Auteur: Tuula Haapiainen Date: Sujet: [Cerchio] Domenico Losurdo "La democrazia coma valore universale" (x
johnny) 1.
Johnny, tu chiedevi il nome di un comunista fatto in carne e ossa, e non
credevi che ci fosse anche uno con cervello..:)
Eccolo qui, Domenico Losurdo ha anche un cervello molto acuto..
Ti/vi inoltro questo testo (tagliato in 2 parti) intrigante xché fa la
critica al PCI e a il manifesto e a certi personaggi che ora non si
nominano
proprio +..ma soprattutto, nella seconda parte sottolinea delle incoerenze
della (centro)sinistra attuale..mentre entra nel merito dei concetti di
democrazia e lo Stato di diritto
ma, ricordarsi, Johnny, come scrisse clochard - che il termine "la
sinistra" non vuol
dire comunista.. xché solo gli appartenenti alla ultima categoria mangiano i
bambini..;). Rutelli non è comunista fa cose molto peggiori...
ciao
t
"La democrazia come valore universale"
di Domenico Losurdo
1. Il movimento comunista e lo Stato di diritto
"La democrazia come valore universale". È la parola d'ordine che ispira la
polemica a suo tempo sviluppata da Enrico Berlinguer contro il Pcus di
Breznev. Su un punto centrale il segretario del Pci aveva pienamente
ragione: bisognava farla finita una volta per sempre con l'infausta
tradizione che liquidava come irrilevanti, o, peggio, mistificatorie, le
libertà "formali" sancite dalla rivoluzione democratico-borghese. Già
Togliatti, collocandosi sulla scia di Gramsci, aveva cominciato a mettere in
discussione tale tradizione, leggendo la Resistenza, la rivoluzione
antifascista, come lo sviluppo, ad un livello qualitativamente superiore,
del Risorgimento, cioè della rivoluzione che aveva significato in Italia la
fine dell'antico regime e l'avvento della democrazia parlamentare moderna.
"Democrazia progressiva" e "via italiana al socialismo" erano allora
chiamate a far propria tale eredità, coniugando assieme, nell'auspicata
società post-capitalistica, potere e egemonia operaia e popolare da un lato
e Stato di diritto dall'altro.
Questa elaborazione ha dovuto scontrarsi con l'ostilità in primo luogo di
intellettuali e ambienti successivamente confluiti nella "nuova sinistra".
Nel 1965, Asor Rosa, oggi uno dei maîtres à penser del manifesto, metteva in
stato d'accusa la politica seguita dal Pci durante la Resistenza, "quella
strategia, che porterà più tardi a concepire la via italiana al socialismo
come necessariamente legata all'attuazione della Costituzione e delle
riforme borghesi"; i "comunisti togliattiani e gramsciani" nel loro
complesso venivano sbeffeggiati per il loro "democratismo": erano "gli
ultimi attardati esponenti" del "Risorgimento democratico, garibaldino,
mazziniano, carducciano" (Asor Rosa, 1969, pp. 156-7 e nota). Circa dieci
anni più tardi, era Rossana Rossanda a tuonare contro Togliatti, cui
rimproverava il "carattere formale del discorso della democrazia
progressiva" e il persistente attaccamento al "garantismo politico
costituzionale", la grettezza che lo rinchiudeva nell'"orizzonte classico
dello Stato di diritto" (Rossanda, 1976, pp. 271-2).
Nella sua requistoria, Asor Rosa procedeva ancora oltre. Nel 1946, un
prestigioso intellettuale e dirigente del Pci, L. Lombardo Radice, aveva
scritto: "Il mondo si evolve, ma le verità del mondo che tramonta sono
raccolte dal nuovo mondo". Qualcosa il movimento operaio doveva sapere
ereditare del mondo politico-costituzionale che pure metteva radicalmente in
discussione. Non così per Asor Rosa, il quale, disgustato, richiamava l'
attenzione sull'"eco addirittura testuale di affermazioni staliniste". Ai
suoi occhi, era il Pci nel suo complesso che, nel "concepire la via italiana
al socialismo come necessariamente legata all'attuazione della Costituzione
e delle riforme borghesi", dava prova al tempo stesso di "democratismo" e di
"stalinismo". Si direbbe che qui "democratismo" e "stalinismo" facciano tutt
'uno. L'allusione era ad un passaggio importante dell'intervento di Stalin
al XIX Congresso del Pcus: "La bandiera delle libertà democratico-borghesi
la borghesia l'ha buttata a mare; io penso che tocca a voi, rappresentanti
dei partiti comunisti e democratici, di risollevarla e portarla avanti, se
volete raggruppare attorno a voi la maggioranza del popolo. Non vi è nessun
altro che la possa levare in alto" (Stalin, 1953, p. 153).
