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Scusate. per un po' sono all'estero e non posso leggere la posta, per favore potete mettermi nell'opzione dalla quale non si ricevono le mail nella casella ma le si leggono sul gruppo? IO temo di non esserne capace e da qui non ho internet e non posso collegarmi!
grazie,
simo

carlo <carlo@???> wrote:
Carlo Giuliani by anarres Tuesday November 25, 2003 at 06:45 PMmail:

Non sono qui per chiedere perdono, ma per dirvi chi realmente sono: non un assassino, un ladro o un traditore, ma un essere qualunque, con una testa e un cuore Carlo Giuliani


LIBERAZIONE 25/11/03
Il mio diritto di piangere
Carlo come italiana


Caro Curzi, volevo segnalarti una delle lettere che ho ricevuto in questi giorni.
Un abbraccio
Haidi Giuliani

«... ciò che ti sto per scrivere, mi rimbalza dentro da ieri sera: sul piano personale sono sinceramente addolorata per la morte degli italiani in Iraq, ma non sopporto questa forzatura a dovermi sentire afflitta per quanto accaduto in quanto italiana. Prima di tutto perché la morte non conosce nazione, e dunque perché il fatto che i morti siano miei connazionali dovrebbe accrescere il mio dolore? Tutti i morti non italiani che ci sono stati dall'inizio, ma anche dalla fine "ufficiale" del conflitto, non hanno meritato considerazione paritaria dal popolo italiano? La forzatura al dolore in quanto italiana mi sta stretta perché non devo spartire i sensi di colpa di un governo che ha scelto di inviare delle truppe in Iraq, contrariamente alla mia opinione; e poi, perché, personalmente, non mi sento vicina al militare che sceglie di andare a combattere una guerra, perché di questo si tratta: sono partiti da militari, soldati, consapevoli di quello che rischiavano, come ammesso ad occhi
asciutti dai parenti davanti alla stampa piagnucolona. A me d'altronde la cosa non sorprende, come può non stridere l'idea che dei militari partano per ristabilire la pace, a braccetto con gli americani... A un certo punto di questo rimescolio di pensieri, è spuntato Carlo. Carlo era italiano, qualcuno si è mai sentito forzato a piangerlo? Carlo è morto su un fronte che è stato inventato, come quello della guerra in Iraq, ma che non per questo non si è materializzato, tangibile, nel mezzo della sua città, ben oltre la zona rossa. Carlo è morto per difendere le stesse idee, giustizia, pace, rispetto dell'altro, che comicamente vengono ora sbandierate come movente di una guerra, gli sponsor ufficiali dell'intervento in Iraq. Carlo è morto mentre difendeva se stesso e gli altri da una mano armata dallo stesso nostro governo cui preme tanto portare valori di pace e giustizia altrove nel mondo. Carlo è morto senza imbracciare fucili e senza munizioni, con un estintore tra le mani che era
tutto ciò che gli era consentito di brandire per contrastare la prevaricazione, la minaccia fisica, un estintore rotolatogli tra i piedi, certo diverso dalle armi intelligenti che hanno spesso dimostrato di essere miopi, provocando la morte di innocenti. E soprattutto Carlo non poteva sapere esattamente a cosa stesse andando incontro: i militari, ma anche i civili volati in Iraq, invece, sì. Carlo non era in missione, Carlo credeva di poter partecipare ad una manifestazione nel civilissimo Paese Italia, in quella sua città che 3 anni più tardi sarebbe diventata capitale della cultura. Prima di essere nel corteo, certamente sapeva che il clima non era quello di uno dei tanti cortei consentiti dalle nostre leggi. Non credeva certo di poter essere in pericolo di vita. Dopo esserci entrato, nel corteo, forse sì, aveva compreso la pericolosità della situazione, magari nemmeno fino in fondo, altrimenti, come in una morra cinese, avrebbe capito subito che "pistola batte estintore"; si sarà
anche accorto che la sua sicurezza non era garantita, ma perché a quel punto avrebbe dovuto tirarsi indietro? Per viltà, o per realismo? Perché a Carlo si rimprovera ciò che alle vittime italiane in Iraq fa onore, l'essere morti per un ideale? Chi stabilisce da che parte sta la legittima difesa, da quella del carabiniere che spara o da quella del manifestante che lancia un estintore? Solo ai militari si riconosce il diritto a difendersi, anche con le armi, per difenderci dall'aggressione fisica e da quella ai nostri valori? Nessuno ammetterà mai che a Genova è stata imbastita e combattuta una guerra. E che Carlo difendeva i valori propugnati dall'Italia, dalla Costituzione della Repubblica. Personalmente e politicamente, Carlo mi ha rappresentato molto di più; e rivendico il mio diritto di piangerlo come italiana. Con affetto, Francesca».




