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Auteur: luca ruberti
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Sujet: [Lecce-sf] (no subject)
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From: "Gaetano Bucci"

> Scusate , l'articolo che volevo segnalare non è quello erroneamente
> inviato, ma l'articolo posto nell'ultima pagina del manifesto di oggi, dal
> titolo :"Sospendono la Costituzione " (di A:Burgio). Avevo provveduto a
> rispedirlo ma è stato trattenuto a causa del peso eccessivo . Ne consiglio
> vivamente la lettura perchè tratta di un profilo importante ,ossia quello
> relativo alle nuove modalità di attacco alla Costituzione poste in essere
> dagli attuali "governanti".saluti. ninì.


hai provato con un copia/incolla?
luca
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Se sospendono la Costituzione

Le recenti leggi approvate dal Parlamento a favore del presidente del
consiglio generano l'impressione di trovarsi di fronte a una serie di
«violazioni legali» della Carta
ALBERTO BURGIO

Mentre infuriano le polemiche sulle irriverenti motivazioni della condanna
di Cesarone Previti & Co. nel primo grado del processo Imi-Sir/Lodo
Mondadori, l'Italia arrostita dall'anticiclone africano celebra un esaltante
anniversario. Un anno fa, di questi tempi, veniva approvata in Senato -
guida imparziale il presidente Pera - la Cirami, madre di tutte le
leggi-vergogna, atto notorio con cui l'attuale sedicente classe dirigente
del paese formalizzava la propria determinazione a difendersi dalla galera
ad ogni costo, «fino in fondo, fino in fondo, fino in fondo». Previti, in
verità, ha sperimentato sulla sua pelle l'inadeguatezza dell'antidoto, ma sa
che può dormire sonni tranquilli. A meno di imprevedibili sorprese, arriverà
l'immunità parlamentare o la prescrizione o qualche altra porcheria ad
personam. Intanto, nemmeno l'ultimo anno è passato invano. Alla collezione,
già ricca di perle (il falso in bilancio, le rogatorie, lo scudo fiscale per
i capitali all'estero, la riforma del Csm), si è aggiunto un autentico
capolavoro, il «lodo» ammazza-processi. E già si annunciano nuovi traguardi:
l'immunità, appunto, la Pittelli sull'avviso di garanzia, la
depenalizzazione della bancarotta fraudolenta, la controriforma
dell'ordinamento giudiziario. Non intendiamo parlare di queste leggi né
della massa di ragioni che autorizzano gravi dubbi sulla loro
costituzionalità, sulla loro compatibilità con la separazione dei poteri, i
principi di eguaglianza, ragionevole durata dei processi e obbligatorietà
dell'azione penale, e con le stesse regole di revisione della Carta
costituzionale. Rientra ormai nel senso comune democratico del paese la
consapevolezza che, quando il governo in carica legifera in materia di
giustizia (ma lo stesso vale per le televisioni e per l'intera partita del
conflitto di interessi), non solo la Costituzione subisce colpi di maglio
che ne mettono seriamente a rischio la tenuta, ma la natura stessa della
legge - in principio norma astratta e generale - viene stravolta in nome
degli interessi particolari del presidente del consiglio e dei suoi più
stretti «amici». Semmai, un grosso problema si pone proprio qui: che cosa
significa per un paese convivere con questa consapevolezza? Quali
contraccolpi ne derivano e ne deriveranno, nel lungo periodo, sul piano
della sua etica diffusa, del senso condiviso della legalità e del pubblico,
dello spirito civile, tutte doti che già di per sé non figurano tra le
nostre più radicate virtù patrie.

Incostituzionalità?

Ma su tutto ciò in un'altra occasione. Oggi vorremmo soffermarci su di
un'altra questione, connessa con questi argomenti ma dotata di una sua
specificità. Si diceva poc'anzi che appare del tutto plausibile considerare
incostituzionali o anticostituzionali molte leggi varate da questo governo.
Con ciò ovviamente non si vuol dire che sono venute formalmente meno le
istanze di controllo - presidente della Repubblica, Cassazione, Corte
Costituzionale - cui il nostro ordinamento affida la salvaguardia della
legalità costituzionale. Non si è verificato alcun colpo di Stato, non sono
stati commessi illeciti nella composizione di questi organi, non si ha
notizia di irregolarità nel loro funzionamento. A rigore, quindi,
l'insistente diceria sulla incostituzionalità di molti provvedimenti assunti
da questo governo (e, come si dirà, anche da quelli che lo hanno
immediatamente preceduto) non ha ragion d'essere, di incostituzionalità
potendosi parlare nel nostro sistema soltanto in presenza di un giudizio
espresso in tal senso da un organo costituzionale deputato al vaglio di
legittimità.

