[RSF] QUALCHE RISPOSTE

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Saluto tutti i compagni di Roma.

Approfitto per comunicarvi che il concerto per Carlo Giuliani che abbiamo fatto ieri sera a Parigi
ha avuto successo in piu' ai compagni Bruno e Thom si sono aggiunti due altri musicisti di Manu
Chao di cui il suo chittarista, tra l'altro Manu che ho visto dopo il suo concerto privato,
favoloso, che ha fatto in una sala qui a Parigi insieme a un gruppo Basco la sera prima... mi ha
comunicato un messaggio personale per Haidi, detto questo...

Cerchero di rispondere brevemente, penso che abbiamo il diritto di avere dei "ricordi" diversi
basati sulle sensibilita differenti di ognuno.

Una cosa che spero di chiarire che quando si usa il simpolo DP, per quelli che lo hanno vissuto e
per i "giovani", si vuol dire Democrazia Proletaria ma certo non altre "cose"...

Per il resto come dicevo le opinioni possono divergere, ma sono respettabili comunque, 67-68 il
PCI era senz'altro in crisi nelle fabbriche non a caso praticamente tutte le grandi formazioni
politiche dell'estrema sinistra e i differenti movimenti sociali e operai alternativi "dell'epoca"
come i CUB, da non confondere con quelli attuali,i CUB = Comitati Unitari di Base, naquero in
questi anni, per esmpio alla Pirelli Bicocca a Milano nella primavera del 1968
Un altro esempio, nell’autunno del 1968 naque l’Organizzazione Comunista Avanguardia Operaia,
formazione che resterà sempre maggioritaria nei CUB. I dirigenti, tra altri furono, Silvana
Barbieri, Luigi Bello, Silverio Corvisieri, Massimo Gorla, Stefano Semenzato, Luigi Vinci.
Alcuni dei fondatori dell’organizzazione si sono inseriti ai vertici di partiti di opposizione
presenti in Parlamento: dai Verdi a Rifondazione comunista, mentre nessuno ha scelto di continuare
il lavoro politico nei DS.

Senza allimentare inutili curiosita, provengo da questa formazione ed ero un dirigente con una
responsabilita' nazionale poi sono emigrato a Parigi e vivo da piu' di vent'anni lo si deve vedere
da come scrivo, adesso...



Un altro esempio fu Potere Operaio.
Alla fine del luglio ‘69 a Torino si tiene il convegno dei comitati e delle avanguardie operaie.
L’obiettivo, era di costruire un'organizzazione rivoluzionaria nazionale.
Il convegno era organizzato dal settimanale La Classe, in circolazione da maggio, che ha svolto un
ruolo determinante nel coordinare a livello cittadino le lotte dei vari reparti Fiat.
L'estate seguente il gruppo di La Classe dà vita al settimanale Potere operaio, con centri forti a
Roma e nel Veneto, attorno al quale si raggruppano i quadri che già da anni intervengono negli
stabilimenti di Porto Marghera
Il giornale era diretto da Francesco Tolin e del comitato di redazione fanno parte Giairo Daghini,
Toni Negri, Franco Piperno, Oreste Scalzone ed Emilio Vesce.

Ne parlero' a Oreste che come sai, almeno lo spero, "vive" da tempo qui a Parigi, metto tra
virgolette perche' vive qui, ma non per sua scelta...vedi Paolo Persiquetti, dunque ne parlero con
lui perche', sarebbe opportuno trovarsi per parlare degli anni sessanta settanta, soppratutto
all'occasione di quello che e' successo a Pintor...

