[ssf] x gruppo consumo critico ... ma non solo

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Author: Patrizio Beraldo
Date:  
Subject: [ssf] x gruppo consumo critico ... ma non solo
mi sembrano riciclabili nei nostri lavori le parole della prima parte del
testo riportato in fondo [§], per il resto comunque lettura stimolante.

********************************
memo:
*** giovedì 22 maggio, ore 21 ***

          serata a temi:
COMMERCIO EQUO / * G.ruppi d'A.cquisto S.olidali *


               presso
Ist. Padre Monti, via Legnani, 4 - Saronno


          org. in collaborazione (con altri) da
gruppo consumo critico del forum saronnese
&


"Il Sandalo", bottega equo-solidale Saronno
&

* G.A.S.* di Uboldo-Saronno

per + info -> referente iniziativa x gr. cons. crit.: Roberto Barin
*********************************

buone cose,

        Patrizio.


_________________________________________________________
§

----- Original Message -----
From: <uncle_@???>
To: <open-economy@???>
Sent: Monday, May 12, 2003 11:03 PM
Subject: [open-economy] [T] Il mercato contro il Mercato (era: Mercato)


Relativamente alla discussione in oggetto, vi trascrivo parte di un
articolo recente di Latouche che, tra parentesi, mi trova d'accordo.

Il resto dell'articolo, insieme ad altri di grande interesse, potete
leggerlo sull'ultimo numero di "Libertaria"
(http://www.libertaria.it/).

Spero vorrete perdonarmi questa - volontaria! - pubblicità per A-
Editrice (quella di A-rivista).

ciao a tutt*

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Serge Latouche
Riprendiamoci il mercato
(orig. Le marchè, l'agora et l'acropole; Réfractiones n.9)

Uscire dall'economia vuol dire mettere in discussione il dominio
dell'economia sul resto della vita, in teoria e in pratica, ma
soprattutto nelle nostre teste. Questo deve sicuramente comportare un
superamento della proprietà privata dei mezzi di produzione e
dell'accumulazione illimitata di capitale. Deve anche sfociare, di
conseguenza, nell'abbandono dello sviluppo, perché i suoi miti
fondatori, in particolare la credenza nel progresso, scomparirebbero.
L'economia imboccherebbe un processo sia di decremento sia di
deperimento. La costruzione di una società meno ingiusta
consisterebbe nella reintroduzione della convivialità e, al tempo
stesso, di un consumo più limitato quantitativamente e più
esigente qualitativamente. Lo spreco insensato degli spostamenti di
uomini e merci sul pianeta con il corrispondente impatto negativo
sull'ambiente, quello non meno considerevole della pubblicità
chiassosa e inutile, quello infine dell'obsolescenza accelerata dei
prodotti e delle apparecchiature da gettar via senz'altra
giustificazione se non quella di far girare sempre più velocemente
la megamacchina infernale costituiscono delle riserve importanti di
diminuzione del consumo materiale. Le ripercussioni sul nostro
livello di vita non possono produrre altro che un miglior benessere.
E' anche possibile immaginare questo decremento insieme alla ricerca-
feticcio della crescita di un reddito calcolato in modo più
sensato. Tutto questo senza parlare delle spese militari e neanche,
ovviamente, dei cambiamenti in profondità dei nostri valori e dei
nostri modi di vita, che accordino maggiore importanza ai "beni
relazionali" e ribaltino i nostri sistemi di produzione e di potere.

Questo vero e proprio "reincastro" dell'economico nel sociale
significherebbe comunque la scomparsa del mercato? La domanda può
sembrare strampalata o paradossale. Infatti, come si fa ad immaginare
un'abolizione dell'economia insieme al mantenimento di
quest'istituzione che ne è, almeno in apparenza, il fondamento
stesso? Certo, questo sarebbe inconcepibile se si identificasse il
mercato con il Mercato, ossia con l'economia di mercato e la
società di mercato. Tuttavia, se si osserva che abbiamo
testimonianza di mercati in molteplici società in tutti i
continenti, e questo dalla più lontana antichità, molto prima
della
nascita del capitalismo e al di fuori del suo modo di produzione, la
questione merita di essere posta. Questa istituzione, infatti,
facilita incontestabilmente il commercio sociale, e non
necessariamente nel senso dello sviluppo delle ineguaglianze e
dell'ingiustizia.

