[ssf] Resistenza fino alla vittoria

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Author: Gianni - Circolo Prc "Carlo Giuliani" - Cadorago (Co)
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Subject: [ssf] Resistenza fino alla vittoria
MONDOCANE FUORI LINEA 1/9/3
FULVIO GRIMALDI

Resistenza fino alla vittoria

Tommaso di Francesco, del Manifesto, è stato tra tutti l'inviato e
commentatore che più correttamente ha raccontato guerra e frantumazione
della Jugoslavia, con tutte le infamie del caso giustamente attribuite alla
Nato e ai suoi ascari tagliagole dell'UCK kosovaro. Dribblati con acume di
marxista tutti i luoghi comuni della propaganda di guerra, Tommaso è
tuttavia inciampato su due stereotipi della disinformazione imperialista (e
velinara), purtroppo sui più insidiosi e tossici: la inesistente "dittatura"
del "nazionalista" Milosevic e la "pulizia etnica" che i serbi avrebbero
condotto contro le minoranze jugoslave, in particolare contro gli albanesi
del Kosovo. La storia e le indagini di ONU e investigatori indipendenti
hanno fatto giustizia di queste falsità: Milosevic né era un dittatore, né
seguiva politiche nazionaliste, anzi, né Belgrado aveva mai condotto
operazioni di pulizia etnica. Semmai i serbi le avevano subite: in Croazia,
Bosnia e Kosovo. Lo stesso si può dire di un giornalista di Liberazione,
Giancarlo Lanutti, tra i pochi che non riecheggiano, a differenza di altri
autorevoli interventi su quel giornale, le fandonie e i veleni della
disinformazione israeliana e dei suoi succubi. Lasciato il segno con termini
come "criminali", "delitti", "suicidi disperati", riservati ai combattenti
palestinesi che si sacrificano colpendo, come suole nelle guerriglie, il
nemico dove più gli fa male (immaginate cosa avrebbero fatto i partigiani se
comunità tedesche fossero venute a colonizzare l'Italia sotto la protezione
delle armi naziste), brindato inizialmente alla farsa della road-map e a
protagonisti-fantocci come Abu Mazen e la spia CIA Dahlan, ignorata
sistematicamente la sinistra palestinese, Lanutti è passato ad occuparsi di
Iraq.
E subito ha gravemente sbagliato. Su due punti: ha attribuito all'
organizzazione criptostatunitense Al Qaida l'intenzione di mettere alle
corde gli USA (riferendosi agli attentati di Najaf e all'ONU); "non esclude"
che proprio nella situazione creata dalla guerra possa essersi determinata
quella saldatura fra al Qaeda (va scritto al Qaida) e i seguaci in chiave
antiamericana. Non contento, cita un affiliato dello SCIRI filorianiano (cui
apparteneva l'ayatollah Mohammed Al Hakim ucciso dalle autobombe) per
ribadire il concetto: "Al Qaida non può in Iraq agire da sola, a fornirgli
aiuto potrebbero essere proprio i fedelissimi di Saddam".
E qui siamo all'apice della subalternità alle mistificazioni messe in
circolo dai disinformatori della banda Bush-Blair: Al Qaida riconosciuta (e
nobilitata!) come antagonista mondiale degli USA, anziché, come tutti i
commentatori e analisti seri hanno documentato, strumento ultraventennale
delle provocazioni e destabilizzazioni imperialiste (Afghanistan, Bosnia,
Kosovo, Indonesia, Filippine, Kashmir, Algeria, perfino gli israeliani hanno
tentato di creare una cellula di "Al Qaida" nella resistenza palestinese);
le resistenza irachena perfidamente collegata al terrorismo (ribadisco:
statunitense) di Al Qaida. Con questi due colpi, si è fatto un enorme favore
all'imperialismo e alla sua strategia genocida: come già con i combattenti
palestinesi, si è creato il corto circuito, dettato dallaCIA e dal Mossad,
tra lotta di liberazione nazionale e indiscriminato terrorismo Al Qaida; in
seconda battuta, si è accreditata la squadra di dinamitardi Al Qaida,
teleguidata dalla CIA in ogni sua manifestazione, come autentica forza di
rivolta e opposizione alla "civiltà occidentale". Non ci potrebbe essere
nulla di più debilitante per uno schieramento genuinamente antimperialista.
Ho voluto insistere su questi veri e propri tonfi dell'informazione di
sinistra, dovuti a ignoranza, pigrizia, timidezza, forse opportunismo da
salotto buono della politica o da alleanze spurie, perché è qui che casca l'
asino. In difesa della resistenza palestinese, irachena, di tutti i popoli,
in difesa della nostra capacità di decodificare gli inganni padronali e
imperialisti, abbiamo il dovere di esigere dagli informatori e comunicatori,
che si dicono dalla nostra parte, un impegno professionale e politico più
avveduto, libero e documentato. Tanto per dire: non si può continuare a
definire "dissidenti", "opposizione", "minoranze", i terroristi cubani,
corrotti e comprati dal nemico yankee perché aiutino a riportare la propria
patria alle condizioni politiche, sociali e morali del vero dittatore
Batista, proconsole di mafia e USA.
Venendo invece direttamente ai patrioti iracheni, personalmente dubito, in
attesa di riscontri, che le autobombe contro ONU e lo SCIRI, pur