Per Lotta Continua
Le radici di Lotta continua sono tutte toscane: toscano, di Pisa e di Massa, è infatti il gruppo
originario di cui fa parte, assieme a Gian Mario Cazzaniga e a Luciano Della Mea, Adriano Sofri.
All’origine di tutto c’è un giornale, Il Potere operaio (da non confondersi con il quasi omonimo
Potere operaio). La data di nascita del giornale – che esce a Massa come supplemento a Lotta di
classe, un foglio di fabbrica della Olivetti di Ivrea - è il 20 febbraio 1967. La matrice teorica
è quella della rivista Classe operaia: ogni lotta economica è politicamente valida e
tendenzialmente rivoluzionaria. Il filone di analisi politica è quello dei Quaderni rossi.
All’inizio di luglio ‘69, l'Assemblea convoca per la fine del mese un convegno nazionale delle
avanguardie di fabbrica. Al convegno il gruppo di La Classe e quello formato da Il Potere operaio
toscano e dagli studenti torinesi si dividono. La linea proposta da La Classe viene giudicata
"economicista". A una strategia che vuole identificare obiettivi capaci di disarticolare il piano
del capitale e di convogliare il rifiuto operaio del lavoro, i toscani e i torinesi contrappongono
un progetto che punta essenzialmente sulla crescita della coscienza antagonista operaia attraverso
una mobilitazione continua e qualificata.
Nell'estate del 1969 si forma, intorno a questa seconda posizione, uno schieramento che comprende
anche una parte integrante del movimento trentino e dei quadri studenteschi della Cattolica di
Milano. Il gruppo decide la pubblicazione di un giornale nazionale, che riprende nel titolo lo
slogan adottato nei volantini dell'Assemblea operai-studenti torinese: Lotta continua.
In novembre escono due numeri zero e poi, il 22, il regolare numero uno del nuovo settimanale. La
maggior parte dello spazio è dedicata al bollettino delle lotte operaie e studentesche. Nel
secondo numero compare, nel paginone centrale, un lungo pezzo teorico, “Troppo e troppo poco”, che
chiarisce il punto di vista di LC sul nodo dell'organizzazione.




Per quanto riguarda le scelte del gruppo del Manifesto fra il '72 e il '75 non ho voglia di
polemizzare, di gia' in questi giorni dopo che Luigi ci ha lasciato e poi sono passati cosi tanti
anni...ma insomma se ti stupisce questo tentativo di "unione" tra il Manifesto e il MPL (Movimento
popolare dei lavoratori)di Livio Labor, non sarai l'unico...anche noi e in ogni caso il
sottoscritto eravamo rimasti di "stucco" ma non era stato in ogni modo l'obiettivo principale per
il Manifesto, piuttosto in quegli anni era il PDUP che "attirava" tutta l'attenzione del gruppo il
Manifesto. I risultati delle elezioni anticipate furono comunque disastrose nel 72 Manifesto (0,7)
e il Movimento politico dei lavoratori di Livio Labor (o.4%)...

Per quanto riguarda l'altra domanda ti lascio leggere il seguito:
Alle politiche del '76, AO aderisce al cartello di Democrazia proletaria. Alle politiche DP
ottiene, però, appena 556.022 voti, pari all’1,5 %, ottenendo sei seggi di cui solo due (Massimo
Gorla e Silverio Corvisieri) vanno ad Avanguardia operaia.
Sarà proprio Democrazia proletaria il nome che l’organizzazione assumerà quando, sul finire del
1978, deciderà di unificarsi con la componente minoritaria, ex psiuppina, uscita dal PDUP per il
comunismo, componente facente capo a Silvano Miniati e Vittorio Foa. In DP entreranno anche la
Lega dei comunisti e un gruppo di dirigenti della sinistra sindacale, come Antonio Lettieri,
Giovanni Giovannini e Gastone Sclavi.
Democrazia proletaria, a sua volta, perderà la corrente più moderata che si unirà alla maggioranza
del PDUP di Lucio Magri.
Alle politiche del 1979 DP si presenterà in una lista di movimento chiamata Sinistra unita, senza
ottenere alcun seggio.
Più fruttuose per DP le esperienze elettorali del 1983 e del 1987 quando il gruppo otterrà,
rispettivamente sette deputati (con 542.039 voti, 1,5 %) e otto deputati (642.161 voti, 1,7 %).
Democrazia proletaria cesserà di esistere sul finire degli anni Ottanta. Diversi suoi dirigenti,
come Giovanni Russo Spena, confluiranno in Rifondazione comunista, nata sulle ceneri del PCI;
altri, come Stefano Semenzato, nei Verdi.

