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RASSEGNA CINEMA D'ESSAI
UNIVERSAL - ARCI
Giovedì 29 Maggio
ORE 19:00 (primo spettacolo)
ORE 21:00 (secondo spettacolo)
INGRESSO: 3 EURO
CINEMA UNIVERSAL
UBRIACO D'AMORE
Commedia - 89 minuti
di Paul Thomas Anderson
con Emily Watson, Adam Sandler, Philip Seymour Hoffman
Usa
La trama potrebbe sembrare incosistente, un ragazzo timido, vessato da
sette sorelle che nell'amore trova la forza per una vita migliore. Ma non
lasciatevi ingannare perché Paul Thomas Anderson, già regista di "Magnolia",
ha creato un film incredibile: surreale e realistico, assurdo ma autentico,
un film da non perdere.
Duel (11/4/2003)
Dario Zonta
Anderson é passato dalla complessità e dalle sovrapposizioni di
Magnolia alla linearità, certo non meno complessa, di Punch-Drunk Love che,
solo apparentemente, sembra meno ambizioso e più compatto. Sono solo
sensazioni, perché Anderson segue un progetto personale che lo porta nelle
braccia di una "sperimentazione" non gratuita e con qualche effetto. Il
primo elemento riguarda l'uso della colonna sonora, in senso stretto e
largo. Ovvero in quanto suono e in quanto musica. La composizione originale
e il tema portante é un ritmo di percussioni sincopato che direttamente
penetra il testo filmico, l'immagine, il montaggio. Bisogna subito entrare
nell'aspetto formale e nella tecnica per apprezzare questo Punch-Drunk Love
e per non lasciare delusi i puristi del contenuto, che altrimenti
denuncerebbero l'operazione per il suo scarso interesse. E infatti é così: é
un divertissement, ma così intelligente e sperimentale da superare di gran
lunga i limiti del "gioco". La musica diventa testo nel film, anzi lo
precede e lo determina, tanto che intere sequenze sono state girate sulla
base di quelle melodie fatte suonare durante le riprese e composte
precedentemente per fa sì che l'immagine le rispettasse e le seguisse.
Operazione non nuova che qui però dà effetti visibili e sorprendenti. Il
titolo italiano é Ubriaco d'amore. La traduzione non rende né il senso
letterale del titolo originale, né quello fonetico. Punch Drunk Love ha un
suo ritmo, veloce e sincopato, frenetico e ossessivo. Titolo che suona prima
di significare. Ed é lo stesso che avviene con il film che sembra a tutti
gli effetti un musical (molti sono i riferimenti al genere che fu degli anni
Quaranta, a partire dal colore del vestito del protagonista, quel blu che
tanta paura fa ai direttori della fotografia) suonato su una partitura
dodecafonica. Una commedia romantica alla rovescia dove il dritto é storto e
il normale é strano. Tutto sottosopra, com'è della famiglia Addams. E questo
mondo imperfetto abitato dagli eccessi e dall'incomprensibile, arriva
raccontato attraverso segni, piuttosto che narrazioni. Ovvero il "suono",
che in questo film é la risultante di più sovrapposizioni, significa, dice,
racconta, spiega... In un mondo che risulta inspiegabile e contorto, dove la
logica e la ragione abbandonano il campo, non rimane che il primigenio sotto
forma di suono, di gesto gutturale. E attraverso questa partitura scioccata
e sincopata Anderson ci dà la sua versione dei fatti, ci dice della malattia
della contemporaneità, del suo disvalore sociale, della sua paura
irrazionale e inconscia, fatta di sensi di colpa e improvvisi eccessi d'ira.
Il kafkiano si annuncia con una hot line e affonda tutto il suo peso con la
cattiveria insensata di un gruppo di ricattatori beceri e cafoni, proprio
com'è del male di oggi: becero e cafone. E Anderson é raffinato quando
sceglie il senso di colpa che prende l'uomo "comune" quando compie un gesto
o un atto che la comunità condannerebbe, come quello di chiamare una hot
line. Ma a questa dimensione cupa e tremenda, cattiva e insensata viene
contrapposta quella dell'amore più puro e ingenuo, proprio da musical anni
Quaranta. Due mondi che si scontrano e si abbracciano, e che tentano una
sopravvivenza non facile nella giungla che si sveglia all'alba
dell'hinterland losangelino.
La Stampa (21/3/2003)
Lietta Tornabuoni
Quante volte abbiamo ripetuto o sentito ripetere «la gente è pazza», abbiamo
visto o saputo di gesti incongrui e violenti compiuti da tranquille persone
qualsiasi? «Ubriaco d'amore» di Paul Thomas Anderson (33 anni, americano,
regista di «Magnolia» e di «Boogie Nights») è l'epopea del nostro squallore
fuori di testa. Una società di telefonate oscene serve per trovare le sue
vittime a una banda di rapinatori e ricattatori occultata da un grande
magazzino di materassi: esempio perfetto di criminalità contemporanea
differenziata, di normalità folle, di pazzia quotidiana. È un uomo comune e
squilibrato anche il protagonista, un giovanotto educato e mite,
proprietario di un negozio, ricattato, vessato sin dalla nascita da sette
sorelle che gli stanno addosso, s'impicciano, telefonano e rimproverano;
ogni tanto gli prendono attacchi di furore durante i quali sfonda muri,
spacca vetrate, demolisce gabinetti, picchia avversari, piange
disperatamente, insomma scarica la tensione perdendo la testa. Il regista
racconta che l'idea del film è nata da una notizia di cronaca su un
ingegnere californiano, meticoloso partecipante a un concorso promozionale
che offriva viaggi aerei contro acquisti di scatole di pudding, capace di
vincere così due milioni di chilometri in aereo di cui non avrebbe mai
usufruito: una gara demente senza avversari, un misero intrattenimento
esistenziale per chi non ha niente altro. Per impersonare il personaggio è
stato scelto Adam Sandler, un attore, produttore, regista, cantante, comico
e compositore la cui fama è ancora limitata agli Stati Uniti: poliedrico
quanto Fiorello, bravissimo, con la faccia a uovo come un giovane Sordi,
affiancato da Emily Watson. La tragicommedia è leggera, a lieto fine
romantico, stilizzata alla maniera dei Technicolor d'un tempo. I paesaggi
urbani vasti, polverosi e brutti acquistano una sorta di mistero surreale
nella fotografia di Robert Elswit, e insieme con la musica perfetta di Jon
Brion dà ancora più forza all'immagine della nostra normalità da pazzi.
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