Era il momento in cui in Occidente infuriava la persecuzione anticomunista e
negli USA celebrava i suoi trionfi il maccartismo, con la caccia alle
streghe scatenata anche contro gli ambienti liberal e progressisti. La
rilettura oggi di questo passaggio, probabilmente ispirato da Togliatti, del
discorso di Stalin può suscitare solo un sospiro: ah se entrambi si fossero
attenuti coerentemente all'orientamento che in modo così aspro viene loro
rimproverato da Asor Rosa! Considerazioni analoghe si potrebbero fare a
proposito dell'ironia della Rossanda sullo Stato di diritto. Essa cadeva
pressappoco nello stesso periodo di tempo in cui cominciava a delinearsi in
Cina una svolta radicale. Rompendo con la Rivoluzione Culturale, e con la
guerra di tutti contro tutti e col crollo di ogni regola che essa aveva
significato, Deng Xiaoping sottolineava nel 1979 che l'estensione e il
miglioramento del "sistema legale" costituivano la precondizione per un
reale sviluppo della "democrazia" (Deng, 1994-5, vol. II, p. 196). Era
necessario introdurre il "governo della legge" nel Partito e "nella società
nel suo complesso", cominciando intanto a "separare le funzioni del Partito
e quelle del governo". Certo, mancava in Cina una solida tradizione legale,
ma i comunisti dovevano per l'appunto "aiutare il popolo a comprendere il
governo della legge" (Deng Xiaoping, 1994, vol. III, pp. 166-7)
Naturalmente, si può dire che Stalin e Deng Xiaoping non si sono per nulla
sforzati di tradurre nella pratica le loro enunciazioni, che erano ipocriti;
ma negare la buona fede degli altri dando per scontata la propria è l'
espressione concentrata del dogmatismo sul piano scientifico e del
farisaismo sul piano morale. E, comunque, anche nell'ipotesi dell'ipocrisia,
resterebbe fermo il fatto che, almeno per quanto riguarda la teoria, essi si
sono rivelati ben più lucidi e lungimiranti dei loro severi critici e
giudici.
E ben più lucida e lungimirante si è rivelata la tradizione di pensiero che
prende le mosse da Gramsci e Togliatti. È sulla sua scia che bisogna
collocare anche la rivendicazione del valore universale della democrazia? Si
può rispondere affermativamente a questa domanda. Epperò, del tutto estranea
a quella tradizione è la successiva affermazione di Berlinguer, secondo cui
la Nato avrebbe potuto essere un utile strumento di difesa dell'Italia
democratica e socialista da lui auspicata: eppure era ancora fresco il
ricordo del ruolo giocato dall'Alleanza atlantica e dagli Usa nella
strategia della tensione e nelle stragi e nei tentativi di colpi di Stato
che l'avevano contrassegnata! E cioè, nella proclamazione della tesi dell'
universalità del valore della democrazia non bisogna perdere di vista l'
aspetto del cedimento, e forse dell'inizio della capitolazione, all'
incalzante offensiva dell'imperialismo, in una situazione di crescente crisi
del "campo socialista" e del movimento comunista internazionale.
Sintomatica è la vicenda di cui, dopo lo scioglimento di quel partito, sono
protagonisti gli ex-comunisti. Avevano motivato il loro passaggio di campo
in nome dell'universalità del valore della democrazia, dell'assoluta
inviolabilità del governo della legge e delle regole del gioco, celebrando
la riscoperta delle "forme" ingiustamente vilipese e calpestate dal
movimento comunista. Ma, in occasione della guerra contro la Jugoslavia, si
sono visti costretti ad un doppio salto mortale: le norme del diritto
internazionale, lo statuto dell'Onu, il governo della legge non avevano
alcun valore dinanzi alla giustizia "sostanziale" della crociata umanitaria
bandita da Washington!
Disgraziatamente, anche coloro che criticavano Berlinguer da sinistra non
hanno dato prova di grande coerenza: hanno condannato la guerra della Nato,
ma hanno poi sostanzialmente avallato la prosecuzione della guerra con altri