Per le ragioni della radiazzione del Manifesto dal PCI, potrei riasumere con un problema che penso
viviamo ancora oggi dopo cosi tanti anni...il problema del rapporto tra partito e movimento e
tutte le varianti che conseguono, cioe' per esempio i rapporti e i metodi di democrazia interna in
un partito comunista e come "integrarsi" nei movimenti che nascono ciclicamente.
Oggi ancora esistono partiti e "tendenze" al loro interno che hanno una "nostalgica" visione del
partito e che hanno gli stessi metodi come per esempio il PCI e la CGIL applico a Bologna negli
anni settanta...penso che capisci cosa voglio dire, il settarismo del baffone ha da sempre opposto
il concetto del partito al movimento, eppure non esiste "solo" questo tipo di visione, la prova
che altre forze nel passato e oggi nel presente riescono a integrarsi, ok daccordo, devo dire bene
o male, nel movimento...
Ti lascio leggere solo una parte, perche' troppo lunga, dell'editoriale del Manifesto del
dicembre '69 Editoriale del numero 7 anno 1:

Le ragioni della radiazione



Una prima ragione è che il gruppo dirigente si è convinto che accettare l'iniziativa del
Manifesto, legittimarne la tematica e consentire a questa tematica di svilupparsi in qualsiasi
forma comportava l'apertura di una lotta politica su tutta l'area del partito e una crisi dei suoi
attuali equilibri interni - una crisi che questo gruppo dirigente non è in grado di affrontare. La
sua unità è reale solo in negativo, nel rifiuto di una alternativa strategica. Ma è, proprio per
questo, una unità precaria, che riflettte una più generale precarietà dell'unità del Partito.
L'atteggiamento assunto alla Conferenza di Mosca è stato il frutto di contrasti faticosamente e
provvisoriamente mediati. Gli articoli di Amendola dell'agosto hanno rivelato una crepa, le
recenti discussioni nel Comitato Centrale sulle lotte hanno visto affiorare modi profondamente
diversi di collocarsi rispetto al movimento, secondo un'ottica parlamentare ed un'ottica
movimentista fra loro divergenti. Il dibattito sul Manifesto ha messo in luce diversi
atteggiamenti, se non diverse concezioni, circa i problemi del partito e della sua gestione.
Questa precarietà riflette anche un ricambio faticoso di generazioni. Il gruppo dei "capi storici"
va scomparendo senza che le prove di questi anni abbiano selezionato una nuova leva di dirigenti
altrettanto indiscussa. E riflette, soprattutto, l'eterogeneità del corpo del partito: un partito
estremamente stratificato, con una fisionomia difforme da regione a regione, una composizione
sociale complessa, una considerevole parte di iscritti lontani dall'attività militante, concezioni
ideologiche perfino incompatibili, da un radicalismo democratico alla ortodossia staliniana. Una
seconda ragione della scelta compiuta sta nel rapporto, ancora rigido, con l'Unione Sovietica. Il
partito si è costruito su di un legame profondissimo, a volte fideistico, con l'URSS. Tale legame
parve in declino qualche anno fa, quando la politica kruscioviana ispirava una diffidenza
istintiva nella base comunista, ma ha trovato nuovo alimento con la crisi cecoslovacca.
L'intervento militare sovietico contro un paese socialista è stato da molti interpretato come un
ritorno dell'URSS ad una politica "dura". Le critiche del PCI a quell'intervento sono apparse
sospette, per come si intrecciavano al discorso sulla "nuova maggioranza" in Italia. Il gruppo
dirigente si è sentito dunque in difficoltà rispetto a un settore del Partito ed esposto al
diretto attacco politico da parte dell'Unione Sovietica.

