[Lecce-sf] Fwd: da A Sinistra Brindisi

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Autor: Verdi Lecce
Data:  
Asunto: [Lecce-sf] Fwd: da A Sinistra Brindisi
>From: "Giancarlo Canuto" <giancanuto@???>
>To: <Undisclosed-Recipient:;>
>Subject: da A Sinistra Brindisi
>Date: Sun, 16 Nov 2003 12:25:21 +0100
>
>A SINISTRA - Movimento Politico Antiliberista - BRINDISI
>
>L'eccidio di Nassiriya ha riproposto ciò che da molti era stato ampiamente
>annunciato. Le cronache di questi giorni fanno rivivere invece un tipico
>clima di guerra fatto di retorica e demagogia che impedisce di discutere e
>capire.
>Offriamo alla vostra riflessione due approfondimenti.
>* Uno del nostro Michele Di Schiena, magistrato, animatore del movimento
>per la pace qui a Brindisi.
>* L'altro (per chi non l'avesse letto) di Giulietto Chiesa apparso su "il
>Manifesto" di ieri 15 novembre.
>Troverete molti spunti comuni e, qualora li riterrete utili, diffondeteli
>ancora ai vostri indirizzari per contribuire a creare una cultura
>alternativa e di controinformazione.
>
>Utilizzo la spedizione per inviare anche, a chi di voi è interessato allo
>smantellamento della sanità pubblica, un articolo del nostro Maurizio
>Portaluri (primario di Radioterapia Oncologica presso il Perrino di
>Brindisi) ed esponente di Medicina Democratica.
>Anche in questo caso se riterrete condivisibile l'argomento diffondete.
>Giancarlo Canuto - A Sinistra - Brindisi
>
>Siamo coscienti che e-mail indesiderate sono oggetto di disturbo, quindi la
>preghiamo di accettare le nostre più sincere scuse se la presente non è di
>Suo interesse. A norma della Legge 675/96 questo messaggio non può essere
>considerato SPAM poiché include la possibilità di essere rimosso da
>ulteriori invii di posta elettronica. Qualora non intendesse ricevere
>ulteriori comunicazioni la preghiamo di inviare una risposta all'indirizzo
>giancanuto@??? con oggetto: CANCELLA
>
>
>***************************************
>SANGUE ITALIANO IN IRAQ
>di Michele DI SCHIENA
>    In Iraq continua a scorrere sangue e questa volta è stato sangue 
>italiano, quello dei carabinieri e dei militari uccisi da un ennesimo 
>attacco terroristico cinico e spietato. E' sangue di uomini innocenti del 
>tutto estranei alle responsabilità per le drammatiche vicende che stanno 
>sconvolgendo quel martoriato Paese, è sangue di modesti ed onesti 
>lavoratori che si guadagnavano il pane facendo un lavoro durissimo, è 
>sangue di cittadini meritevoli che avevano messo le proprie energie e le 
>proprie professionalità al servizio delle istituzioni per tutelare l'ordine 
>pubblico interno contro ogni illegalità e la sicurezza nazionale contro il 
>pericolo di aggressioni esterne.
>    L'attacco mortale ai nostri militari in terra irachena è dunque una 
>immane tragedia, un terribile evento che il governo aveva previsto e del 
>quale aveva disinvoltamente accettato il rischio, come testimoniano certe 
>preoccupanti dichiarazioni ministeriali che purtroppo non avevano turbato 
>più di tanto questo frastornato e talvolta distratto Paese. Ma è anche una 
>tragedia che si poteva evitare come sono state evitate sciagure del genere 
>da parte di grandi paesi europei che a suo tempo avevano dissentito dalla 
>decisione statunitense di occupare l'Iraq e che oggi coerentemente 
>rifiutano di inviare contingenti armati in quell'area dove si continua a 
>combattere in forme mutate una guerra che in pratica non ha avuto mai 
>termine. Ed allora abbruniamo i pensieri, i sentimenti e le speranze di 
>questa nostra quotidiana vicenda per segnare a lutto, specialmente dentro 
>di noi, questi giorni di afflizione e di mestizia.
