R: [NuovoLaboratorio] urgentissimo!!!!!!!!!polizia in Via Be…

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Aihe: R: [NuovoLaboratorio] urgentissimo!!!!!!!!!polizia in Via Bertani
Per chi potesse accorrere in questo momento la polizia ha circondato Via
Bertani impedendo l'ingresso a chiunque Ciao Fabio
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Sent: Thursday, October 30, 2003 8:12 AM
Subject: [NuovoLaboratorio] Stop the wall/Stop the war!


4. RIFLESSIONE. URI AVNERY: IL GHETTO NEL MURO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 ottobre 2003. Uri Avnery e' nato ad Ha
nnover nel 1924, ed e' emigrato in Palestina all'avvento del nazismo; gia'
militante dell'Haganah e combattente nella guerra del 1948; piu' volte
parlamentare, giornalista, impegnato nell'opposizione democratica e nel
dialogo col popolo palestinese; e' tra le voci pi=F9 vive del movimento
pacifista israeliano. Opere di Uri Avnery: Israele senza sionisti, Laterza,
Bari 1970; Mio fratello, il nemico, Diffusioni 84, Milano 1988]

"First of all, the wall must fall", prima di tutto il muro deve cadere.
Questo slogan e' nato alcune settimane fa, spontaneamente, proprio davanti
al muro nella citta' di Kalkiliya, nel luogo dove la barriera gira verso
est, addentrandosi in profondita' nel territorio palestinese. Dall'altra
parte c'erano dei palestinesi che stavano dimostrando. Serviva uno slogan in
rima, buono per il megafono, sono arrivate quelle sette parole. Esprimono
con chiarezza cio' che bisogna fare. Inutile illudersi, non si tratta delle
mura di Gerico da abbattere suonando le trombe. Chi lo sta costruendo lo fa
affinche' quel muro resti per l'eternita', cosi' come sostengono che la
"Gerusalemme unita" e' "l'eterna capitale di Israele". La destra israeliana
non considera alcun periodo di tempo inferiore all'"eternita'". Purtroppo
pero' anche nella sinistra israeliana c'e' chi pensa che il muro abbia
creato una situazione "irreversibile". E altre "eternita'".
*
Il nostro muro viene spesso paragonato a quello di Berlino.
Dal punto di vista politico e visuale il paragone e' calzante. Anche perche'
quel muro non era solo una mostruosita' architettonica urbana. Era parte
della sezione tedesca della cortina di ferro che tagliava il paese in due e
che si estendeva dal Mar Baltico a nord fino al confine della Cecoslovacchia
a sud - circa un migliaio di chilometri, piu' o meno la lunghezza del mostro
di Sharon.
Anche in Germania il muro era una grande muraglia, un insieme di mura e
reti, torrette e postazioni di fuoco, zone off limits, strade per le
pattuglie e "corridoi di morte" dove i soldati aprivano il fuoco. Il muro
divideva il paese, violava il panorama, separava le famiglie da una parte e
dall'altra. Un mostro che incuteva terrore, un simbolo del potere e dei suoi
obiettivi ultimi.
Chiunque ci si e' trovato davanti ha sentito dentro di se' che il muro
rappresentava un punto di non ritorno nella storia tedesca, che quella
separazione era eterna e che quindi non aveva senso combatterlo. Non pochi
politici hanno basato la loro azione sul fatto che quel muro non sarebbe mai
caduto. Per tutti, a destra e a sinistra, era un dato di fatto. Nessuno lo
metteva in discussione. La situazione era "irreversibile".
*
Poi, un giorno, come l'imprevista eruzione di un vulcano, ecco che e'
caduto, quasi da solo.
In pochi secondi l'irreversibile e' diventato reversibile. La situazione e'
cambiata, il mostro scomparso dalla faccia della terra, come i dinosauri.
Alcuni giorni prima della caduta del muro avevo passato il confine per
andare a Berlino. I poliziotti erano rudi: "Passaporti. Siediti. Aspetta".
Pochi giorni dopo il crollo, gli stessi agenti erano sorridenti e gentili:
