Alcuni di voi lo sapranno già, altri no. Il 5 agosto a Mas'ha località 
vicina a Tulkarem, Qalqijlia, sono stati arresta alle sei di mattina 36 
internazionali dello SCI e dell'ISM, tra i quali 9 italiani, alcuni 
palestinesi ed israeliani, oltre ad europei, asiatici e americani. 
Manifestavano pacificamente contro il muro dell'apparthaid che Israele sta 
costruendo nei territyori occupati. Lo IOF (Israelian ocupated force) e la 
polizia israeliana hanno trascinato di peso i ragazzi che si tenevano a 
braccetto cantando seduti in cerchio. Li hanno detenuti per un giorno nella 
prigione illegale di Ariel, nei pressi di Nablus. pi li hanno rilasciati 
facendogli firmare un foglio dove dichiaravano che non sarebbero mai più 
entrarti nei territori occupati pena l'arresto immediato e la deportazione. 
Una di questi attvisisti è Lorenza, italiana. L'unica che ha subito 
l'arresto. Molte cose sono state dette. e queste sono le sue, la sua 
versione.
Elisabetta Filippi (Servizio Civile Internazionale).
Palestina
 
Lettera di Lorenza Erlicher dopo l'arresto in Palestina
[12 agosto 2003]
Credo che tocchi a me ora dire qualcosa della vicenda che mi ha coinvolta, 
larresto in Palestina (ci tengo a sottolinearlo) e lespulsione da Israele. 
Vorrei farlo per me, perché mi sono trovata addosso  un modo di pensare e, 
per quel che riesco, vivere il pacifismo  che non sento appartenermi, come 
tanto meno sento appartenermi la modalità del discriminare fra buoni e 
cattivi che Paola Rosà, senza conoscermi e senza aver mai parlato con me, mi 
attribuisce.  E  per provare a ragionare in modo meno approssimato sulle 
ragioni che mi fanno stare in questo momento dalla parte dei palestinesi, 
fuori dalla semplificazione della domanda Ma la colpa è proprio tutta di 
Israele?  e dello schematismo buoni e cattivi. Non è questo il piano su cui 
voglio stare.
Ma per tornare a quanto mi riguarda, e riguarda probabilmente Sara, Erica e 
i molti altri italiani e non che partecipano a questo tipo di azioni, non 
siamo ne professionisti della pace ne ansiosi cercatori di protagonismo 
(in questo caso poi vi assicuro del tutto involontario) che si sentenziano 
dogmaticamente su torti e sulle ragioni. Avevo una speranza per questa  mia 
prima esperienza di interposizione in Palestina che ho affrontato con molte 
incertezze, anche per il limite della lingua condiviso con molti altri 
italiani, ma anche con molta convinzione. Concludere i miei 15 giorni in 
quei luoghi già conosciuti in altre occasioni sperimentandomi, a dispetto 
dei miei limiti, possibilmente per ritornarci un'altra volta, con più 
conoscenza, più preparata, più efficace,  e magari parlando un po più di 
inglese. Non è andata così ma lo rifarei.  E una questione di convinzione, 
di accettare di mettersi in gioco senza aspettare di avere tutte le 
competenze e la carte in regola (quando mai lo si farebbe.. ) e credo che 
una presenza di questo tipo serva, per la pace in Medioriente, non fosse 
altro perché molta altra presenza non cè.
 Non rifarei, spero, di tirare calci verso i militari che mi portavano via: 
per prima ho vissuto come un fallimento dei miei propositi di resistenza 
passiva la rabbia incontrollata di quei momenti. Ma non reputo ne violenza 
ne aggressione la mia ribellione poco più che simbolica contro larroganza e 
la prepotenza che ho visto nei due giorni vissuti a Masha, contro una 
deportazione che aveva lunica ragione della forza, non della legalità o 
dellordine pubblico. Questo vorrei che non si dimenticasse: il luogo da cui 
ci portavano via era un cortile dichiarato mezzora prima zona militare 
chiusa per sgomberare qualche decina di internazionali (e israeliani e 
palestinesi) rompiballe che volevano, se non impedire, almeno rendere 
pubblica la demolizione dellennesima casa palestinese, per sua sfortuna 
trovatasi sul tracciato del muro di sicurezza . 