>    Questo non è certo il momento delle retoriche patriottarde, dei 
>proclami salva-coscienza, delle solenni dichiarazioni piene di nulla, dei 
>logori riti di ufficiale cordoglio e, meno che mai, dello spregiudicato 
>tentativo di convertire l'angoscia per l'eccidio in orgoglio nazionale col 
>recondito intento di utilizzare quel sangue tragicamente versato come 
>titolo redditizio da spendere nei rapporti con gli altri paesi occidentali 
>e soprattutto col "grande fratello" americano. E' l'ora invece del dolore, 
>della pietà, della solidarietà, della preghiera, della riflessione e di un 
>rinnovato impegno contro tutte le violenze, tutti i terrorismi e tutte le 
>guerre. Ed è anche l'ora dell'unità ma solo per stringersi con sentimenti 
>di solidarietà e di condivisione intorno alle famiglie delle vittime, ai 
>carabinieri, alle forze armate e allo Stato repubblicano come disegnato 
>dalla Costituzione che lo fonda sul lavoro e ripudia la guerra. Non ci si 
>può stringere invece intorno ad un governo che a suo tempo si è schierato a 
>favore della guerra americana in Iraq ed oggi continua a sostenerla con 
>l'invio in quel Paese di contingenti armati. Una guerra condannata dalla 
>stragrande maggioranza dell'opinione pubblica mondiale, dalla maggior parte 
>dei popoli e dei governi e dalle più autorevoli cattedre religiose e 
>morali.
>    No, con buona pace di chi suona il silenzio per addormentare la nostra 
>democrazia, non è possibile tacere e perciò va detto a chiare lettere che 
>il governo deve rispondere della sua errata politica estera, lontana dallo 
>spirito costituzionale, docile oltre ogni misura ai voleri e agli ordini 
>statunitensi e dannosa per gli interessi nazionali ed europei. L'eccidio di 
>Nassiriya chiama in causa le responsabilità di questo governo e di questa 
>maggioranza ma fa anche carico all'opposizione non solo del dovere di 
>denunciare l'inadeguatezza delle scelte berlusconiane sul versante della 
>politica militare ma anche del dovere di chiedere con ogni determinazione 
>l'immediato ritiro delle nostre truppe dall'Iraq. E a questo riguardo non 
>può sfuggire che solo un esasperato politicismo ed una distorta concezione 
>del prestigio nazionale, hanno potuto far dire a qualche autorevole 
>esponente del centrosinistra che la missione militare in Iraq, ritenuta 
>all'atto dell'invio delle truppe sbagliata ed ingiusta, debba essere oggi, 
>dopo la strage di Nassiriya, mantenuta e portata avanti quasi che l'eccidio 
>l'avesse a posteriori, chissà come, emendata e resa giusta.
>    Ma l'auspicio di chi si oppone alle guerre e ai terrorismi è che torni 
>in campo, più forte di prima, quel movimento per la pace che aveva messo a 
>nudo l'iniquità e la pericolosità della guerra irachena. Una guerra 
>motivata in un primo momento con l'indimostrato possesso da parte di Saddam 
>Hussein di armi di distruzione di massa e successivamente giustificata con 
>la lotta al terrorismo, obiettivo questo clamorosamente fallito dal momento 
>che l'intervento armato invece di abbattere o almeno fiaccare i gruppi 
>terroristici, li ha favoriti e rafforzati facendoli incontrare con la 
>guerriglia ed aprendo nuovi spazi alle loro micidiali incursioni. E poi, 
>come non rilevare che la presenza dei militari italiani in Iraq c'entra 
>come i cavoli a merenda con la lotta al terrorismo che in questi giorni 
>viene ossessivamente evocata a copertura degli errori commessi e peraltro 
>teorizzata in termini marcatamente sbagliati perché il terrorismo - come i 
>fatti dimostrano - non si sconfigge con operazioni e missioni belliche ma 
>combattendo la miseria e l'ingiustizia e facendo ricorso non a missili e 
>bombe ma a servizi di investigazione veramente intelligenti e a misure di 
>polizia internazionale adeguatamente coordinate.
