[Lecce-sf] Fw: Legge sul commercio delle armi

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著者: Carlo Mileti
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LETTERA DAL SENATO. 72

Più segreti nel commercio armi:
una sconfitta per l'Italia e per l'Europa
La responsabilità del governo nel peggioramento della legge 185 e nel
boicottaggio dell'Accordo europeo di Farnborough

di Tino Bedin senatore dell'Ulivo


Cari cittadini,
sapevo, dopo la lunga resistenza al Senato in difesa della legge 185/90, che
alla Camera più nulla sarebbe cambiato in meglio sulle nuove regole per il
commercio di armi italiane. Le procedure parlamentari non offrivano del
resto molte... armi. La scorsa settimana i deputati hanno definitivamente
approvato il peggioramento della legge italiana e subito sono stato
coinvolto (da qualcuno di voi direttamente, da altri di riflesso) nella
constatazione e nella contestazione (costernate, amareggiate, indignate) di
quel voto.
Le "segnalazioni" di disagio sono cominciate già prima del voto finale;
anche il voto conclusivo nelle commissioni (favorevole per 16 a 15, con un
solo deputato della Margherita presente) ha suscitato domande e incredulità.
Come ho fatto nel corso di tutti questi mesi, ne parlo con voi che mi avete
coinvolto o che vi siete lasciati coinvolgere nella difesa della legge 185
del 1990.
Una regressione dell'etica pubblica, nazionale e internazionale. Non ve ne
parlo per "dare spiegazioni"; non ne avete bisogno: i resoconti parlamentari
sono eloquenti ed internet è una vetrina a cui nessun parlamentare -
fortunatamente per la democrazia - può sottrarsi. Ne parlo perché né io né
voi consideriamo l'impegno per la trasparenza nel commercio delle armi una
scelta a tempo o secondo le circostanze. Alcune battaglie vanno sempre
fatte. Non serviranno a "vincere", ma servono a mettere a nudo le
responsabilità di chi decide e a dare voce alle persone che dalla politica
chiedono di essere rappresentate.
È la scelta che abbiamo fatta al Senato. Le probabilità di "vincere" erano
assai scarse, ma dovevamo far arrivare la voce della società ben dentro le
istituzioni. Non abbiamo dato mai tregua e infatti la legge è rimasta ferma
per nove mesi e governo e maggioranza sono stati costretti ad approvarsela
nel momento "peggiore" dal punto di vista comunicativo, cioè sotto le bombe
di Bagdad.
Su questioni di etica sociale non ci possono essere stanchezze. Né ci basta
limitare i danni. Anche se qualche miglioramento si è ottenuto con la
battaglia parlamentare, la nuova legge sul commercio di armamenti voluta dal
governo e dalla maggioranza è una regressione proprio dell'etica pubblica,
nazionale ed internazionale. Per questo al Senato tutto il centro-sinistra
ha votato contro.
Le ragioni del voto contrario. Da ora in avanti il Parlamento e quindi l'
opinione pubblica non potrà sapere quale è il valore finale del materiale di
armamento esportato: un "segreto" che rischia di ridurre di molto la
trasparenza sulle transazioni bancarie nella vendita di armi, che pure siamo
riusciti a reintrodurre al Senato. Ecco un punto molto concreto su cui
continuare l'impegno in difesa della legge 185.
È stato eliminato anche il "certificato di uso finale": insomma non sapremo
a chi serviranno le armi prodotte e commercializzate. Fioriranno le
triangolazioni che c'erano prima della legge 185 e che questa contrastava.
In alcuni casi non sarà nemmeno necessario ricorrere alle triangolazioni,
per ampliare il mercato delle armi prodotte in Italia o solo esportate dall'
Italia: questo mercato comprenderà anche gli stati in cui i diritti umani
sono violati. solo un poco, basta che le violazioni non siano "gravi". È
vero che ora sono indicate le istituzioni che devono giudicare le
violazioni; questo è utile perché crea criteri uniformi. L'indicazione non c
'era nella 185, ma proprio per questo il giudizio era affidato al parlamento
attraverso l'esame annuale sull'applicazione della legge. Ora quel giudizio
è affidato ad istituzioni multilaterali (Europa, Nazioni Unite) alle quali
il Parlamento italiano ha ceduto parte della sovranità popolare, di cui
titolare, senza contropartite e soprattutto abbassando la "soglia" della
violazione.
Il trucco del governo sull'Europa. Nel peggioramento della legge 185 l'
Europa non c'entra. Era la scusa trovata dal governo di Destra per abbattere
una delle leggi-simbolo della partecipazione sociale e civile alle scelte di
politica estera italiana. Nell'azione di contrasto del progetto del governo
al Senato mi sono dedicato particolarmente a togliere al governo l'alibi
della ratifica dell'accordo europeo di Farnborough. Quell'accordo non solo