Un indizio della perennità dell'istituzione del mercato-incontro,
al di là dell'invenzione dell'economia, è il fatto che, a
differenza delle altre nozioni fondamentali come lo sviluppo e il
lavoro, esistono delle parole per dirlo in tutte le lingue africane.
Un breve sguardo sui mercati africani è ricco di insegnamenti.

[...]

"Un mercato?", osserva Dominique Fernandez. "Che termine piatto e
mercantile per indicare il territorio magico in cui si svolge una
fastosissima cerimonia in onore dei colori e dei profumi!" Questa
osservazione, che vale ancora (ma per quanto?) per i mercati dei
villaggi e delle città dei nostri paesi latini, è cento volte
più vera per i mercati africani. Un mercato senza odori rischia
addirittura di non avere alcun successo. E', per lo meno, la lezione
dell'esperienza di Ziniare nel Burkina Faso.

[...]

Il festival di colori e di odori dei mercati africani è uno spazio
di socievolezza, prima ancora di essere un luogo di scambi di
derrate. L'agorà, come il foro, era un mercato (del resto ancora
oggi Agorà è il termine usato in greco moderno per indicare
questa
istituzione), ma la storia ha ricordato soprattutto che si trattava
dei luoghi per eccellenza della vita pubblica.

Il mercato è quindi l'occasione per incontrare amici e parenti,
dello stesso villaggio ma anche dei villaggi vicini. E' un luogo in
cui si incontrano le generazioni, i sessi e le etnie diverse, legate
da parentele che permettono i reciprochi scherzi, persino in
situazione di guerra più o meno aperta. Il mercato è un
territorio neutrale.
Ciascuno depone le armi prima di entrare. Questi grandi raduni
scandiscono il calendario e servono spesso come punto di riferimento
cronologico. Sono l'occasione per annunciare pubblicamente i grandi
avvenimenti, eventualmente attraverso un banditore pubblico. In un
caso sono le trattative matrimoniali, nell'altro dei funerali che
fanno tre volte il giro della piazza.

[...]

Il lato erotico dei mercati risulta ancora più accentuato per i
mercati notturni, che sono spesso occasione di trasgressioni, il che
può spiegare il loro successo a dispetto dei rischi reali e
immaginari che si affrontano per andarvi. Tuttavia, con la merce
venuta da lontano arriva lo straniero, oggetto al tempo stesso di
diffidenza e di fascino. Il mercato africano, esterno alla cinta del
villaggio, è un luogo neutro e pacifico in cui si contatta e si
sperimenta l'altro. Le notizie del mondo esterno arrivano insieme
alla conoscenza di altre credenze e usanze, che inquietano ma
costringono ad uscire da se stessi e a relativizzare le cose. Il
mercato è una scuola di tolleranza.
Infine, anche se la principale derrata che viene scambiata è la
parola, la circolazione dei prodotti costituisce comunque la ragion
d'essere di queste fiere periodiche. E qui ci scontra con il
paradosso mercantile dell'Africa.
A leggere certi testi economici, e in particolare i rapporti della
Banca Mondiale, si sarebbe a volte tentati di credere che il mercato
sia una realtà nuova a sud del Sahara. Così il rapporto annuale
per il 2000 del FMI dichiara, a proposito dei paesi africani,
che "non sono ancora riusciti a integrarsi nei mercati mondiali".

[...]

I suk e i mercati, luoghi di scambio e di incontri, sono innumerevoli
attraverso tutta l'Africa. Essi coinvolgono la totalità della
popolazione. La pregnanza dello scambio mercantile è almeno tanto
antica quanto in Europa.

[...]

Se i paesi africani sembrano "non decollare" nell'attuale
globalizzazione, è perché subiscono in pieno gli effetti di
esclusione dovuti all'apertura dei mercati. Dissanguati, non hanno
più molto da offrire, e ciò che offrono è sempre più
svalutato dai meccanismi diabolici dei piani di riassetto
strutturale. Tuttavia, i mercati colorati e pieni di odori
costituiscono forse uno degli ultimi baluardi contro il Mercato e i
suoi effetti distruttivi.
Questo scambio di derrate, mescolato alla parola, in cui ciascuno
soppesa l'altro per trovare il tasso di scambio che permette di
mantenere la relazione, è agli antipodi del supermercato vantato
da Milton Friedman, in cui le persone non hanno bisogno di piacersi o
di conoscersi per fare degli affari.