>    Di fronte a questi terribili scenari di violenza e di terrore, l'unità 
>di coloro che vogliono impedire il ripetersi di eccidi e di disastri va 
>costruita intorno a quella "superpotenza" disarmata che mesi addietro aveva 
>scosso i palazzi del potere politico e le fortezze dei comandi militari, 
>quel movimento che oggi deve tornare a percorrere, sotto le bandiere della 
>non violenza, le vie del nostro Paese e di tutto il mondo per gridare le 
>ragioni della giustizia e della pace contro la disumanità degli 
>sfruttamenti, delle guerre e dei terrorismi le cui vittime predestinate 
>sono sempre i poveri e gli esclusi, siano essi in divisa o in abito civile.
>    Brindisi, 14 novembre 2003

>
>
>
>***************************************
>QUELLE BANDIERE
>di GIULIETTO CHIESA
>
>    Non bisogna avere paura di dire l'avevamo detto. Il movimento contro la 
>guerra in Iraq è stato, in Italia, il più possente e insieme il più 
>diversificato. Ma tutte le motivazioni che l'hanno fatto grande 
>convergevano su alcune, fondamentali assunzioni: si trattava di una guerra 
>senza alcuna legittimazione; preventiva e quindi doppiamente illegale; 
>sbagliata perché pensata sull'ipotesi che fosse possibile esportare con la 
>forza valori e democrazia; inutile perché non avrebbe risolto alcun 
>problema, a cominciare dalla lotta contro il terrorismo; pericolosa perché 
>avrebbe aggravato quelli esistenti, in particolare moltiplicando i focolai 
>di terrorismo. Tutto ciò che era stato previsto si è, purtroppo, 
>verificato. Ed è tanto più triste constatarlo dopo che molti nostri soldati 
>sono caduti in combattimento. Poiché ciò dice che quei morti potevano 
>essere risparmiati.
>    Adesso coloro che sono responsabili diretti di quelle nostre morti 
>cercano canagliescamente di nascondere le loro responsabilità sotto una 
>coltre di retorica patriottica. Occorre invece riflettere con il massimo di 
>sangue freddo.
>    Riflettere significa aiutare la gente a non cadere nelle molteplici 
>trappole che molti media spargono a piene mani. La più insidiosa delle 
>quali è la tesi secondo cui tutto ciò che sta accadendo in Iraq, in queste 
>ore, sia terrorismo fondamentalista islamico importato dall'esterno, farina 
>del sacco di Bin Laden.
>    A parte il fatto che sostenere questa tesi equivale a riconoscere che 
>gli Usa hanno commesso un errore irreparabile, moltiplicando il pericolo 
>terrorista, occorre dire a gran voce che essa è comunque falsa. Ridurre 
>tutto a terrorismo fondamentalista significa fasciarsi occhi e orecchie e 
>illudersi che esso possa essere domato con un incremento di forza militare.
>    In realtà è evidente la presenza - accanto, insieme, intrecciata con il 
>terrorismo - di una potente, diffusa resistenza popolare contro le truppe 
>d'occupazione. Questo significa che un aumento della repressione sarà, per 
>un tempo imprevedibile, accompagnato da un incremento della reazione, cioè 
>da altro sangue, altro terrorismo, altre morti, irachene e straniere. 
>Sbagliare la valutazione significa sacrificare inutilmente altre vite.
>    Ritirarsi è dunque obbligatorio, anche perché il vuoto pauroso creato 
>dalla dissennata guerra statunitense non sarà certo colmato dalla presenza 
>italiana. Perfino il Giappone - che aveva promesso truppe - è tornato sulla 
>sua decisione. La Corea del sud riduce il contingente. L'India rifiuta, la 
>Turchia rifiuta. Russia, Germania e Francia restano fuori. Tutti vili?