"prego signore, grazie signore, vorrebbe per favore, solo un momento" -
prova che non solo i muri ma anche le persone, per fortura, sono
"reversibili".
*
Vi e' pero' una grandissima differenza tra il muro in Germania e quello
costruito da Israele.
La Germania dell'est aveva un confine fissato da accordi internazionali
raggiunti al termine della seconda guerra mondiale. E il muro era stato
costruito rispettando al millimetro quella linea di confine. Il suo percorso
era evidente. Nel nostro caso non c'e' nulla di evidente, non c'e' stato
alcun accordo, non c'e' alcun confine. Tutto viene disegnato da anonimi
pianificatori. E' facile immaginarli seduti in uffici con l'aria
condizionata e una grande mappa. Su di essa vi sono solo gli insediamenti e
le vie per collegarli tra di loro evitando i centri arabi. Le citta'
palestinesi e i villaggi non vi sono riportati, come se la pulizia etnica,
alla quale mirano tanti in Israele (e nel governo Sharon) fosse gia' stata
realizzata.
Questa e' la caratteristica principale del muro, la sua inumanita'.
Coloro che l'hanno pianificato hanno del tutto ignorato l'esistenza di
esseri umani non ebrei. Hanno tenuto conto delle valli e delle colline,
degli insediamenti e delle strade, ma hanno ignorato del tutto le citta', i
quartieri e i villaggi palestinesi, i loro abitanti e i loro campi. Come se
non esistessero.
*
Cosi' il muro ora divide i bambini dalle scuole, gli studenti dalle
universita', i pazienti dai dottori, i villaggi dalle fonti d'acqua, i
contadini dai campi.
Come un bulldozer corazzato che irrompe in un villaggio e distrugge tutto
cio' che incontra, il muro taglia le migliaia di piccoli fili che
costituiscono il tessuto della vita quotidiana dei palestinesi, come se non
fossero gia' piu' li'. Per i pianificatori quelle vite non esistono, il
paese e' ormai privo di non ebrei. All'inizio del terzo millennio, essi
agiscono sulla base del principio sionista della fine dell'Ottocento: "Una
terra senza popolo per un popolo senza terra". In realta' l'idea del muro ha
profonde radici nel pensiero sionista e lo ha accompagnato sin dall'inizio.
In "Der Judenstaat", Theodor Herzl gia' scriveva: "In Palestina dovremo
costituire parte del muro dell'Europa contro l'Asia... un avamposto della
cultura contro la barbarie". Oltre cento anni dopo, il muro di Sharon
esprime lo stesso punto di vista.
Gli osservatori esterni non possono capire. Arafat mi ha raccontato che,
nella sua recente visita negli Usa, Abu Mazen ha mostrato a Bush una mappa
del muro. Il presidente e' rimasto choccato e agitando la mappa sotto gli
occhi del vicepresidente Cheney avrebbe gridato: "Cos'e' questa cosa? Dov'e'
finito lo stato palestinese?".
*
Con la sua sola esistenza il muro esprime potere.
Il suo messaggio e' chiaro: noi siamo potenti, possiamo fare tutto cio' che
vogliamo, imprigioneremo i palestinesi in piccole enclave e li taglieremo
fuori dal mondo. Ma questa e' autoconsolazione. Il muro esprime in realta'
le antiche paure ebraiche. Nel medioevo gli ebrei si circondavano di mura
per sentirsi sicuri, molto prima che fossero costretti a vivere nei ghetti.
Uno stato che si circonda di mura non e' altro che uno stato-ghetto. Un
ghetto molto forte, certo, molto armato, un ghetto che terrorizza tutti i
vicini - ma sempre un ghetto che si sente sicuro solamente dietro mura,
torrette di guardia e filo spinato. Israele non arrivera' mai alla pace a
meno che non si liberi di questa mentalita' del ghetto.
E il primo passo non potra' che essere la distruzione del muro.

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Angelo Cifatte
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