[...]

Credere che l'unificazione e l'uniformazione planetaria siano la
condizione della pace è una falsa idea brillante, anche al di
là dell'impostura economica. La diversità delle culture è
verosimilmente la condizione di un commercio sociale pacifico.
Infatti ogni cultura si caratterizza per la specificità dei suoi
valori. Anche se regnassero un linguaggio e una moneta comune sul
pianeta, ogni cultura accorderebbe loro significati propri e
parzialmente diversi.
Se le sedi di mercato, i mercati-incontro sono stati per secoli in
quasi tutti i continenti luoghi di scambi pacifici, di composizione
di conflitti, di circolazione matrimoniale, fra vicini e anche fra
nemici, è perché le transazioni fra estranei permesse
dall'intermediazione monetaria, nonostante il suo anonimato relativo,
conservano le qualità del dono riuscito fra conoscenti. Per le
diverse scale di valori, ognuno ne usciva convinto di aver fatto un
buon affare (o addirittura di aver abbindolato il proprio partner, a
sua volta persuaso di essere riuscito nello stesso tiro!). I mercati
africani illustrano abbondantemente questa astuzia del commercio
pacifico fra culture diverse. "Attribuendo un valore morale diverso
agli effetti scambiati", scrive l'antropologo Marco Aime, "ciascuno
dei due attori si riterrà vincitore, secondo i suoi parametri".

[...]

Anche se mercantile, lo scambio può possedere le virtù del
"commercio dolce", a condizione che partecipi della logica del dono,
mentre il Mercato anonimo e astratto è fonte inesauribile di
frustrazioni, di invidia e di conflitti.

[...]

"Il cerimoniale del mercanteggiamento, per quanto aspro", osserva Guy
Nicolas a proposito degli Huassa del Niger, "conserva sempre qualche
aspetto oblativo (...). L'aspetto ludico della contrattazione ha
qualche rapporto con quello del dono".

[...]

Questa affinità tra rapporti di scambio basati sul
mercanteggiamento e il dono è ulteriormente accresciuta dal fatto
che per lo più in Africa il denaro non ha lo statuto di un
equivalente generale astratto, ma possiede una realtà concreta che
lo trasforma in oggetto di controdono. Quando il denaro e l'economia
restano "incastrate" nel sociale, come succede ancora ampiamente, il
denaro è un quasi-oggetto molto più che una moneta.
Così, il mercato-incontro è un segno e una fonte incontestabile
di prosperità, in tutti i sensi del termine. Come le fiere dei
sistemi di scambio locali (Sel), stimola non solo gli scambi, ma,
attraverso di loro, la produzione di derrate e il dinamismo
collettivo, ma senza l'alienazione propria del rapporto mercantile e
della strumentalizzazione della produzione capitalistica.

In Africa c'è un capo del mercato, più o meno ufficiale, che
rende conto in generale al capovillaggio, che non ha il diritto di
venire al mercato.

[...]

Ancor oggi, nella vita politica francese, una parte importante della
campagna elettorale si svolge attorno ai mercati. Qui si
distribuiscono volantini, i candidati vengono a distribuire il loro
programma e a stringere le mani ai commercianti, uomini e donne, e ad
ascoltare le loro rivendicazioni. In Africa, una parte importante
della politica del periodo dopo l'indipendenza è stata fatta sui
mercati e attorno ad essi. L'appoggio delle associazioni di mercato,
spesso, resta ancora decisivo. Si capisce che i poteri pubblici
abbiano sempre tentato di controllare questi luoghi in cui si
mescolano tante popolazioni diverse e tante idee, magari sovversive.
I mercati sono uno sfogo, non solo per le trasgressioni sessuali, ma
anche per tutte le tensioni.

[...]

