
differenzia i due fronti è la diversa struttura culturale di fondo, più adatta
nel caso dei fascisti a selezionare crudeltà e sadismo.

"Ma ciò che sconvolge, nei mesi successivi al 25 aprile, è l'indistinta caccia
al fascista, che poteva essere un criminale di guerra, o soltanto un tesserato
del Pfr, oppure niente di niente. La morte come una falce impazzita, che non
distingue l'erba buona da quella cattiva. Famiglie intere spedite sottoterra,
per un semplice sospetto. Complessivamente furono oltre ventimila le persone,
tra militari e civili, che rimasero travolte dalla resa dei conti e dagli
omicidi politici. Desaparecidos d' una guerra brutale".

Come spiega tanta violenza?

"Intanto fu una reazione istintiva alla spietatezza degli occupatori nazisti e
dei fascisti collaborazionisti. Non a caso tanto più feroce era stata l'azione
di tedeschi e repubblichini, quanto più cruenta fu la ribellione. Senza contare
le vendette personali: dietro molte esecuzioni, c' era una resa dei conti privata".

Lei scrive che dietro questa furia violenta agiva anche un'illusione.

"Era diffusa la convinzione che più fascisti venivano accoppati, minore sarebbe
stata la possibilità di rinascita del fascismo. Un'illusione fallace".

Oggi gli eredi di quella storia sono al governo.

"Sì, è così. Anche se Fini non può essere inchiodato al suo passato fascista,
così come Fassino non può essere impiccato alle sue radici comuniste".

Furono numerosi allora i giustizieri improvvisati.

"Spuntarono ovunque tantissimi partigiani finti. Ci sono le testimonianze di
Italo Pietra e del socialista Gianni Baldi: scendevano in campo gli antifascisti
dell'ultim' ora, decisi a mettersi in bella vista in soccorso del vincitore".

Su quali fonti storiografiche ha lavorato?

"Ho dovuto camminare sulle sabbie mobili di fatti lontani, che spesso hanno
lasciato poche tracce. Mi ha soccorso una vasta memorialistica di parte -
disseminata presso sigle editoriali minori, quasi invisibili - oltre che i
censimenti dei caduti della Rsi, mentre nell'ambito della letteratura di segno
opposto non c' è granché, tranne i preziosi contributi di Massimo Storchi,
Gianni Oliva e Mirco Dondi. Gli istituti storici della Resistenza, su questo
argomento, hanno prodotto molto poco".

Ma le testimonianze di parte fascista non rischiano di essere faziose, devianti?

"No, non c' è questo rischio. Tutte le storie che ho raccolto in questo libro
sono assolutamente credibili. Il mio difetto è averne tralasciato un'enorme
quantità".

Tra tutte colpisce la pagina dedicata a un personaggio-simbolo, Arrigo Boldrini,
presidente dell'Anpi. Lei definisce i suoi uomini "eroici e spietati". Ne
racconta la ferocia esercitata a Codevigo, in Veneto, contro i fascisti ravennati.

"Boldrini è stato un grande comandante militare, intelligente e coraggioso. Nel
febbraio del 1944 ottenne una medaglia d' oro dagli inglesi. Ma a Codevigo tutti
ricordano ancora quel che accadde alla fine della guerra: gli uomini di Bulow
era meglio non trovarseli davanti, né di giorno né di notte".

Non teme di sfigurare un'icona?

Ma no, quella era una guerra spietata. Se avessi avuto dieci anni di più, mi
sarei trovato al loro fianco".

Lei Pansa affronta anche un altro argomento tabù, il cosiddetto triangolo della
morte, i delitti commessi nel dopoguerra in Emilia da partigiani comunisti.

"Sì, fu l'inizio d'una seconda guerra civile. Una guerra di classe che avrebbe
potuto fare da innesco a una rivoluzione comunista. Si cominciarono ad ammazzare
i preti, gli agrari, i borghesi ricchi. Il vero drammatico problema era che nel
partito di Togliatti, di Longo, di Secchia e di Amendola, l'intero gruppo
dirigente, compresi i capi locali, non fece nulla per stroncare alla radice
questa convinzione".

Ma nel Pci, su queste violenze, ci fu uno scontro molto aspro.

"Esisteva un partito deviato, all'interno del partito legale. Gruppi clandestini
che godevano dell'appoggio di non pochi dirigenti del Pci reggiano. Finché
Togliatti, nel settembre del 1946, disse basta. Di lì a poco il vertice della
federazione reggiana venne silurato. Hanno ragione Elena Aga Rossi e Viktor
Zaslavsky quando sostengono che le vendette e poi l'epurazione miravano a
indebolire un'intera classe, la borghesia, e a sostituire il vecchio ceto
dirigente con una nuova leadership in cui il Pci fosse rappresentato".

Pansa, mi viene in mente l'obiezione mossa da un dirigente cattolico del Cnl,
Pasquale Marconi, a un bel personaggio del suo racconto, il Solitario, che pagò
con la vita la sua ansia di verità.

"Se è lecito che si faccia luce e giustizia, non è bene rimestare continuamente
tutto quello che vi può essere stato di marcio nella causa partigiana:
rischieremmo di essere ingiusti verso quello che c' è stato di bello".

Lei non vede questo rischio, oggi?

"No, affatto. Potrei rispondere con un motto di Giancarlo Pajetta: 'La verità è
sempre rivoluzionaria'. Il marcio che pure vi fu tra le file partigiane non
cancella le pagine eroiche. E non azzera la distinzione tra le due parti in
lotta: gli uni combattevano per la libertà, gli altri al fianco della dittatura
nazifascista. Mi chiedo soltanto se i vincitori di quella guerra non sarebbero
potuti essere più clementi con l'avversario".

Un libro sui partigiani rossi lordi di sangue non rischia di essere inopportuno
in un paese guidato da un premier che elogia la benevolenza di Mussolini?

"Ma io non sono un uomo da opportunità! Io me ne infischio. Quel che dice il
cavaliere sul regime fascista è un discorso da ubriaco. Penso che la partita con
Silvio Berlusconi vada giocata su un altro terreno, spiegando che quella
maggioranza porta il paese al disastro".

Tra i valori oggi in gioco c' è anche l'antifascismo.

"Ma il mio è un grande servizio reso all'antifascismo. Questa storia, di morte e
vendetta, la raccontiamo fino in fondo noi che veniamo da quella parte.
Gianfranco Fini non lo fa. Di Salò non vuole parlare".

I vinti di allora sono i vincitori di oggi.

"L'ho già detto, ammazzare i fascisti non è servito a niente. Anche se la destra
di oggi, ripeto, è una cosa diversa".

Pansa, non si sorprenderà se il suo libro susciterà discussione.

"Quelli della mia parte s' arrabbieranno. Ma a me piacciono i dibattiti
furibondi. Voglio continuare a scrivere libri "politicamente scorretti",
scuotere certezze acquisite. Saranno i lettori a giudicarmi. Il mio lavoro
precedente, I figli dell'aquila, protagonista un ragazzo di Salò, ha venduto
ottantamila copie, e vinto il premio Acqui Storia. Se qualcuno s' incavola,
faccia pure: io vado avanti".

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