Senonché, il punto è proprio questo. Sul piano delle forme, le cose stanno
sicuramente così. Ma sarebbe ipocrita - forse irresponsabile - far finta che
non si diffonda via via nel paese una salda e motivata coscienza del
contrario. Fingere cioè che non venga consolidandosi la ragionata percezione
di una situazione di fatto caratterizzata dalla vigenza di norme
incostituzionali (ovviamente non dichiarate tali) e dunque dalla sostanziale
(benché tacita) sospensione di parti del dettato costituzionale. In realtà,
si ha la fondata impressione che, al di là del piano formale, sia
profondamente cambiata - per ragioni e con conseguenze cui si cercherà qui
di accennare - la fenomenologia della incostituzionalità. Come se si fosse
scelto di ripiegare su «violazioni legali» della Costituzione per realizzare
quella Grande Riforma che non si è riusciti a compiere nel rispetto delle
regole durante la lunga transizione (ancora in atto) dalla «prima» alla
«seconda» Repubblica.

Norme incostituzionali, dunque, non mere illegalità di fatto. Di queste
naturalmente potremmo fare un lungo elenco (a cominciare dall'elezione in
Parlamento di un titolare di concessioni pubbliche, per di più già iscritto
ad una criminale associazione segreta coinvolta in alcuni tra i peggiori
misfatti della storia repubblicana), ma si aprirebbe con ciò un altro
discorso, relativo alla flessibilizzazione di fatto della Costituzione, il
cui dettato è sovente obliterato da contingenti accordi tra le forze
politiche. Di per sé preoccupanti, tali violazioni «di fatto» sono
ulteriormente aggravate quando mettono a capo a norme di legge, che
forniscono loro una paradossale sanzione di legalità. Per uscire dal vago,
cominciamo con alcuni disparati esempi.

Si accennava poc'anzi ad alcune leggi sulla giustizia varate da questo
governo e ai principi costituzionali che esse violano. A tale riguardo vale
la pena di ricordare ancora la mozione approvata dal Senato il 5 dicembre
del 2001, con la quale un ramo del Parlamento ha inteso prescrivere a un
tribunale della Repubblica una determinata interpretazione della norma, allo
scopo di predefinire l'esito di un dibattimento. Forse avevano in mente
questo illustre precedente i consulenti del ministro della Giustizia quando
hanno escogitato di affidare alle Camere una expertise sul "lodo" Schifani.
Ma non c'è solo la giustizia, né tutta questa storia comincia con la nascita
del secondo governo Berlusconi. Da otto anni l'Italia partecipa ad
operazioni belliche (ancora oggi migliaia di militari italiani sono
impegnati in Afghanistan e in Iraq), in palese e reiterata violazione
dell'art. 11 della Costituzione. Bene ha fatto Pietro Ingrao a porre con
insistenza la domanda chiave: qualcuno ha forse abrogato questo articolo?
Nessuno gli ha risposto, evidentemente perché non c'è risposta possibile.
Questo governo e quello che l'ha preceduto hanno varato diverse leggi di
«riforma» della scuola dell'obbligo che hanno legittimato il finanziamento
pubblico a istituti privati: qualcuno ha forse abrogato l'articolo 33 della
Costituzione? Questo governo e quello che l'ha preceduto hanno varato leggi
sull'immigrazione che legittimano la detenzione in assenza di reati penali e
che sanciscono trattamenti discriminatori su base «razziale»: qualcuno ha
abrogato l'articolo 3 della Costituzione? Qualcuno ha provveduto a
introdurre nel nostro ordinamento la figura della detenzione amministrativa?

