[Lecce-sf] Il primo No border camp in Italia: un commento

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Szerző: luisa rizzo
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Tárgy: [Lecce-sf] Il primo No border camp in Italia: un commento
Viaggio nei campeggi militanti.
Salento, il No border camp di Frassanito Giochi (seri) senza frontiere
Esperienza globale

Il primo No border camp in Italia coniuga la forza del movimento italiano
con le ricche ma «piccole» esperienze di mobilitazione antirazzista europee
e persino australiane. E le coordina

CINZIA GUBBINI
INVIATA A FRASSANITO (Lecce)
su: http://www.ilmanifesto.it/

Non era scontato che un No border camp attraccasse in un porto italiano,
visto che il movimento di casa nostra ha iniziato da poco a relazionarsi con
questa esperienza nata nel '99 oltralpe. Tuttavia, quando si parla di
frontiere e di migranti, l'Italia è un laboratorio ineludibile e d'altro
canto la metodologia di azione dei «no border» è ormai un passaggio
irrinunciabile nelle pratiche nazionali contro le politiche
sull'immigrazione. Se si aggiunge che il collegamento europeo tra movimenti
antiliberisti non è più solo un auspicio ma una realtà, si spiega perché il
campeggio in corso dal 21 luglio nei pressi di Lecce è stato realizzato e
perché ha riscosso grande successo. Ieri gli iscritti hanno raggiunto quota
400; oggi se ne aspettano altri 100. Il campeggio di Frassanito, tra Lecce e
Otranto, per essere un nodo della catena dei No border camp è un po'
anomalo: è organizzato in un campeggio «vero», con annessa musica
discotecara la sera. L'«area antirazzista», come indica un cartello scritto
a mano, si trova a convivere con intere famiglie in vacanza nel Salento.
Situazione che all'inizio ha colto alla sprovvista gli stranieri, abituati a
campeggi no border messi in piedi sulle linee di frontiera e completamente
autogestiti.

Il fatto è che l'organizzazione del campo italiano ha visto impegnato
inizialmente solo un gruppo molto motivato del Tavolo migranti nazionale,
che aveva lanciato l'idea durante gli incontri di Genova 2002. Intuizione
vincente, perché da quando il No border camp ha cominciato a prendere forma
su di esso si è concentrata l'attenzione crescente da parte del movimento
italiano, con temi centrali come il lavoro, il controllo sulle persone, il
rapporto tra potenze occidentali e paesi del sud e dell'est, schiacciati nel
ruolo di gendarmi delle frontiere europee e nordamericane. Il No border camp
salentino, quindi, si sta rivelando un utile spazio di discussione sugli
obiettivi del movimento globale.

Ma non solo. Per gli italiani, infatti, il confronto con le reti europee -
qui ci sono persone che vengono da Francia, Germania, Spagna, Grecia, ma
anche Polonia e persino Australia - è indispensabile per provare ad uscire
dalle strettoie delle vertenze squisitamente sindacali oppure dalle «torri
d'avorio» delle analisi solo teoriche. Ne è convinto Alfonso Di Vito, della
rete no global campana, organizzatore del campeggio: «Era indispensabile
portare anche in Italia le esperienze dei No border camp, che si nutrono di
un forte immaginario legato ad azioni realizzate durante i campeggi.
Oltretutto i principali animatori della rete noborder, come i tedeschi di
Kein Mensch ist illegal (nessun uomo è illegale) hanno sviluppato la
capacità di realizzare campagne specifiche, come ad esempio il blocco degli
aerei che deportano i migranti; o come i gruppi australiani, che nel 2002
hanno partecipato a un'evasione dal campo di detenzione di Womeera, uno dei
peggiori al mondo».

Il campeggio, quindi, si caratterizza come «scambio di esperienze».
Circolano quelle del No border network - una rete di associazioni eterogenee
che tenta di concentrare sforzi comuni su alcune campagne, come i campeggi
alla frontiere: fondamentali, e assenti in Italia, le campagne che
contestano l'Organizzazione mondiale delle migrazioni (Iom) e quella che
lega libertà di circolazione e di informazione. Ma anche scambi sulle reti
informatiche open source, o sperimentazione di laboratori mediatici come il
Medialab partito ieri, che assicura collegamenti dal campo e vede impegnati
Indymedia, Radio Paz, Radio global, Primavera radio, il collettivo a-radio
di Napoli (www.cicala.insiberia.net:8200/padova).

Ma se gli italiani hanno molto da imparare dalle esperienze europee e non
solo, lo stesso vale per i network internazionali, come spiega Hagen Kopp di
Kein Mensch ist illegal: «L'Italia è il paese con il movimento più forte,
qui è possibile mobilitare migliaia di persone. Inoltre è sempre stato
importante legare la lotta dei migranti al movimento globale, penso al
corteo sui diritti dei migranti che aprì le contestazioni al Wto a Genova
nel 2001». Hagen è uno dei principali referenti nell'organizzazione europea
dei No border camp, e da qualche tempo è iniziata una relazione molto
stretta con i paesi dell'est Europa: non a caso gli ultimi campeggi si sono
svolti al confine tra Polonia e Ucraina, e tra Romania e Ungheria.

Al campeggio salentino partecipa anche una ragazza polacca della rete no
border, Laura Akai, che nelle discussioni di gruppo porta la preoccupazione
del suo paese per «l'innalzarsi del controllo esasperato alle frontiere, a
cui la Polonia deve adeguarsi per assicurarsi l'entrata nell'Unione europea.
Durante il campeggio alla frontiera con l'Ucraina, abbiamo potuto vedere
tecnologie avanzate in mano alla polizia, che portavano in bella vista la
targa `finanziato dalla Ue'». Con lei e con Andrew, che viene da Melbourne,
si discute parecchio della proposta inglese di spostare i campi di
detenzione fuori dall'Unione europea. Cosa che investirebbe anche la
Polonia, e che già accade in Australia, dove i migranti vengono ormai
traferiti in campi costruiti su sperdute isole del Pacifico.

Si parla, si discute, si fanno azioni sul territorio, soprattutto di
comunicazione con la popolazione, per esempio megafonando lungo la spiaggia.
Ma si parla anche di come rafforzare il tema delle migrazioni nell'agenda
europea: «Intanto abbiamo deciso di fare una grande assemblea sulle
migrazioni al Forum sociale europeo di Parigi - spiega Sandro Mezzadra del
Tavolo migranti - e questo incontro rappresenta un salto di qualità concreto
per provare ad allargare il campo della discussione, non solo sui centri di
detenzione, ma anche sul tema delle frontiere e della libertà di
circolazione