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Se ho scritto delle stupidate o non sono stato preciso scusatemi, ma certe volte gli "errori" sono
piuttosto delle opinioni differenti...
Come avete capito molte informazioni della lettera che ho scritto provengono da diversi documenti.

Un grande saluto da Parigi, e spero che ogni tanto passerete sul nostro sito e che lo farete
conoscere intorno a voi.
Un arrivederci a EVIAN e quando passate a Parigi fateci segno vi accoglieremo con piacere.
Un pensiero a Luigi...


Roberto Ferrario
18.05.2003
Collettivo Bellaciao
http://www.bellaciao.org/


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--- stalkern <stalkern@???> wrote:
> Ho letto il comunicato e mi sono stupito per le storie riportate. Vorrei fare
> qualche domanda da "giovane", che gli anni Settanta li passava a giocare con
> i suoi (piccoli) coetanei.
>
>     1) È vero che nel '67-'68 il PCI era "ormai" "assente dalle grandi 
> fabbriche"?
>     2) Il gruppo del Manifesto fra il '72 e il '75 lavorò alla "costruzione di 
> una difficile unità con altre due formazioni uscite sconfitte dalla prova 
> elettorale del 1972: i cattolici del Movimento popolare dei lavoratori (MPL) 
> di Livio Labor e il PDUP" ?
>     3) DP nacque da Avanguardia operaia, Lotta continua e PDUP alle elezioni 
> politiche del 1976, o si parla di DP diversi?
>     4) Infine, sapevo che la scissione fra Manifesto e PCI aveva a che fare con 
> la primavera di Praga e le proteste succedute all'avallo dell'occupazione da 
> parte dei Partiti Comunisti nazionali. È vero? 

>
> Ciao
> Stalkern
> PS Come dice la fine di un film di Rosi, "la verità non è sempre
> rivoluzionaria" ...però se non sto violando qualche tabù, preferisco sentire
> più campane. Sono giovane e ignorante, ma mano a mano che lascio la
> giovinezza vorrei lasciare anche l'ignoranza.





Grazie di tutto, Luigi

È morto Luigi Pintor, fondatore del «Manifesto».

E' morto oggi, Luigi Pintor uno dei fondatori del gruppo "Il Manifesto" che fu radiato dal Pci nel
1969... Nato a Roma il 18 settembre 1925, soffriva di un male incurabile del quale si era accorto
un mese fa. Pintor, che era stato anche deputato, aveva 78 anni.

Nel 1943 si iscrive al Pci, entra all'Unità (quotidiano del PCI) come redattore politico.
Diventerà condirettore dell'edizione romana. Nel partito, Pintor entra nel Comitato centrale e poi
nell' Ufficio di segreteria. Nel 1968 entra in Parlamento come deputato del PCI. Con Rossana
Rossanda, Aldo Natoli, Lucio Magri, danno vita a un gruppo di sinistra interno, riunito intorno
all'omonima rivista mensile "il manifesto'' Sarà radiato dal Partito Comunista italiano nel
novembre del 1969.

Pubblica a partire del 1990 il romanzo "Servabo", poi da "La signora Kirchgessner", "Il nespolo" e
"Politicamente scorretto", uscito nel 1998, che rappresenta la sua autobiografia.

Il collettivo redazionale de "Il Manifesto" dà appuntamento «a tutti quelli che vogliono
ricordarlo» lunedì alle 18 in piazza Farnese a Roma.


Il progetto di una rivista, nasce nell'estate del ‘68. La rivista Il Manifesto è uno degli sbocchi
cui giunge la lunga e complessa storia del dissenso di sinistra all’interno del PCI. Ma non si
tratta del dissenso del vecchio apparato stalinista (Secchia, D’Onofrio), ma di quello più moderno
che si viene raccogliendosi attorno alla figura di Pietro Ingrao.