Molte cose segnano una vita, molte vite segnano qualcosa che verrà.
Carlo Giuliani




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<DIV>grazie,</DIV>
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ammesso ad occhi asciutti dai parenti davanti alla stampa piagnucolona. A me d'altronde la cosa non sorprende, come può non stridere l'idea che dei militari partano per ristabilire la pace, a braccetto con gli americani... A un certo punto di questo rimescolio di pensieri, è spuntato Carlo. Carlo era italiano, qualcuno si è mai sentito forzato a piangerlo? Carlo è morto su un fronte che è stato inventato, come quello della guerra in Iraq, ma che non per questo non si è materializzato, tangibile, nel mezzo della sua città, ben oltre la zona rossa. Carlo è morto per difendere le stesse idee, giustizia, pace, rispetto dell'altro, che comicamente vengono ora sbandierate come movente di una guerra, gli sponsor ufficiali dell'intervento in Iraq. Carlo è morto mentre difendeva se stesso e gli altri da una mano armata dallo stesso nostro governo cui preme tanto portare valori di pace e giustizia altrove nel mondo. Carlo è morto senza imbracciare fucili e senza munizioni, con un estintore
tra le mani che era tutto ciò che gli era consentito di brandire per contrastare la prevaricazione, la minaccia fisica, un estintore rotolatogli tra i piedi, certo diverso dalle armi intelligenti che hanno spesso dimostrato di essere miopi, provocando la morte di innocenti. E soprattutto Carlo non poteva sapere esattamente a cosa stesse andando incontro: i militari, ma anche i civili volati in Iraq, invece, sì. Carlo non era in missione, Carlo credeva di poter partecipare ad una manifestazione nel civilissimo Paese Italia, in quella sua città che 3 anni più tardi sarebbe diventata capitale della cultura. Prima di essere nel corteo, certamente sapeva che il clima non era quello di uno dei tanti cortei consentiti dalle nostre leggi. Non credeva certo di poter essere in pericolo di vita. Dopo esserci entrato, nel corteo, forse sì, aveva compreso la pericolosità della situazione, magari nemmeno fino in fondo, altrimenti, come in una morra cinese, avrebbe capito subito che "pistola batte
estintore"; si sarà anche accorto che la sua sicurezza non era garantita, ma perché a quel punto avrebbe dovuto tirarsi indietro? Per viltà, o per realismo? Perché a Carlo si rimprovera ciò che alle vittime italiane in Iraq fa onore, l'essere morti per un ideale? Chi stabilisce da che parte sta la legittima difesa, da quella del carabiniere che spara o da quella del manifestante che lancia un estintore? Solo ai militari si riconosce il diritto a difendersi, anche con le armi, per difenderci dall'aggressione fisica e da quella ai nostri valori? Nessuno ammetterà mai che a Genova è stata imbastita e combattuta una guerra. E che Carlo difendeva i valori propugnati dall'Italia, dalla Costituzione della Repubblica. Personalmente e politicamente, Carlo mi ha rappresentato molto di più; e rivendico il mio diritto di piangerlo come italiana. Con affetto, Francesca». </P>
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