>    In realtà tutti più o meno consapevoli che bisogna cambiare rotta, 
>subito, senza porre tempo in mezzo. Questo barlume di resipiscenza sta 
>emergendo perfino a Washington. Forse per ragioni elettorali, ma potremmo 
>presto trovarci di fronte a una abbandono anticipato del campo da parte 
>perfino degli Stati uniti. Anticipato significa ancor prima che una 
>qualsiasi soluzione di autogoverno iracheno sia stata messa in piedi.
>    S'impone una iniziativa politica che sia, in primo luogo, un messaggio 
>positivo al popolo iracheno stremato dalla dittatura, dall'embargo e dalla 
>guerra, le cui coordinate sono visibili fin d'ora e che dovrebbero essere 
>subito sperimentate: consegna alle Nazioni unite della responsabilità 
>politica; ritiro annunciato da subito e gradualmente eseguito di tutte le 
>truppe di occupazione; loro sostituzione graduale con le truppe di paesi 
>che non hanno preso parte all'aggressione militare anglo-americana; 
>progressivo inserimento di forze militari e di polizia dei paesi arabi e 
>musulmani.
>    Difficile? Difficilissimo. Se qualcuno ha soluzioni politiche più 
>facili le esponga.
>    Il movimento contro la guerra faccia sentire la sua voce. L'emozione e 
>il dolore, insieme alla campagna mediatica, insieme alle incertezze di 
>un'opposizione senza bussola, hanno modificato in senso negativo - inutile 
>nasconderselo - il panorama dell'opinione pubblica italiana. I sondaggi, 
>pur da prendere con le pinze, indicano un paese spaccato in due, dilaniato 
>tra l'ipotesi del ritiro e quella del proseguimento, senza destino e 
>prospettiva, di una presenza italiana in Iraq. Il governo - cieco come 
>prima - dichiara di voler procedere peggio di prima.
>    Prima che la guerra cominciasse, poi a guerra iniziata, abbiamo 
>riempito il paese di bandiere di pace. Molte sono rimaste - e giustamente - 
>appese a dimostrare che fu giusto metterle, perché la guerra non era 
>affatto finita. Chi le ha lasciate aveva ragione. Le lasci, anche se i loro 
>colori si sono stemperati. Chi le ha ritirate le riesponga. Chi non le 
>aveva ancora messe le tiri fuori. E' un messaggio visivo potente, 
>razionale, solidale, democratico. Moltiplichiamolo, nell'interesse della 
>ragione e della pace.

>
>
>***************************************
>MA CHI DIFENDE LA SANITA' PUBBLICA?
>di Maurizio Portaluri - Medina Democratica
>
>    Dobbiamo accettare l'invito provocatorio, che Piero Quarta Colosso ha 
>rivolto ai pugliesi dal Quotidiano del 12 novembre, ad andare a Rozzano per 
>farci curare presso l'Istituto privato accreditato "Humanitas"? Sicuramente 
>al famoso medico ed imprenditore sanitario leccese oltre alle 
>"scintillanti" apparecchiature non saranno sfuggiti tanti nostri 
>corregionali che nelle ampie sale di attesa e nelle confortevoli camere del 
>moderno e prestigioso Istituto venivano ospitati per effettuare esami e per 
>ricevere cure, e non da oggi.
>    Apprezzo molto che un imprenditore privato della sanità esponga in 
>pubblico i problemi che ostacolano il pieno svolgimento della sua attività 
>in un settore che ha così immediate conseguenze per un bene prezioso come 
>la salute individuale e collettiva. Egli potrebbe più facilmente cedere 
>alla tentazione di cercare soluzioni in conciliaboli politici e 
>amministrativi. Ma il metodo da lui adottato, il parlarne in piazza, è 
>quello che alla lunga produce le trasformazioni sperate perché aumenta le 
>conoscenze della gente comune e fa crescere la coscienza pubblica. Per 
>questo il suo intervento mi sembra un'occasione che non ci si può 
>permettere di far cadere.
