[Lecce-sf] Fw: jam section per una nuova cittadinanza

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Autore: luisa rizzo
Data:  
Oggetto: [Lecce-sf] Fw: jam section per una nuova cittadinanza
Documento per il 17 e 18 maggio a firenze in preparazione del fse di parigi,
a cura di "donnenemediterranee"
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"Come donna non ho patria, il mio paese è il mondo intero"
"fluisco ... pur restando radicata"
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queste due frasi di Virginia Woolf vogliamo-sentiamo e sono il nostro punto
di partenza oltre che compagne di
percorso, per cominciare a costruire, dentro e fuori di noi, una
cittadinanza "poliversale" che, lungi dall'essere senza radici, sia reale e
curiosa accoglienza delle differenze. Una cittadinanza consapevole della
dimensione pluriculturale delle società contemporanee, che riconosca i
diritti umani universali, civili, sociali e politici a tutte e tutti.

Ci sembra paradossale che sia immensamente favorita la circolazione delle
merci e che, al contrario, sia ostacolato in ogni modo il flusso delle genti
e la possibilità di scegliere liberamente il luogo in cui vivere.

E' necessario, secondo noi, svincolare i diritti di cittadinanza dalla
nazionalità, riconoscendo che l'appartenenza di una persona a un determinato
luogo, a una determinata collettività, nasce nel momento in cui questa
persona abita quello spazio fisico, quel luogo simbolico, e intreccia
relazioni con quella specifica collettività. Ossia quando costruisce un
pezzo del suo percorso di vita in quel contesto specifico, lavora, studia,
ama, svolge attività culturali, sociali, politiche, e tutto questo accade
indipendentemente dal luogo in cui questa persona è nata. Questo significa
attuare un passaggio, sostituire al diritto di sangue il diritto di suolo,
al principio della nascita quello della residenza in un determinato
territorio. Stiamo parlando di una cittadinanza che ci trae fuori dalle
regole di appartenenza statica a una categoria specifica, a una tribù, a una
famiglia, a una nazione, alle regole del "padre", che ci "armano" contro chi
appartiene ad un'altra tribù per paura di lasciarci contaminare e perdere la
nostra specificità.

Ci riferiamo a una cittadinanza che contempli la possibilità del
cambiamento, della scelta a seconda dei bisogni e/o dei desideri.

Ci sembra questo un modo di costruire percorsi pacifici di convivenza fra
soggettività diverse, singole e collettive, fra popoli.

Una cittadinanza poliversale più che universale, perché l'aggettivo stesso
ci trasmette immediatamente l'idea della molteplicità, dell'estensione dei
diritti nel rispetto dello specifico di ciascuna e di ciascuno.

Noi "Donne di mezzo" e Altrabitanti vogliamo essere "ponti nel mare".
Normalmente siamo abituate e subiamo rapporti di potere fra soggetti singoli
e collettivi, di popoli su altri popoli. Noi scegliamo la relazione, nel
senso di "relativo a", all'altra, all'altro. E sappiamo che l'altra o l'
altro - che sia la donna o l'uomo che amiamo, un'amica o una donna che abita
dall'altra parte del mediterraneo - è sempre e comunque un altro mondo
rispetto a ciascuna di noi.

Scegliere di mettersi in "relazione a" significa essere donne con l'essere
donne delle "altre", individuare, di volta in volta, a seconda del "luogo" e
insieme alle "altre" il linguaggio da usare e i possibili nessi per
cominciare percorsi condivisi, per costruire insieme un mondo all'interno
del quale possano abitare tutti i molteplici mondi, dove ciascuna abbia
cittadinanza reale, compiuta e partecipata. Aborriamo i rapporti di potere
che implicano prevaricazione, confusione (nel senso di fondere insieme),
annullamento, colonizzazione, omologazione.

Vogliamo capire condividendo, attraverso l'accoglienza e la partecipazione.
Non con la presunzione di interpretare il mistero dell'altra a partire dalla
nostra cultura di donne occidentali, ma di raccoglierci dinanzi alla densità
enigmatica e inesauribile nella relazione con l'altra.

Cerchiamo altre forme di linguaggio.
Cerchiamo altre forme di abitare il mondo.
A questo punto è indispensabile inventarne di nuove, non per stabilire
ennesime categorie o modelli, ma per stimolare ciascuna a trovare un modo pe
rsonale per abitare il mondo, la propria vita.

È con l'apporto di molteplici soggettività (singole e collettive) che
possiamo costruire forme, forme e non modelli, perché la parola forma rende
efficacemente l'idea di qualcosa che può modificarsi, fluido esserci di
volta in volta.

È un percorso "eccitante". Perché la parola (e il silenzio) di una
arricchisce complicandola la parola di un'altra e di un'altra ancora,
ciascuna con la propria singolare differenza, dando vita a figurazioni
inedite.

Così abbiamo pensato a una proposta da sperimentare nei prossimi incontri
tra donne: su un tema proposto si apre uno spazio a tempo, chiamato jam
section - equivalente delle sedute dei jazzisti che si incontrano per
suonare senza spartito ma su un accordo di partenza e così creano qualcosa
di nuovo ogni volta - un'occasione per esprimere pensieri, intuizioni. Una
forma per superare il limite dei diversi linguaggi senza limiti di
linguaggio, incluso quello corporeo o vocale.
Alla fine di ogni sessione si raccoglie quello che collettivamente è stato
espresso e lo si rielabora in un contributo che verrà trasmesso al
seminario.
È una proposta per incidere sull'immaginario, per rivoluzionare le forme
della partecipazione, del consenso, dell'appartenenza, della rappresentanza
e del rappresentare.

Siamo soggettività e collettività situate multiple e differenti, osiamo
allargare lo sguardo al di là dei modelli di vita ai quali ci hanno
abituate. Esprimiamo nuovi bisogni che il modello rappresentativo
tradizionale (in crisi a causa del deficit partecipativo) è incapace d'
intercettare.
Se ci limitiamo a conservare solo i diritti esistenti corriamo il rischio di
perdere l'opportunità di pensarne nuovi.

Tenendo presente che la linea retta del pensiero occidentale limita lo
sguardo e conduce alla unicità. Ritrarre, trarre nuovamente, estrarre, far
nascere ciò che chiede una nuova nascita e l'uso di parole polivalenti e
multidirezionali "permetterà lo scoppiare del senso unico".




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