[Cerchio] Fw: [nihil] Orwell, la rivoluzione delle coscienze

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Szerző: Pkrainer
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Sent: Monday, June 02, 2003 1:22 PM
Subject: [nihil] Orwell, la rivoluzione delle coscienze



da www.ilnuovo.it

Cento anni fa nasceva l'autore de La fattoria degli animali. Il
cantore delle speranze, delle utopie di una generazione. Un profeta
del XXI secolo
di R. Carretta ed E. Tumminello

Come il sogno contiene i semi dell'incubo, così l'utopia, la speranza
in un mondo migliore, racchiude in sé il proprio contrario. Un lato
tanto oscuro quanto intenso è il desiderio di una società giusta,
l'intimo bisogno di assistere ad un compiuto riconoscimento della
dignità umana. George Orwell, al secolo Eric Arthur Blair, nato in
India il 25 maggio 1903, fu uno dei grandi visionari del '900.
L'incubo letterario della società descritta in 1984 può dirsi, per
rovesciamento, la diretta conseguenza delle speranze, degli ideali
condivisi e dell'impegno profuso nella prima parte della sua vita. Un
regno di anti-utopia edificato con i mattoni sottratti alle rovine di
Utopia.

Figlio di un funzionario dei Servizi coloniali britannici contro
l'oppio, dopo aver frequentato il King's College di Eton si arruolò
nella polizia imperiale del Bengala. Nel 1927 tornò in Europa e, per
seguire la propria vocazione di scrittore, visse di lavori saltuari
tra Londra e Parigi. La conoscenza diretta degli effetti negativi
dell'amministrazione coloniale in Oriente e della vita del
sottoproletariato urbano lo segnò profondamente avvicinandolo agli
ideali del socialismo. La sua fu un adesione passionale che lo
spinse, nel 1937, a recarsi a Barcellona per prendere parte alla
guerra civile spagnola. Militò nelle file repubblicane del Partito
Obrero de Unificación Marxista per passare in seguito al contingente
del Partito Laburista Indipendente inglese.

Fin qui la spinta positiva dell'utopia, la reazione alla povertà,
all'indigenza, alle ingiustizie vissute e i primi cimenti letterari,
riflesso di quelle esperienze. Del 1933 è l'esordio letterario con
Senza un soldo a Parigi e Londra seguito, l'anno dopo, da Giorni in
Birmania. La strada di Wigan Pier , del 1937, incentrata
sull'universo minerario, è un vero e proprio manifesto di denuncia
delle ineguaglianze sociali che contribuì apertamente alla propaganda
dei movimenti socialisti inglesi.

La svolta avviene col reportage della sua partecipazione alla guerra
civile spagnola, Omaggio alla Catalogna che, nel 1938, racconta la
spietata e tragica lotta condotta dalla componente comunista
all'interno delle file repubblicane per conquistarne il predominio.
Il regno dell'anti-utopia inizia ad allungare la propria ombra sulle
due visioni del mondo che hanno contraddistinto le spinte ideali di
inizio secolo, il capitalismo ed il marxismo. La fede in un progresso
illimitato e quella in una prossima equa redistribuzione delle
risorse e dei diritti segnano il passo. Positivismo e socialismo,
quali promesse di Utopia, si incrinano al contatto col concretarsi
delle loro realizzazioni storiche. Reificazione e mercificazione
dell'esistenza, strutture burocratico-collettive di potere che
producono oppressione e povertà non sono solo le premesse di
un'ulteriore sottrazione di libertà ma anche di un progressivo
intorpidimento delle coscienze. I semi degli incubi sociali del
Novecento, coltivati all'ombra di quelle serre ideologiche, crescono
parallelamente al sogno di benessere e giustizia che attraversa i
suoi primi decenni.

La conclusione di Omaggio alla Catalogna coglie tra le pieghe del
reale, al ritorno nel Regno Unito, il germe della minaccia che
incombe: "... e poi l'immensa desolazione tranquilla della Londra
suburbana, le chiatte sul fiume limaccioso, le strade familiari, i
cartelloni che annunciano gare di cricket e nozze regali, gli uomini
in cappello duro, i colombi di Trafalgar Square, gli autobus rossi, i
policemen in blu: tutto dormiente nel profondo, profondo sonno
d'Inghilterra, dal quale temo a volte che non ci sveglieremo fino a
quando non ne saremo tratti in sussulto dallo scoppio delle bombe".

Lungimiranza visionaria fortemente ancorata, a differenza di quella
d'un altro grande scrittore anti-utopista suo contemporaneo, Aldous
Huxley, alla storia. Vicinanza al reale e contrasto ironico tra
realtà ed apparenza, sempre nel solco di una comunanza con ciò che è
famigliare, e, nello stesso tempo, straniante, deformato. In questo
Orwell è più vicino ad un autore di fantascienza come James Graham
Ballard e a ai suoi incubi quotidiani che ai narratori del suo tempo.
Un esempio, talvolta origine di malintesi nelle traduzioni, è il
celebre incipit di 1984 : "Era una fresca, limpida giornata di aprile
e gli orologi battevano tredici colpi" divenuto in molte
versioni "... e gli orologi segnavano l'una", ovvero le tredici,
perdendo in tal modo quel subitaneo, straniante tocco di allucinata
irrealtà. Spostando appena l'accento delle cose, cambiandone con
maestria la prospettiva, Orwell giunge a intravedere tra le linee del
presente le sue conseguenze più estreme.

