[Cerchio] Re: [Cerchio] Il consumo equo può fare a meno del …

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Author: fatacarabina
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Subject: [Cerchio] Re: [Cerchio] Il consumo equo può fare a meno del lavoro equo
la fonte?


fata
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To: <libertari@???>; <libertari@???>;
<cerchio@???>
Sent: Friday, July 11, 2003 11:10 AM
Subject: [Cerchio] Il consumo equo può fare a meno del lavoro equo


"Il consumo equo può fare a meno del lavoro equo"

Intervista al presidente di Ctm Altromercato

Sono 122 i soci del Consorzio Ctm altromercato, 116 dei quali Botteghe del
Mondo. Hanno chiuso il bilancio con circa 20 milioni di euro di fatturato,
una crescita di oltre il 60% sull'anno precedente. Circa il 15% del
fatturato è realizzato attraverso la Grande Distribuzione Organizzata, più
un altro 15% dovuto alla vendita di banane (prodotto vendibile quasi solo
nella GDO). Sono 8-9 mila tonnellate di banane l'anno, l'1,3% del mercato
italiano. Vendere banane, spiega Giorgio Dal Fiume, presidente di Ctm
altromercato, è una scelta politica: «Sono il simbolo dell'ipocrisia
neoliberista, degli effetti perversi della globalizzazione, di sfruttamento
violento di persone e natura».

Dovevate proprio scegliere Esselunga come partner commerciale?

La domanda evidenzia lo scarto profondo tra percezione e realtà: non siamo
noi che abbiamo scelto Esselunga, casomai il contrario. Da 5 anni Ctm
altromercato è l'unica realtà del commercio equo italiano che vende
prodotti extra Botteghe del Mondo con criteri fissi e vincolanti. A tutti i
soggetti economici con cui entriamo in contatto diciamo: se vuoi i nostri
prodotti ti devi «compromettere»: prezzo fisso (non inferiore a quello
delle Botteghe); vincolo all'informazione sul commercio equo; percentuale
che va alle botteghe locali, che hanno diritto a promuovere il commercio
equo con un loro rappresentante nel supermercato; divieto ad utilizzare il
termine «commercio equo e solidale» in modo autonomo e obbligo a
confrontare con noi ogni pubblicità. Qualcuno accetta, altri no e vanno da
Transfair o da altri, che non impongono questi vincoli. Esselunga è il
nostro partner più grosso, ha sempre rispettato questi criteri.

Non c'è imbarazzo nel vedersi associati a uno dei marchi più spietati circa
la violazione dei diritti dei lavoratori?

Mi sembra una visione angusta della faccenda. Noi abbiamo questa esperienza
diretta: in Ecuador, il 16 maggio di quest'anno, 400 uomini armati hanno
assaltato i lavoratori delle piantagioni Noboa, la quarta multinazionale al
mondo per le banane, in sciopero da febbraio; ci sono stati feriti gravi.
Noi importiamo la maggioranza delle nostre banane dall'Ecuador, e i
lavoratori della Noboa conoscono la differenza tra lavorare per il Fair
Trade e no. Non accettiamo provocazioni per ciò che riguarda i diritti dei
lavoratori, in quanto sono chiare le nostre priorità, i nostri obiettivi,
la nostra azione politica. E non abbiamo paura di affrontare in modo
trasparente eventuali contraddizioni: lo riteniamo assolutamente coerente
alla nostra missione di «agenti di cambiamento sociale», e non di soli
testimoni. Un commercio equo purissimo ma sterile, non ci interessa. Per
contaminare, per modificare «gli altri», bisogna anche esporsi. Il nostro
antidoto è la trasparenza, e la certezza che di fronte a casi clamorosi o
in evidente contraddizione con i criteri del commercio equo, anche in
Italia, passeremmo dall'imbarazzo all'azione.

Però il dibattito tra gli associati è piuttosto vivace...

Chi frequenta il commercio equo non lo fa certo per stare zitto. C'è
discussione, e il rapporto con la grande distribuzione è uno dei temi
caldi. Per questo ricordo che la decisione di vendere extra botteghe ed i
criteri con cui lo facciamo sono frutto della nostra discussione interna e
democratica. Siamo orgogliosi di continuare a fare da avanguardia: sono
sicuro che la discussione produrrà ulteriori criteri per meglio
relazionarci al grande interesse che il «mercato tradizionale» sta
dimostrando.

Quali vantaggi concreti avete tratto da questo accordo?

Ne cito quattro: 1) sostegno forte ai nostri partner del sud del mondo; 2)
sostituzione di prodotti di multinazionali con prodotti equi e solidali; 3)
ricavo di risorse economiche che investiamo al servizio delle Botteghe del
Mondo e di iniziative politiche; 4) contatto verso un pubblico che non
conosce né noi né le Botteghe. Il fatturato e la visibilità delle Botteghe
non è mai cresciuto come in questi ultimi anni, nei quali sono appunto
aumentati i prodotti Fair Trade nella grande distribuzione.

Non correte il rischio di restare stritolati dal colosso?

Abbiamo detto che i rischi ci sono, che nel commercio può accadere tutto,
che la nostra indipendenza politica non deve essere messa in discussione.
Conosciamo le cifre, e riteniamo di essere al di sotto della soglia di
dipendenza, quindi di non correre rischi di stritolamento. Anche perché
sono tante le catene che riforniamo. Se qualcuno non rispetta i nostri
criteri, saremo noi ad uscire.

E i lavoratori di Esselunga? Quali margini pensi ci siano per poter
contribuire a tutelare anche loro?

Noi osserviamo Esselunga dall'esterno, e come per tutti i nostri partner
non possiamo esprimere valutazioni dirette. Ma abbiamo anche l'obbligo di
verificare la coerenza rispetto ai principi del commercio equo, ed alla
nostra cultura sociale. Qualcuno si scandalizza, e non si rende conto che è
proprio in quanto abbiamo allacciato rapporti con la grande distribuzione,
che possiamo porci il problema di fungere da «agenti di cambiamento»: siamo
fiduciosi che ci siano dei margini positivi. Anche per questo ci stiamo
informando, e abbiamo chiesto un incontro con Esselunga: per raccontare le
nostre preoccupazioni di «osservatori», ed esplicitare i criteri e i
vincoli che abbiamo. Vediamo anche l'altro lato della relazione: chi
associa il suo marchio al nostro, deve considerare che in caso di problemi
potrebbe avere anch'esso un impatto negativo.

per cancellarsi dalla lista, andare su
https://www.inventati.org/mailman/listinfo/cerchio