Anche per la sinistra interna del PCI, infatti, gli avvenimenti del 1967-68 rappresentano un
grosso fatto nuovo: il sorgere del primo movimento di massa "il movimento studentesco" non
egemonizzato dal partito; la scoperta che il movimento non si accontenta di lottare nel chiuso
delle università, ma cerca di collegarsi, sia pure con ingenuità, con errori di spontanesimo e
dogmatismo, agli operai più giovani giunti alla politica quando ormai il PCI è assente dalle
grandi fabbriche, non può che imporre scelte nuove ai dissenzienti interni al partito.

Se l’idea di una rivista autonoma è dell’estate del ’68, il primo numero del giornale Il Manifesto
uscirà effettivamente solo un anno dopo, nell'estate del 1969. In vista del XII congresso del PCI,
infatti, il progetto è stato congelato.

Il gruppo promotore del giornale (Rossana Rossanda, Lucio Magri, Luigi Pintor, Aldo Natoli,
Valentino Parlato, Luciana Castellina) manda in stampa il primo numero il 23 giugno 1969. Il
Manifesto avrà una periodicità mensile. Il primo numero è un vero successo editoriale: con le
ristampe arriverà a vendere 55 mila copie.

La scommessa è ambiziosa, ma rischiosa su entrambi i fronti.

I gruppi della sinistra extraparlamentare, che si stanno formando proprio nello stesso periodo,
sono piuttosto diffidenti nei confronti di una iniziativa proveniente dall'interno del PCI.

Il pericolo principale viene però proprio dall'interno del PCI e dalla prevedibile accusa di
frazionismo.

In un primo periodo le tendenze nel PCI sono due: una, incarnata da Natta, vuole arrivare
rapidamente ai provvedimenti disciplinari e non è disposta ad alcuna concessione; l’altra,
favorita da Berlinguer, non vede negativamente il permanere di un dissenso interno, ma a certe
condizioni.

Ma è un equilibrio instabile quello che vive il gruppo del Manifesto. A fine novembre 1969 il
comitato centrale del PCI decreta la radiazione dal partito di tre suoi componenti che lavorano al
Manifesto: Natoli, Pintor e Rossanda.

Da questo momento Il Manifesto non è più solo la redazione di una rivista politica, ma una
formazione politica con una sua piccola rappresentanza parlamentare: ai tre deputati radiati dal
PCI si aggiungono anche Massimo Caprara (già segretario di Palmiro Togliatti che finirà poi vicino
a Bettino Craxi e quindi, anni dopo, nello schieramento di centro-destra) e Valerio Bronzuto.

Ma la vera svolta politica del gruppo del Manifesto avviene nel settembre 1970 con la
pubblicazione sulla rivista delle Tesi per il comunismo: una piattaforma di discussione e di
lavoro politico per l’unità della sinistra rivoluzionaria e la costruzione di una forza politica.

Il gruppo della sinistra extraparlamentare con cui Il Manifesto cerca di stringere rapporti è
Potere operaio.

Si arriva così al febbraio 1971 quando l’unificazione tra Il Manifesto e Potere operaio sembra
ormai cosa fatta. L’occasione sembra essere offerta dal convegno unitario in cui la parola
d’ordine è: costruire i comitati politici. Il processo di unificazione si bloccherà perché,
paradossalmente, sarà Potere operaio ad accusare Il Manifesto di eccessivo operaismo.

Le energie del gruppo si sono intanto concentrate su un nuovo progetto editoriale, quanto mai
ambizioso: la trasformazione del mensile in quotidiano. Il Manifesto quotidiano vedrà la luce a
fine aprile 1971. Inteso, inizialmente, come uno strumento per tutti i gruppi alla sinistra del
PCI, Il Manifesto finirà per diventare la voce del gruppo.