Ironia, tangibili allucinazioni, parodia sono i mezzi con i quali
solleva il velo della retorica e del quotidiano mostrandone le reali
traiettorie di sviluppo, le involuzioni e non più i radiosi futuri,
parallelamente ai nuovi strumenti di consenso e di controllo. La
potente messa in assurdo, in grottesco della Rivoluzione Sovietica
attuata con La fattoria degli animali ne traveste i protagonisti
lasciandone inalterati gli slittamenti di significato e di azione che
portano a tradire le premesse iniziali della rivolta. Lo scontro col
suo tempo storico non fu, anche in questa circostanza, cosa di poco
conto. Scritto tra la fine del 1943 e l'inizio del 1944, il libro,
date le chiare allusioni al regime sovietico alleato dell'Inghilterra
nella guerra al nazismo, venne rifiutato da diversi editori e vide le
stampe solo a conflitto finito.

Tradimento degli ideali, massificazione, annullamento delle coscienze
sono i temi portanti individuati dall'autore quali bachi, tarli del
Novecento e delle società in divenire. Prima ancora di qualunque
rivoluzione, industriale o del popolo, ad essere tradito dai governi
è quell'inalienabile diritto dell'uomo al proprio decoro, alla
dignità individuale. Più di un critico ha individuato infatti in
questo precetto morale, la "decency", il centro del pensiero e
dell'agire Orwelliani. L'intera sua opera è volta ad esprimerne
l'esigenza descrivendo, con una vena ironica degna di Swift come ebbe
a dire Giorgio Manganelli, i meccanismi messi in atto dalle strutture
di potere per annullarla ancor prima che negarla.

Il suo ultimo libro, 1984 , è in tal senso il capolavoro assoluto, il
più visionario e nel contempo il più puntuale nel raccontare
minuziosamente il compiersi di quel processo di annullamento.
Processo già individuato, in nuce, in un articolo apparso
sul "Tribune" l'11 gennaio 1946. Analizzando in quel breve saggio i
bisogni, le ansie e le privazioni cui è soggetto l'uomo comune -
l'uomo-massa direbbe Elias Canetti - Orwell delinea il modello di
paradiso cui esso anela e verso cui è spinto dall'organizzazione
delle società moderne. Ne consegue una specie di limbo nel quale
l'individuo è sollevato da ogni responsabilità e privato di ogni
tratto distintivo. "Un luogo in cui non si è mai soli, non si vede
mai la luce naturale, la temperatura è controllata costantemente, non
occorre preoccuparsi del lavoro o procurarsi cibo, né dei propri
pensieri ... e si è trasportati da una musica continua, come un ritmo
pulsante". Una sorta di regresso uterino
tecnicizzato. "L'inconsapevolezza - scrive ancora - sembra essere la
fonte principale del piacere moderno", quanto più lontano vi sia dal
senso morale e dalla dignità, contrafforti del sentire orwelliano.
La sua preveggenza lascia turbati. Proprio negli anni ottanta, con il
definitivo imporsi di un edonistico gusto di massa e delle tv
commerciali, la sue "profezie" sono apparse più che mai esatte. Ogni
episodio privato, per quanto insignificante, sembra divenuto degno
d'essere portato alla luce ed esibito. Il desiderio di essere
protagonisti, conquistando, come preannunciato da McLuhan, il proprio
minuto di notorietà, ha vinto ogni indugio. La teoria del Grande
Fratello viene addirittura rovesciata: non più un onnisciente occhio
indiscreto cui è impossibile sottrarsi, ma una processione di persone
desiderose di porsi sotto il suo sguardo. L'odierna trasmissione
televisiva intitolata al Grande Fratello, che offre allo spettatore
la possibilità di spiare dal buco della serratura le quotidianità di
un gruppo di ragazzi, invitandoli parallelamente ad esternare le
proprie riflessioni in una sorta di confessionale aperto, è il punto
d'arrivo di un lungo proliferare di "piccoli fratelli". Show che
offrono la ribalta a liti coniugali e familiari, ostentazione del
dolore, telefoni cellulari che ci rendono reperibili in qualunque
momento, telecamere poste agli angoli delle strade, sotto le
pensiline, sui mezzi pubblici e, infine, Internet, la sconfinata rete
telematica che registra ogni messaggio inviato e ogni sentiero
percorso al suo interno. Il desiderio di apparire a patto della
svendita e della messa a nudo della propria individualità e il
moltiplicarsi delle occasioni di controllo hanno sicuramente compiuto
un passo ulteriore rispetto ai foschi vaticini orwelliani.