vergognosamente collaborazionisti, siano di una Resistenza che al di là di
ogni dubbio fa capo a Saddam Hussein e alla dirigenza del Baath, dei
comunisti della Tendenza Patriottica (scissi dal PC iracheno nel 1979,
quando Mosca ordinò al partito di schierarsi con l'invasore iraniano) e
delle altre formazioni nazionaliste e progressiste riunite nella Coalizione
Nazionale Irachena (riunitasi a congresso a Parigi nel febbraio di quest'
anno) e rientrata in patria per contribuire alla lotta contro l'invasore.
Per chi conosce il popolo iracheno, risulta chiaro che un attentato di tale
portata contro l'ONU non sarebbe stato condiviso, alla luce del fatto che,
pur nella subalternità istituzionale dell'ONU agli USA, questa
organizzazione, con gli ispettori dell'ultima fase che tentavano in ogni
modo di contraddire le false accuse di Washington e con protagonisti onesti
come Denis Halliday e Hans Von Sponeck, dimessisi dai rispettivi incarichi
di dirigenti degli aiuti alimentari in protesta contro il genocidio
angloamericano, non rappresentava certo il nemico principale. Quanto alla
strage di sciti a Najaf, scontato il collaborazionismo (ed espansionismo
iraniano) di Al Hakim e dello SCIRI, suscitare in questa fase un conflitto
interno tra comunità irachene, quando Saddam, in numerosi comunicati, aveva
insistito sull'urgenza dell'unità di tutte le forze patriottiche, religiose
e laiche, di ogni etnia, del resto già attuata sul campo, nonché
caratterizzare in senso terroristico la lotta nazionale, poteva solo
favorire il disegno di criminalizzazione dei partigiani e di libanizzazione
dell'Iraq, da sempre nei piani degli occupanti: un suicidio per la
Resistenza. Un disegno delittuosamente favorito dal sedicente PC iracheno,
vera copertura a sinistra dell'occupazione, quando, entrato nel Consiglio di
Governo nominato dal Gauleiter Paul Bremer, insieme agli anticomunisti e
narcotrafficanti curdi di Jalal Talabani e ai manutengoli CIA dell'
ex-Consiglio Nazionale Iracheno di Londra, ha preso a diffamare la lotta
armata, attribuendole assurdi obiettivi di conflittualità settaria ed
etnica.
So, per informazioni direttamente ricevute a Bagdad, durante l'aggressione,
dai responsabili iracheni, che il presunto disfacimento della Guardia
Repubblicana e delle milizie partigiane a partire dall'occupazione del
centro del paese non era che l'attuazione di un progetto pianificato con
largo anticipo, volto a impedire la totale distruzione delle forze irachene
a opera della macchina tecnologica angloamericana e a preservare la loro
integrità in vista di una guerra di liberazione di lunga durata, nella quale
i rapporti di forza si sarebbero spostati a proprio favore. Proprio come
succede adesso, con una guerriglia a direzione centralizzata, ad altissima
efficienza e sofisticazione, sia contro le truppe d'occupazione e le forze
paramilitari e amministrative del collaborazionismo, sia contro le
infrastrutture petrolifere che impediscono agli USA di trarre profitto dalla
distruzione della sovranità del popolo iracheno. E' in atto una grandiosa
Intifada, centralmente diretta da Mossul al Nord a Bassora nell'estremo Sud,
radicata in una popolazione che conferma una volta di più, al di là delle
mire integraliste scite, limitata a settori minoritari, la sua adesione al
cinquantennale progetto di emancipazione nazionale anticolonialista e che
oggi è integrata dall'affluire di migliaia di volontari arabi. Ne deriva una
crisi profonda ed evidente per i regimi genocidi (i costi stratosferici in
termini umani e materiali, il disincanto e la rabbia delle opinioni
pubbliche, il disvelamento della loro natura criminale) che si sono
imbarcati in un'avventura di cui non hanno saputo minimamente calcolare le
conseguenze, la capacità di risposta politica, culturale e militare di un
popolo ideologicamente maturo, che non per nulla il governo caduto aveva
preparato a una guerra di liberazione di lunga durata, armando oltre sei
milioni di cittadini e addestrando alla guerra partigiana un milione di
militanti del Baath.
Dal 1917 al 1958, anno della rivoluzione, gli iracheni hanno saputo
incalzare gli occupanti coloniali britannici con un ininterrotto seguito di
rivolte, fino alla definitiva liberazione. Erano scimitarre e carabine
contro il primo esercito del mondo. Oggi hanno armi migliori e, alle
spalle, una riconquistata dignità, un'emancipazione sociale e politica tra
le più avanzate del Terzo Mondo e la consapevolezza del proprio ruolo nella
storia della lotta di liberazione dei popoli. I partigiani iracheni, come
quelli palestinesi, lottano anche per noi. Già hanno inchiodato l'
imperialismo in una palude da cui non potrà che uscire sconfitto e che,
intanto, gli ha reso più problematiche altre avventure della guerra
preventiva e permanente. Meritano tutto il nostro sostegno, anzittutto con
la battaglia per la verità.