poteva essere ratificato senza modificare la legge 185 del 1990 ma, se ce la
fossimo tenuta, proprio quell'accordo ci avrebbe consentito di far applicare
la nostra bella legge anche alle coproduzioni europee.
Al Senato abbiamo ampiamente smascherato il trucco del governo e, partendo
da qui, abbiamo realizzato l'unità dell'Ulivo nel voto contrario alla legge
della Destra.
Alla Camera una parte dell'Ulivo (Margherita, Sdi) ha invece ritenuto di
dover privilegiare nel voto la ratifica dell'accordo europeo sull'industria
della Difesa, astenendosi o votando a favore, per confermare così ai partner
europei che nel parlamento italiano le forze europeiste sono diffuse.
Resto dell'opinione che una legge vada votata nel suo insieme. Al Senato
abbiamo votato a favore dei primi due articoli sulla ratifica dell'accordo
di Farnborough, abbiamo vinto sulla trasparenza bancaria, ma abbiamo votato
contro la legge: non solo nell'interesse italiano ma anche nell'interesse
europeo.
Il governo boicotta l'accordo europeo. Ho ampiamente dimostrato nel
dibattito in Senato che uno degli scopi della modifica della 185 imposti
dalla Destra è proprio l'indebolimento dell'accordo tra i sei paesi europei
sottoscritto dall'Ulivo nel 2000. Il governo Berlusconi estende
unilateralmente le facilitazioni produttive e commerciali dell'Accordo di
Farnborough anche a paesi terzi (tra questi, al maggior concorrente
industriale e commerciale, cioè agli Stati Uniti) e in questo modo
depotenzia il contenuto sia industriale che strategico dell'accordo stesso.
Un'industria europea della Difesa, strettamente collegata al corpo di pace
europeo e quindi alla politica estera e di sicurezza comune, faticherà
ancora di più a consolidarsi dopo questo autentico sgambetto del governo
Berlusconi all'Europa.
Non si tratta di giudizi politici, ma di fatti. Nella legge c'è scritto
chiaro. E i comportamenti della Destra italiana sono altrettanto chiari.
Sono stati ricordati proprio nel dibattito conclusivo a Montecitorio. Ve li
trascrivo, tanto per non continuare a citare il Senato e a citare me.
Il governo Berlusconi ha cominciato con il "ritiro dal progetto A400M, il
grande aereo da trasporto europeo, che ormai è partito in grande tra Gran
Bretagna e Spagna, Germania e Francia e altri paesi, mentre l'Italia ne è
rimasta fuori". Lo stesso governo è arrivato, proprio il giorno dell'
approvazione della nuova legge sulle armi, "al suggerimento apparso oggi sui
giornali del Presidente del Consiglio a Finmeccanica perché non sia (come
anni fa si poneva) elemento di raccordo fra le altre industrie dell'Europa,
inglesi e francesi, ma costituisca elemento di rottura fra le industrie
europee".
A questo governo, a questo presidente del Consiglio non era proprio il caso
di affidare la gestione di un buon accordo europeo in una materia delicata
come gli armamenti.
Il compatto voto contrario dell'Ulivo al Senato, che ho personalmente
contribuito a realizzare, ha voluto anche segnalare che proprio l'Ulivo,
dopo aver sottoscritto nel 2000 l'Accordo di Farnborough, per primo ne
denuncia ora agli europei lo stravolgimento da parte del governo della
Destra.
Una responsabilità della Destra. La responsabilità del peggioramento della
legge sul commercio delle armi è infatti tutta ed esclusivamente del governo
Berlusconi e della sua maggioranza parlamentare. Questo non va dimenticato
né taciuto. L'iniziativa è stata loro. L'opposizione, nei due passaggi
parlamentari, ha ridotto il danno, anche su aspetti qualificanti; non ha
minimamente contribuito al percorso della legge. Nell'ultimo passaggio alla
Camera gli spazi regolamentari erano praticamente inesistenti. Il risultato
di 16 a 15 del voto conclusivo in commissione è sgradevole politicamente,
non tecnicamente: senza la sua maggioranza presente il presidente di
commissione avrebbe rinviato la votazione.
Sulle scelte e sui comportamenti dei singoli gruppi parlamentari dell'Ulivo
nel loro complesso, i resoconti parlamentari di Senato e Camera danno un'
immagine più vera che non quella che emerge da battute conclusive, nelle
quali forse ha pesato anche la consapevolezza della sconfitta. Anche se
resto però dell'opinione, come ho detto all'inizio, che ci sono battaglie
che si fanno sempre e comunque.
Questa battaglia poi ha avuto ed ha una caratteristica speciale: essa è nata
prima nella società e poi nel parlamento. Anche questo non va dimenticato né
taciuto. Associazioni e persone, chiese e municipi hanno o spronato o
aiutato (a seconda dell'atteggiamento) noi senatori e deputati.
Insieme dobbiamo dunque continuare.

Tino Bedin

Padova, 13 giugno 2003, festa di Sant'Antonio