L'apparato inquisitorio di 1984 si riassume e propaganda attraverso
formule linguisticamente contraddittorie. L'attenzione all'uso della
lingua ha un ruolo determinate in quell'universo poliziesco. Gli
slogan del Partito sono perfetti esempi di una retorica spinta fino
al paradosso e allo svuotamento di senso della parola: "La Guerra è
Pace", "La Libertà è Schiavitù", "L'Ignoranza è Forza". L'operato dei
controllori è rivolto primariamente ai mass media e ad una riduzione
ad essi dell'arte e della letteratura come di ogni forma di
comunicazione. Orwell porta alle estreme conseguenze l'impoverimento
del linguaggio comune, la vuota genericità di ogni enunciato,
sottolineando come il suo sgretolarsi preceda ed accompagni
l'imbarbarimento civile e politico. Nella "Fattoria degli animali" la
riscrittura in negativo dei principi etici dell'azione si condensa
infine nell'assunto assurdo - ma tristemente realistico - "Tutti gli
animali sono eguali ma alcuni animali sono più eguali degli altri" e
prelude alla ricreazione totale del linguaggio obiettivo primario del
Partito Interno di "1984". Partito che per tutto il romanzo è intento
ad inviare dal teleschermo ridondanti comunicati che annunciano false
vittorie militari ed economiche.

All'età di soli 46 anni, nel gennaio del 1950, un solo anno dopo la
pubblicazione di 1984 , Orwell, da tempo malato, morì a Londra. Non
ebbe quindi modo di vedere le trasposizioni cinematografiche ispirate
dalle sue rappresentazioni di una crescente, totale sopraffazione
dell'individuo. La prima è "Animal Farm" (La fattoria degli animali),
un film a cartoni animati, diretto nel 1955 dagli inglesi John Halas
e Joy Batchelor. I colori cupi e un'animazione lontanissima dal
modello disneiano dominante in quegli anni ne fanno un prodotto
troppo ambizioso per raccogliere, all'epoca, il successo che la
storia e il libro hanno meritato.

1984 conta invece due riduzioni. Una, del 1954, per la regia di
Michael Anderson, dal titolo "Nel duemila non sorge il sole",
nonostante sfrutti la fresca scia del successo editoriale non ne è
che una pallida versione priva di incisività. Trent'anni dopo Michael
Radford gira "Orwell 1984", con John Hurt, Richard Burton e Susanna
Hamilton. L'ambientazione ed i costumi sono più accurati e consoni
all'atmosfera originale, le musiche degli Eurythmics rendono al
meglio la sensazione dominante d'angoscia, ma lo spirito del romanzo
non emerge ancora appieno. E' quanto tenta invece di fare Terry
Gilliam nel 1985 con "Brazil", valendosi dell'interpretazione di
Jonathan Pryce, Robert De Niro e Bob Hoskins. Gilliam usa il romanzo
di Orwell come un pretesto per narrare una storia visionaria e
allucinata, affascinante nella sua follia, e nello stesso tempo
capace di rendere al meglio un'intensa carica eversiva. Il film
racconta la storia di Sam (Jonathan Pryce), impiegato delatore al
Dipartimento Informazioni, ossessionato dalla madre e da un lavoro
alienante. Il protagonista, come quello del romanzo, conosce il
fallimento delle proprie ambizioni sentimentali e sovversive.

Robert Bierman nel 1997 porta sullo schermo uno dei romanzi meno
conosciuti di Orwell, "Fiorirà l'aspidistra", del 1936, col
titolo "La stagione dell'aspidistra". Il risultato è però ancora una
volta deludente. Ironia e satira scompaiono quasi del tutto dalla
storia ed il film si riduce ad una commedia in costume incapace di
trasmettere la critica della piccola borghesia inglese implicita nel
racconto. Borghesia che trova nella pianta dell'aspidistra una sorta
di simbolo, non solo perché presente in quasi tutte le abitazioni, ma
soprattutto in quanto capace di resistere alla mancanza di luce,
all'eccessivo calore come al freddo intenso, in grado di sopravvivere
insomma anche senza alcuna cura e attenzione.

I temi dello scrittore inglese tornano ad ispirare l'opera di un suo
connazionale alfiere dell'impegno sociale, Ken Loach, che nel 1995
firma la regia di "Terra e libertà". Anche se in questo caso non si
può parlare di un esplicito riferimento a Orwell e al suo "Omaggio
alla Catalogna", le vicende della guerra civile spagnola, la forte
critica del fronte antifascista e delle sue lotte intestine che
contribuirono a compromettere la possibilità di una vittoria finale,
non sono certo scevre dall'influenza del reportage scritto dal fronte
spagnolo negli anni trenta.

(25 maggio 2003, ore 18,33)

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Nomignoli peggiorativi come Dr Germe e Msr Antrace dovrebbero suggerirci
che gli iracheni possedevano le armi proibite che erano la ragione apparente
di questa guerra. Potreste per favore lasciarli perdere, almeno finche' non
si trova qualcuna di queste armi? Ci sono motivi molto migliori per citare
Mr Bomba a Grappolo Hoon e Mr Uranio Impoverito Rumsfeld, il cui
coinvolgimento con le armi di distruzione di massa e' incontrovertibile.

                John Spencer
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