Non è una nostra impressione distorta che quella barriera stia dentro la 
Cisgiordania e non sul confine, che la stia ancora smembrando, impoverendo,  
è la  realtà fisica e concreta che abbiamo visto a Masha , a Qalqilya già 
chiusa in  una fortezza soffocante, a Tulkarem dove molti contadini non 
hanno più accesso alle loro terre. Quel muro per me diventa un altro dato di 
riflessione politica, come lo sono gli insediamenti, i posti di blocco, i 
coprifuoco. Mi sembra invece strano che non lo siano per tutti. La domanda 
non è se la colpa è tutta di Israele, ma cosa vuole ottenere Israele, un 
paese riconosciuto, forte, democratico con la politica che sta attuando nei 
Territori Occupati. Paola Rosà sembra accusarci di dimenticare che anche fra 
gli israeliani ci sono dissidenti, fra laltro ben motivati e preparati, e 
il senso di questa accusa non riesco davvero a capirlo: non essere 
altrettanto motivata? E vero, ma se permette prima di decidere di fare la 
reporter dalle carceri israeliane vorrei poterci meditare un po, e ciò non 
toglie che continuerò a mettermi in gioco per quello che mi sento di fare. O 
di voler nascondere questa parte importante di dissenso che cresce fra gli 
ebrei dentro e fuori Israele perché loro devono risultare i cattivi? Non è 
vero ne in questa ne in altre occasioni. Con noi a Masha cerano israeliani 
(piuttosto maltrattati dalla loro polizia fra laltro) quel giorno, altri 
sono andati a protestare il giorno dopo. LISM è stato fondato anche da 
palestinesi e israeliani.
 In Trentino le voci dei dissidenti israeliani le abbiamo sentite più di una 
volta, dal professor Daniel Amit al giovane refusenik ospite 
questinverno. Lo scorso anno in Palestina con una delegazione delle Donne 
in Nero avevamo incontrato Jeff Halper, uno dei fondatori proprio del 
comitato israeliano contro le demolizioni. Lanalisi più lucida e 
documentata sulla politica israeliana di controllo della Palestina lho 
sentita proprio da lui. Le contraddizioni da cui lsraele non sembra in grado 
di uscire, il voler essere stato ebraico, che quindi non vuole inglobare  
gli arabi della cisgiordania, ma allo stesso tempo vuole mantenere il 
controllo di quel territorio importante dal punto di vista storico, 
religioso e strategico, ma allo stesso tempo vuole essere democratico, e ciò 
stona con la repressione che deve attuare sui palestinesi per mantenerne il 
controllo. La strategia del fatto compiuto, gli insediamenti che si 
stringono a cintura intorno a Gerusalemme est (il cui status non è ancora 
definito,) e lo separano dalla Cisgiordania, le colonie che fasciano a 
occidente la green line, comprendendo le zone piu ricche di acqua e a 
oriente la valle del Giordano, i soprusi mirati a stancare i palestinesi 
perché se ne vadano dalla  Cisgiordania
 Jeff è un dissidente israeliano 
informato, preparato e motivato (lui in carcere cè stato) che chiede che si 
giudichi con serietà e severità la politica del suo paese, che la comunità 
internazionale prenda posizione perché in gioco non cè solo la pace con i 
palestinesi e la sicurezza degli israeliani, ma il fondamento etico del suo 
stesso Stato. Era stato il primo ad incoraggiarci a fare un boicottaggio dei 
prodotti israeliani. E fondamentale  che ci siano israeliani che 
protestano, sarà forse grazie a loro che in palestinesi potranno ritrovare 
fiducia in vicini di casa di cui hanno sperimentato sopprattutto, e non 
possiamo permetterci di dimenticarlo, la violenza e la sopraffazione.  
Vorrei che si ascoltasse cosa hanno da dirci questi dissidenti, non farne 
loggetto decorativo della  democratica Israele dove non tutti sono cattivi 
e si può dissentire. Credo di essere daccordo in questo con Paola Rosà, 
loggetto sono le demolizioni, e il perché delle demolizioni, non le 
conseguenze di chi protesta (anche se un po di solidarietà si apprezza 
sempre in questi casi).
Un appunto sulla democrazia di Israele, perché è la,domanda è frequente: 
ritengo che Israele sia uno stato democratico? sarebbe finita così in un 
altro paese non democratico? .La mia ambasciata ha contrattato per farmi 
partire con un paese democratico, i miei amici hanno protestato per il mio 
trattamento (non poter parlare con gli avvocati) con un paese democratico,ho 
vissuto un giorno e mezzo in un centro di detenzione per immigrate che non 
era il massimo di umanità, ma probabilmente non diverso da quelli della 
democratica Italia. Il problema della democrazia in Israele lo lascio 
meditare agli israeliani, almeno fintanto che non siano loro a farlo pesare. 
Ma non posso non chiedermi che esperienza  abbiano i Palestinesi di questa 
democrazia. A chi poteva rivolgersi lanziano contadino a cui le ruspe della 
democratica Israele venivano a demolire la casa? AllAutorità Palestinese? 
Non solo non è democratica, ma non è in grado di garantirgli nessun diritto 
e nessuna sicurezza. A chi si possono appellare i palestinesi contro le 
demolizioni arbitrarie, i blocchi stradali, i posti di blocco, i coprifuoco, 
le incursioni mirate che qualche volta sbagliano mira? Non al proprio stato 
che non cè, non all Onu, non agli stati Uniti che fanno i mediatori e 
sgridano Sharon quando esagera ma finanziano la politica di occupazione, 
non alla comunità internazionale che apprezza gli atti di buona volontà 
del governo israeliano e quindi pazienza se qualche casa ancora viene 
buttata giù e qualche campo viene espropriato, in attesa della pace.   
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