Autor: clochard Data: Assumpte: [Cerchio] La guerra del presente
La guerra del presente
Le continuità e le rotture fra la prima e la seconda guerra del Golfo, gli
effetti a catena del conflitto in Iraq sullo scenario in Israele e
Palestina. Parla Robert Fisk, corrispondente a Baghdad del quotidiano
britannico «The Independent», inviato al fronte di molti altri conflitti
GIULIANA SGRENA Il Manifesto
Con Robert Fisk, noto editorialista del quotidiano britannico The
Independent, ci siamo incontrati spesso in Iraq durante la guerra. Come
sempre cronista di razza, «genuino testimone» di quello che si svolgeva
sotto i suoi, i nostri, occhi, sfidando le posizioni ufficiali di Saddam,
dell'ex ministro dell'informazione Sahaf, ma anche di Blair e di Bush.
Distinguendosi da quei giornalisti embedded, arruolati dalle truppe che non
si distinguevano dai militari, non solo nell'abbigliamento. Abbiamo rivisto
Fisk a Roma, dove è venuto per presentare il suo libro Notizie dal fronte
(Fandango), proprio a un mese dall'arrivo degli americani a Baghdad.
Questa guerra è stata diversa dalle precedenti, anche da quella del Golfo
del 1991.
Di questa guerra sono state date meno giustificazioni. Quando l'Iraq ha
invaso il Kuwait nel 1990 c'erano obbligazioni internazionali che imponevano
a Saddam di ritirarsi e c'era una legittimazione internazionale delle
Nazioni unite alla guerra anche anche se non si realizzava sotto la bandiera
dell'Onu. Il fatto che questa volta non ci fosse nessuna legittimazione
internazionale è provato anche dai numerosi tentativi di ottenerla con una
seconda risoluzione Onu. Non l'hanno ottenuta, ma sono andati in guerra lo
stesso. Questa è la prima grande guerra combattuta dagli americani senza
legittimazione internazionale. Un altro punto che fa la differenza è il
fondamento su cui si è basata: una menzogna. Se si è fatta la guerra per le
armi di distruzione di massa, dove sono? Se il motivo era la violazione dei
diritti umani, perché la questione non è stata sollevata nell'80 o nell'85,
quando Rumsfeld incontrò Saddam Hussein o Tareq Aziz? E sicuramente la
guerra non è stata scatenata per la liberazione della gente dal regime di
Saddam. Gli iracheni non sembrano felici e grati per la «liberazione»,
poiché si tratta di una occupazione. Quando gli americani sono entrati a
Baghdad i soldati non sono stati accolti con fiori e canti. Un'altra
differenza rispetto alla prima guerra del Golfo è il fatto che la
maggioranza della popolazione di tutto il mondo era contro questa guerra ed
è stata insultata con una menzogna. E' difficile stimare il grado di rabbia
del popolo britannico quando si è reso conto che uno dei più famosi
documenti dell'intelligence diffusi dal governo Blair era la ricopiatura
della tesi di uno studente della California. Al giornale abbiamo ricevuto
centinaia di lettere di lettori indignati e frustrati. Blair è diventato un
generale più che un premier. Mi ricordo che il ministro britannico per le
relazioni con l'Europa a Bruxelles, parlando con diplomatici prima della
guerra, aveva detto che a volte ai primi ministri tocca essere una guida, se
non sbaglio in tedesco si dice Führer... Ma io non voglio un premier che sia
una guida, è eletto e deve rappresentare il popolo. Per il resto questa
guerra è stata come tutte le altre guerre, a cominciare dai molti e molti
civili uccisi. Non abbiamo ancora le cifre e forse non le avremo mai. Solo
nell'area di Hilla gli ospedali riferiscono di 721 civili uccisi, ora, non
ai tempi di Saddam. Anche a Baghdad, tutti i cadaveri che abbiamo visto
lungo l'autostrada, donne e bambini, tra le macchine bruciate, dopo la
battaglia.... A Bassora il bilancio deve essere molto alto. Né, a tutt'oggi
sappiamo quanti soldati iracheni sono morti e dove sono le fosse comuni,
anche se la convenzione di Ginevra del 1949 prevede che le forze occupanti -
o, se si preferisce, i vincitori - notifichino alla Croce rossa dove si
trovano. Gli americani non l'hanno fatto nel 1991 e non l'hanno fatto oggi.
Dove sono finite le Guardie repubblicane? sono scappate o sono morte? Non
sappiamo. Ho sentito Colin Powell, durante una conversazione con Kofi Annan,
sostenere che il passato è passato. Mi spiace, ma la storia è legata al
presente. Questa guerra è legata alla storia.
Le conseguenze di questa guerra si vedranno in tutto il mondo, non solo
nella regione..
