[NuovoLaboratorio] Fw: [redditolavoro:] Fwd: [BSF] Michele D…

Üzenet törlése

Válasz az üzenetre
Szerző: Carlo Ghione
Dátum:  
Tárgy: [NuovoLaboratorio] Fw: [redditolavoro:] Fwd: [BSF] Michele Di Schiena su l'art.18
----- Original Message -----
From: "rossana" <rossana123@???>
To: <redditolavoro@???>
Sent: Friday, May 16, 2003 6:19 PM
Subject: [redditolavoro:] Fwd: [BSF] Michele Di Schiena su l'art.18


Per iscriversi e disiscriversi
dalla mailing list redditolavoro:
https://www.ecn.org/wws
---------------------------------


>
>IL REFERENDUM "ESTENSIVO" SULL'ART. 18
>"Ciò che i profeti del turbocapitalismo celebrano, predicano e chiedono è
>che l'impresa privata sia completamente liberata da regolamentazioni
>governative, senza intromissioni da parte dei sindacati, senza pastoie
>sentimentalistiche sui destini dei lavoratori e di intere comunità e senza
>precisare nulla sulla distribuzione della ricchezza . Permettere al
>turbocapitalismo di avanzare senza ostacoli significa disintegrare la
>società in piccole élite di vincitori e masse di perdenti" E' questa la
>confessione di Edward Lutwak ("La dittatura del capitalismo", ed.
>Mondadori, 1999), il noto esperto di cose del Pentagono che durante ogni
>guerra imperversa sui nostri teleschermi per illustrarci con sconvolgente
>sincerità le "magnifiche sorti e progressive" delle politiche economiche e
>militari statunitensi. Ha ragione l'ineffabile Lutwak a disegnare, fra
>mille contraddizioni, una tale immagine dell'imperante capitalismo e ad
>aggiungere che la disperazione da esso provocata comporta inesorabilmente
>la repressione dei "perdenti insubordinati". Una repressione che si
>esprime, all'interno dei singoli stati, con la cancellazione di diritti
>essenziali, l'abbattimento delle tutele sociali ed il restringimento degli
>spazi di libertà per i dissenzienti e, sul piano internazionale, con le
>guerre "preventive" rivolte a controllare masse di diseredati ed a
>sintonizzare sugli interessi del "pensiero unico" culture diverse e popoli
>disobbedienti.
>Ed è proprio questo il disegno perseguito nel nostro Paese dall'attuale
>maggioranza con tutte le sue scelte e specialmente con quelle, in politica


>interna, sul versante della legislazione sociale e del diritto del lavoro.
>Un progetto che il governo Berlusconi sta portando avanti secondo le linee
>tracciate dal famoso "libro bianco" con l'obiettivo di attuare un
>complesso di controriforme rivolte a smantellare l'intero sistema di
>tutele in favore dei lavoratori: l'indebolimento del ruolo del sindacato,
>l'estensione della precarietà, la crescente "privatizzazione" del sistema
>di collocamento, la derogabilità di molte norme generali e dei contratti
>collettivi ad opera di contratti individuali peggiorativi frutto spesso di
>facili ricatti occupazionali, il ridimensionamento del controllo di
>legalità da parte dei giudici. Ed ancora e soprattutto: la progressiva
>cancellazione dell'art. 18 sui licenziamenti, già pesantemente intaccato
>dalla modifica concordata con quel "patto per l'Italia" che fra tanti
>arretramenti comprende anche quello per il quale le imprese con meno di 16
>dipendenti potranno assumere a piacimento con permesso di licenziamento
>arbitrario.
>E' chiaro allora che il referendum del 15 giugno chiama direttamente in
>causa la responsabilità politica di una vasta area di cittadini
>figurativamente collocabili in tre sfere concentriche di interessi
>convergenti verso lo stesso obiettivo, quello appunto dell'estensione a
>tutti i lavoratori dell'art. 18. La sfera dei dipendenti delle imprese
>minori più direttamente toccati dalla consultazione referendaria i quali
>possono ottenere con effetto immediato il riconoscimento di una valida
>garanzia contro l'arbitrio finora ingiustamente negata. Una seconda fascia
>costituita da tutti i lavoratori (compresi i precari ed i disoccupati) che
>col loro voto positivo possono infliggere un duro colpo alla politica di
>questo governo in materia di lavoro che esalta oltre misura la libertà
>d'impresa con la compressione dei diritti e l'attacco alle tutele sociali.
>Ed una terza sfera formata da tutti coloro che credono in un "nuovo mondo
>possibile" e che con il loro "sì" al quesito referendario possono
>provocare una modifica legislativa in controtendenza rispetto alle
>politiche liberiste e di grande valore simbolico all'interno del nostro
>Paese e forse anche fuori di esso. La scelta astensionistica motivata
>dall'esigenza di perseguire per via parlamentare l'obiettivo
>dell'estensione dei diritti appare ingiustificata ed oggettivamente
>convergente sulle posizioni di chi (Governo e Confindustria) vuole
>umiliare il valore politico e simbolico della scelta referendaria.
>Ma va anche spesa qualche parola per fare un po' di chiarezza contro la
>disinformazione e l'allarmismo su un punto che deve essere messo nel
>dovuto rilievo. Il referendum per l'estensione a questi lavoratori (che
>sono oggi la maggioranza dei lavoratori dipendenti) del diritto alla
>reintegra nel posto di lavoro nel caso di licenziamento illegittimo avanza
>una domanda di elementare giustizia: quella che i dipendenti in questione
>non vengano privati del lavoro, e di tutto ciò che il lavoro socialmente
>ed umanamente rappresenta, nel caso di una espulsione priva di qualsiasi
>valida giustificazione. Nel caso cioè di una "cacciata" senza una ragione
>grave, la cosiddetta "giusta causa", consistente in rilevanti mancanze del
>lavoratore e senza neppure ­ ipotesi sulla quale spesso si sorvola ­ la
>presenza del cosiddetto "giustificato motivo", determinato sia da mancanze
>meno gravi e sia da ragioni organizzative. Ipotesi quest'ultima nella
>quale la magistratura fa rientrare tutte quelle situazioni che, tenuto
>anche conto delle limitate dimensioni di certe imprese, risultano tali da
>giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro. Costituiscono allora
>un mistificante travisamento dei fatti le tante lacrime strumentalmente
>versate sugli insopportabili lacci che legherebbero le aziende minori in
>caso di successo referendario. Ciò che verrebbe veramente colpito sarebbe
>solo la prepotenza e l'arbitrio.
>Perché mai un datore di lavoro arrogante, prevaricatore e dispotico,
>titolare di una piccola impresa, non dovrebbe essere obbligato a
>reintegrare un dipendente ingiustamente licenziato? La risposta sta forse
>in logiche molto lontane dai principi della Carta costituzionale e lontane
>anche dai valori di qualsiasi cultura d'ispirazione cristiana.
>Brindisi, 14 maggio 2003
>Michele DI SCHIENA
>(Presidente Emerito di Cassazione)
>
>
>
>
>
>
>--



HTTP://WWW.ECN.ORG
----------------->