Crisi di legittimità

Si potrebbe proseguire a lungo. Richiamare recenti provvedimenti in materia
fiscale che confliggono col principio della progressività dell'imposizione.
Ricordare la sostanziale abolizione del diritto d'asilo consacrato
dall'articolo 10 della Costituzione, e il sistema di leggi che consentono
l'alienazione del patrimonio ambientale e storico-artistico che la
Costituzione considera intangibile bene collettivo. Evocare l'esempio
paradigmatico della Gasparri che, ove approvata, cristallizzerebbe una
situazione di fatto già dichiarata dalla Consulta e dall'Autorità anti-trust
non conforme al dettato costituzionale e alle norme europee. La sostanza non
cambierebbe. E la sostanza sembra essere che viviamo in una situazione di
endemica crisi di legittimità, il cui connotato saliente è costituito dalla
durevole compresenza, nel nostro ordinamento, di norme incompatibili tra
loro e con la Carta fondamentale. Viviamo in uno stato di crisi somigliante
alla malattia di un sistema immunitario (per cui un organismo non è più in
condizione di espellere corpi estranei o parti di sé incompatibili con il
proprio ricambio fisiologico e con la sua stessa identità), al collasso di
un quadro discorsivo (conseguente alla sistematica violazione del principio
di non-contraddizione) o alla dissoluzione di un codice linguistico (dovuta
all'impossibilità di riferirsi a un qualsiasi sistema di corrispondenze tra
significanti e significati).

Ci sono due modi di reagire a questa situazione. Il primo, corrente,
consiste nel porre in risalto i contraccolpi materiali di questa crisi, gli
effetti perversi dei singoli provvedimenti sul loro terreno d'influenza (la
scuola, il processo, le politiche sociali, ecc.), e nell'attivare di volta
in volta contromisure efficaci nei diversi ambiti. Ma ce n'è un secondo -
che forse meriterebbe di essere finalmente praticato - che implica
domandarsi quali conseguenze di ordine generale una situazione del genere
produca sulla natura stessa delle norme e dell'ordinamento giuridico. Si
diceva poc'anzi che è in corso un mutamento nella «fenomenologia della
incostituzionalità». Ma la fenomenologia riflette un terreno sottostante,
che attiene all'essenza della legge. Essa muta in profondità, una volta
indebolito - o abolito - il vincolo della legittimità costituzionale. Muta
in un senso ben preciso, che sarebbe riduttivo interpretare come una
semplice caduta della razionalità e della coerenza complessiva
dell'ordinamento. C'è di più. C'è in gioco - questa è l'impressione - una
mutazione dell'ordinamento giuridico (e del sistema politico) che obbedisce
all'istanza di de-oggettivare il processo di formazione delle norme e di
legittimare, per converso, la decisione del soggetto (in carne ed ossa)
dotato di potere.

Crisi delle democrazia

A questo punto il discorso dovrebbe ampliarsi ben al di là dei confini
nazionali, essendo in questione con ogni probabilità i caratteri della crisi
politico-storica oggi attraversata da tutte le democrazie occidentali. Basti
qui, per concludere, osservare come questa tendenza alla soggettivazione (e
personalizzazione) del potere costituisca - insieme al prepotente ritorno
della guerra come forma corrente della relazione internazionale - uno dei
tratti più nitidi di analogia tra la situazione odierna e la transizione
verso «democrazie plebiscitarie» che si compì in gran parte dell'Occidente
capitalistico tra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso. La
soggettivazione della decisione politica libera l'arbitrio del capo politico
dai vincoli delle procedure e della partecipazione. Autorizza la
discrezionalità, conferisce legittimità al complesso delle forze prevalenti
per il solo fatto che sono dotate della capacità di prevalere. Da questo
punto di vista sarebbe consigliabile prestare maggiore attenzione al ritorno
(non solo in Italia) del tema carismatico e ai molteplici sintomi di
regressione al patrimonialismo (con tanto di teorizzata confusione tra
interessi pubblici e interessi privati dei potenti).

Con tutto ciò, è chiaro che non siamo tornati indietro di settant'anni. Ci
troviamo, tutt'al più, all'inizio di un processo. Il timore è tuttavia che,
una volta messo in moto, un processo del genere tenda ad autoalimentarsi,
acquisendo via via una crescente massa d'urto. Davvero non sarebbe piacevole
svegliarsi un giorno di questi e scoprire ad un tratto di trovarsi in una
situazione del tutto diversa da quella descritta nella Costituzione
repubblicana. Senza nemmeno essersi accorti del cambiamento in atto.