Accusato di intellettualismo e riformismo, il gruppo del Manifesto già nel 1971, finisce con
l’isolarsi all’interno della sinistra rivoluzionaria. Lo scontro politico con Avanguardia operaia
e soprattutto con Lotta continua troverà il suo culmine in occasione della manifestazione
nazionale di Milano per il secondo anniversario della strage di piazza Fontana. Sul problema della
riposta da dare ad un corteo proibito dalla questura, Il Manifesto si isolerà, rifiutandosi anche
di entrare nel Comitato nazionale contro la strage di Stato.

Le elezioni anticipate del 7 maggio 1972 fanno precipitare la situazione. Il Manifesto decide di
presentarsi con proprie liste alla Camera e di invitare a votare per il PCI al Senato. Il
dibattito interno che porta a questa scelta è durissimo: due deputati, Massimo Caprara e Aldo
Natoli, lasciano il direttivo del gruppo.

Nonostante la presenza in tre importanti circoscrizioni, come capolista, di Pietro Valpreda, la
lista del Manifesto ottiene una secca sconfitta elettorale: appena 224.313 voti, pari allo 0,7 %,
nessun deputato.

Comincia da questa sconfitta elettorale il lento, ma inesorabile, declino dell’organizzazione. Gli
anni compresi tra il 1972 e il 1975 saranno dedicati alla costruzione di una difficile unità con
altre due formazioni uscite sconfitte dalla prova elettorale del 1972: i cattolici del Movimento
popolare dei lavoratori (MPL) di Livio Labor e il PDUP, ossia i resti - non confluiti nel PCI e
non ritornati nel PSI - del Partito socialista di unità proletaria (il PSIUP, nato nel 1964 da una
scissione a sinistra dei socialisti di Nenni, in occasione della scelta governativa del partito),
guidato da Vittorio Foa e Silvano Miniati.

Il processo di unificazione porterà nel gennaio del 1976 le tre formazioni alla creazione di una
nuova forza politica che manterrà il nome PDUP (Partito di unità proletaria) a cui viene aggiunta
l’espressione: per il comunismo di cui sarà segretario Lucio Magri.

Nel 1975 il PDUP si presenta alle elezioni regionali del ‘75, in alcune circoscrizioni da solo, in
altre insieme ad Avanguardia operaia, ottenendo un appena discreto successo.

Assieme ad Avanguardia operaia e a Lotta continua, il PDUP da vita, nelle elezioni politiche del
1976, al cartello di Democrazia proletaria, ma anche questa volta il risultato è insoddisfacente:
556.022 voti, l’1,5 % e sei seggi. Risultano eletti: Magri, Castellina, Milani e Foa del PDUP;
Gorla e Corvisieri di Avanguardia operaia. Successivamente, le dimissioni da parlamentare di Foa
consentiranno l’ingresso alla Camera di Mimmo Pinto per Lotta continua.

Tra il febbraio ed il marzo del 1977 - mentre il quotidiano Il Manifesto ha cessato di essere
organo del PDUP per tornare ad essere soltanto un quotidiano comunista - avviene un ennesimo
rimescolamento di carte: dal PDUP per il comunismo esce la componente minoritaria, ex psiuppina,
che faceva capo a Miniati e Foa che, assieme alla componente maggioritaria di Avanguardia operaia
assumerà in seguito il nome del vecchio cartello elettorale, ossia Democrazia proletaria, mentre
alla maggioranza del PDUP di Magri si unirà la minoranza di AO, guidata da Aurelio Campi.

Alle politiche del 1978 il PDUP si presenterà da solo, ottenendo sei deputati.

Alle politiche del 1983 il PDUP presenterà, invece, i propri candidati nelle liste del PCI,
partito in cui confluirà l’anno successivo, al termine di una parabola durata 15 anni.

A tutt’oggi il quotidiano Il Manifesto prosegue le pubblicazioni, continuando a collocarsi in
un’area di sinistra di opposizione.

Roberto F.
17.05.2003
Collettivo Bellaciao

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