Dipende da cosa accadrà ora. Se l'America riesce a costruire un governo
iracheno, molta gente non si opporà agli americani, ma se non costruirà una
democrazia e se, come credo, crescerà lentamente una resistenza contro gli
americani, allora sarà diverso. Nel marzo del 1917, il generale inglese Mud
aveva invaso l'Iraq e fatto un proclama alla popolazione della wilaya
(provincia) di Baghdad: «siamo venuti non come conquistatori ma come
liberatori, per liberarvi da generazioni di tirannia». Questo accadeva nel
1917 e nel 1920 l'esercito britannico veniva coinvolto in una guerra contro
una forte resistenza irachena, soprattutto sciita. A Baghdad c'è un grande
cimitero dove sono sepolti gli inglesi morti in quella guerra. Se non ci
sarà democrazia in tre anni succederà lo stesso e in sei si butteranno i gas
sui kurdi che vorranno un loro potere. Gli iracheni si sono sempre battuti
contro le invasioni armate fin dai tempi dei mongoli. Rumsfeld, in una
conversazione sinistra nell'hangar dell'aeroporto di Bagram, la scorsa
settimana, ha detto che una cosa da fare in futuro è eliminare la rete
terroristica in Iraq. Quale terrorismo? Non esiste. Per ora. Ci si sta
preparando alla guerra contro gli americani prima ancora che sia iniziata.
Gli Usa vogliono mantenere l'occupazione spendendo il meno possibile.
Per questo stanno coinvolgendo altri paesi nella «stabilizzazione»?
Da una parte stanno coinvolgendo altri paesi e dall'altra stanno pagando i
locali per fare il lavoro per loro. Come hanno fatto gli israeliani in
Libano, hanno pagato per vent'anni l'Esercito del Libano del sud, come gli
americani e la Nato hanno usato l'Uck in Kosovo, l'Alleanza del nord in
Afghanistan, ora lo fanno con i Fif (Freedom Iraqi fighters) di Chalabi,
pagandoli e pagando anche la polizia che era di Saddam perché torni a
servire il nuovo regime. Quando gli americani dicono che vogliono lasciare
presto il paese vuol dire che vogliono trovare in fretta chi può fare il
lavoro per loro, per poter fare qualcos'altro o trasferirsi altrove. Non
penso funzionerà. Finché non si capirà che in Iraq può esserci realmente una
società libera chiunque lavorerà con gli americani sarà visto come erano
visti i collaboratori di Saddam. Personaggi come Chalabi sono creature del
Pentagono e come tali sono giudicati anche dagli iracheni, che sono
informati, ascoltano la radio, sanno perfettamente anche chi è Jay Garner.
Si può vedere un effetto della guerra anche sugli sviluppi della situazione
in Israele e Palestina? Dopo la prima guerra del Golfo c'era stata la
conferenza di Madrid, ora è stato varato il governo di Abu Mazen in seguito
alle pressioni Usa.
Penso che l'effetto principale siano i soldi che verranno meno ai
palestinesi, gli assegni firmati da Saddam erano di milioni di dollari.
Questo è molto più importante di Abu Mazen, perché i palestinesi non hanno
soldi e molti se ne stanno andando. Anche dal Libano. Si parla di circa
350.000 rifugiati palestinesi in Libano, ma ora non ce ne saranno più di
165.000, gli altri sono partiti per l'Europa - Gran Bretagna, Scandinavia,
Svizzera -, per gli Stati uniti e il Canada. Così come molti cristiani hanno
lasciato Betlemme. Anche gli israeliani se ne vanno da Israele. Molti sono
andati negli Usa e vi sono rimasti, anche perché hanno il doppio passaporto.
Quali saranno gli effetti della guerra sul movimento pacifista che,
nonostante avesse dimostrato una capacità di mobilitazione senza precedenti,
non è riuscito a fermare Bush?
Il problema è il movimento. Soprattutto negli Stati uniti. Lo scorso
settembre, nell'anniversario dell'attacco al Wtc, era stato invitato in una
università del North Carolina e il giorno dopo ho partecipato a un incontro
con accademici attivisti. La loro principale richiesta era come mettersi in
contatto con altre università, e la domanda era: come possiamo influenzare i
principali media. Visto che non potranno mai influenzare il New York Times,
mi sono chiesto perché non si ponevano il problema di parlare con altra
gente, con le persone meno informate. In un'altra lezione in Sud California
ho invitato i fattorini dell'albergo, lo staff dell'aereo, i funzionari
della sicurezza che mi avevano controllato all'aeroporto. Sono venuti, anche
se non erano d'accordo con le mie posizioni, mi ascoltavano. Il problema in
America è che gli intellettuali, i liberal parlano solo tra di loro, si
scambiano e-mail, non si avvicinano mai alla classe operaia, alla gente
povera, a chi non sa cosa succede in Palestina o in Iraq. Eppure sono
proprio queste persone che, non avendo altra scelta di lavoro, si arruolano
nei marine e vengono spediti in Iraq.