Così il pazzo si trova a proprio agio al mercato, che esercita una
funzione quasi terapeutica. Ma i mercati sono soprattutto dei luoghi
di fronda potenziale. Scioperi o movimenti di commercianti hanno
avuto ragione di certi governi. Innestato nella società africana,
il mercato rappresenta una sorta di contropotere. "Luogo neutrale e
pertanto politico, ma non politicizzato". E' una distinzione
importante, E' per eccellenza il luogo della società civile, con
tutta la complessità di senso che questo concetto riveste nel
contesto africano, opposto alla società politica, militare o
religiosa legata al potere ufficiale. Al mercato si risolvono molti
conflitti, con la parola e talvolta con il ricorso all'arbitrato
degli anziani e dei saggi, ma, anche se si svolgono molte riunioni di
discussione in margine al mercato, il mercato non è questo, non
è la discussione con il suo rituale e la sua solennità.

[...]

Ma è il momento di svelare l'altra faccia, o il vero volto del
mercato. Si tratta di un luogo eminentemente femminile. Le donne
risultano gli attori chiave. Sono loro che tirano le fila e che
dominano la scena del commercio.

[...]

Questi poteri detenuti dalle donne dei mercati, più o meno
consacrati da titoli e funzioni tradizionali, rappresentano una
duplice sfida nei confronti delle autorità locali e statali. Nella
maggior parte dei paesi africani, il controllo commerciale
costituisce una forma di resistenza simbolica e materiale ai
tentativi di controllo economico da parte dei vari governi.
Attraverso la forza tranquilla della protesta passiva (ma talvolta
molto attiva) dei mercati, si esprime la società civile, che fa
sapere il limite oltre il quale il disprezzo del cittadino (e ancor
più della cittadina) non può spingersi.

Infine, il mercato-incontro, come esiste ancora in Africa, testimonia
la sopravvivenza di un inserimento piuttosto profondo dell'economia
nella società. Ma allora, la distinzione di Karl Polanyi fra
economia sostanziale ed economia formale non ha più motivo di
esistere.
L'economia è sempre formale, in un certo senso, e dire che
è "incastrata" nel sociale è un modo "occidentocentrico" di
parlare, per esprimere il fatto che non si ha davvero a che fare con
l'economia, ma con la società. Certo, bisogna introdurre una
riserva importante: le situazioni attuali sono ibride, poiché,
essendo l'Occidente penetrato ovunque, tutti i mercati sono
pervertiti dal Mercato, tutti i commerci e gli scambi sociali
dall'economia, e tutte le ragioni dalla razionalità calcolatrice.

Resta comunque il fatto, ed è anzi un insegnamento che può
esserci fornito dalla conoscenza dell'Africa, che la riscoperta del
mercato-incontro fa parte dell'arsenale che la società civile
dovrà verosimilmente restaurare per uscire dall'eccesso della
società del Mercato imposta dalla mondializzazione liberale.

La società di mercato è certamente una società di
mercantilizzazione, ma il Mercato della teoria, come una moltitudine
di persone che offrono e domandano, è un mito. Le concentrazioni e
i monopoli lo hanno totalmente eliminato e trasformato, ammesso che
sia mai esistito. Invece, il luogo di mercato, il mercato sede
d'incontro e di chiacchiere dei cittadini dev'essere reinventato.
Bisogna, pur riconoscendo la dualità necessaria fra società
primaria (comunitaria) e secondaria (o societaria), evitare
l'eteronomia della società di Mercato assumendo pienamente la
mediazione democratica del rapporto di scambio tra cittadini. Il
ritorno dello spirito del dono nella società postmoderna è una
necessità, ma non deve compromettere la persistenza di una
società secondaria. La si può considerare funzionale alla
cittadinanza basata sulla benevolenza reciproca, la simpatia o la
*philia*, senza ricadere nel familismo e il clientelismo. La
riappropriazione del mercato significa concretamente la
riaffermazione della natura radicalmente politica dello scambio
mercantile, che è solo una forma del commercio sociale.
Così, anche se è auspicabile che persistano dei mercati e dei
rapporti mercantili, accanto alla redistribuzione e alla
reciprocità, è l'immaginario del Mercato che dovrebbe prima di
tutto essere abolito per rompere con la logica dell'eccesso.

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