>    Non credo però che - come egli scrive - "nella nostra regione ogni 
>legge sanitaria è fatta apposta per privilegiare la sopravvivenza delle 
>strutture pubbliche". La politica sanitaria regionale, dal 2000 ad oggi, ha 
>mirato - a parere di chi scrive - prevalentemente al pareggio di bilancio e 
>solo secondariamente al raggiungimento di obiettivi di salute. In questo 
>quadro non si sono potuti realizzare, né nel pubblico né nel privato, i 
>necessari rinnovamenti e potenziamenti delle tecnologie biomediche e quindi 
>non si è contrastata la migrazione sanitaria.
>    Ma torniamo per un attimo a Rozzano. E' vero, la Regione Lombardia ha 
>accreditato tutte le strutture private. Per questo il cittadino lombardo 
>può curarsi dove vuole e le strutture sanitarie private possono ricevere il 
>rimborso di tutte le prestazioni erogate mentre le strutture sanitarie 
>pugliesi devono rispettare il "tetto" massimo di attività rimborsabile dal 
>servizio sanitario regionale a causa del quale, da tre anni a questa parte, 
>chi si ammala in autunno o si paga gli esami diagnostici o aspetta. 
>L'accreditamento "universale" realizzato in Lombardia ha però prodotto un 
>forte deficit che viene ripianato con una piccola addizionale IRPEF in 
>grado, da sola, di generare un'enorme prelievo fiscale  considerato 
>l'elevato reddito medio di quella regione. Lì, in altri termini, sono più 
>ricchi e si pagano una sanità migliore anche con quella quota di fondo 
>sanitario pugliese che i nostri ammalati sono costretti a trasferire  in 
>Lombardia per curarsi. E' quindi proprio la concorrenza e la legge del 
>libero mercato di cui si lamenta l'assenza in Puglia che, applicata a 
>livello mondiale e nazionale anche in sanità, accresce l'arretratezza 
>nostra e di tutte le aree più povere nel paese e nel mondo. Per questo era 
>giusto controllare la spesa sanitaria nella nostra regione ma senza frenare 
>lo sviluppo delle strutture carenti. Questi tre anni di "blocchi" hanno 
>ripianato i conti ma hanno anche accresciuto i ritardi.
>    Ma la sanità non è fatta solo di tecnologie bensì anche di operatori. E 
>a questo riguardo come medico del servizio sanitario regionale devo 
>ammettere che il servizio pubblico può e deve fare di più. Questo auspicio 
>risulta anche da un recente documento regionale sull'utilizzo proprio delle 
>risonanze magnetiche - che Quarta Colosso vorrebbe installare in numero 
>maggiore se solo avesse la certezza di vedere giustamente rimborsato il suo 
>lavoro - da cui risulta che l'attuale dotazione di apparecchiature sarebbe 
>sufficiente in rapporto alla popolazione ma quelle pubbliche non sarebbero 
>pienamente utilizzate. Non affronto qui il problema se tutte le richieste 
>di esami con risonanza magnetica siano scientificamente giustificate, ma 
>ammettendo che lo siano, molte di più se ne potrebbero soddisfare nelle 
>strutture pubbliche. Perché ciò non avviene? Lo stesso rapporto dichiara 
>che il personale non sarebbe sufficiente. Ma non stiamo facendo il riordino 
>ospedaliero anche per risolvere questo problema? A me sembra che sinora 
>l'attuazione del piano stia procedendo "manu militare" quando si tratta di 
>chiudere servizi e reparti ma si arresta quando si devono trasferire dove 
>vi è urgente necessità infermieri e tecnici, i veri "volani" 
>dell'assistenza sanitaria. Interessi di campanile e difese corporative si 
>intrecciano e strangolano le esigenze sanitarie della popolazione. Ma non 
>difende il posto di lavoro, proprio e dei propri figli, e tanto meno la 
>ricchezza di questa regione quel lavoratore della sanità che, per non 
>allontanarsi di qualche chilometro da casa sua, ostacola lo sviluppo del 
>servizio sanitario pubblico costringendo indirettamente la nostra gente a  
>recarsi presso i tanti "Rozzano" dei suoi calvari per curarsi, arricchendo 
>così le strutture sanitarie e le regioni del nord e impoverendo ancora di 
>più quelle meridionali, sia pubbliche che private.

>
>Brindisi, 13 novembre 2003


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