Autore: Agnese Ginocchio Data: Oggetto: [RSF] [paxchristi-giovani] TransFair News del 15 aprile 2003
> LETTERA DI PADRE ZANOTELLI AL COMMERCIO EQUO
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> lunedì 18 novembre 2002
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> Verona 11/11/2002
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> Carissimi jambo!
> E' da tempo che volevo condividere con voi la mia riflessione sul commercio > equo e solidale, che nasce da lontano, da quando, agli inizi degli anni '
> 90, avevo inviato una lettera aperta a tutti voi a questo riguardo. Nasce
> anche dal confronto serrato e prolungato negli anni con Transfair, che ha
> portato alla richiesta di togliere il mio nome da quella organizzazione; una > decisone, questa, che ha molto offeso Transfair, i cui dirigenti sostengono > che alcune centrali di importazione non si comportano in maniera molto
> differente da loro. Nasce infine da lunghe ed appassionate conversazioni con > tanti responsabili del commercio equo, nonché dalla mia esperienza diretta
> con lo stesso a Korogocho.
> Tutto questo mi ha portato a maturare una serie di riflessioni.
> Noi parliamo di commercio equo, ma siamo proprio sicuri che i nostri prezzi > siano equi? I produttori di Korogocho, per esempio, guadagnano il minimo per > poter sopravvivere. Eppure so che è stato chiesto alla cooperativa Bega Kwa > Bega di Korogocho di abbassare i prezzi. Vogliamo ridurli a prezzi da fame? > Lo stesso presidente di CTM, al suo passaggio a Korogocho, si è sentito
> rivolgere queste medesime domande, che ha inserito nella sua lettera "Dov'è > il commercio equo e solidale". Sono domande che rivolgo a tutti voi.
> Per questo mi preoccupa che il commercio equo stia lentamente entrando nei
> parametri del mercato (scelta di edifici costosi e/o di grande visibilità,
> consulenze di marketing etc.). Non si rischia così di entrare nel giro del
> business a spese dei più poveri del pianeta? Non si rischia anche di
> marginalizzare il grande perno del volontariato?
> Dopo 12 anni vissuti a Korogocho, emblema di un continente "sbolognato" e
> violentato, mi domando se anche il commercio equo stia mettendo l'Africa in > disparte a favore degli altri continenti. Forse perché è più difficile
> >lavorare con l'Africa? O è solo un'impressione mia?
> Questo mi porta ad una altra domanda: il commercio equo è veramente in
> appoggio alle strutture più povere? State almeno sostenendo seriamente quei > progetti in ambienti molto difficili, ma che proprio per questo ne avrebbero > ancor più bisogno?
> La mia impressione è che questo non avvenga.
> E siamo sicuri che il sostegno finanziario dato ai progetti vada veramente a > loro favore?
> E la scelta fatta da alcune botteghe e centrali di entrare nella grande
> distribuzione è la via migliore per aiutare i poveri? E se fosse invece un' > altra maniera con cui il mercato cerca di cooptare questa perla che è il
> commercio equo e solidale?
> Ho paura che il commercio equo abbia finito di sognare e di pensare alla
> grande.
> Ogni bottega, oltre che vendere, dovrebbe essere un luogo di ritrovo, di
> riflessione, di analisi, di cambiamento di stili di vita. Dovrebbe
> recuperare il senso della comunità, del far festa, dell'interculturalità,
> del danzare la vita. Dovrebbe essere un luogo di resistenza al sistema. Per > questo ritengo fondamentale la riflessione di S. Latouche quando afferma che > "il pericolo della maggior parte delle iniziative alternative volontarie
> infatti è quello di rinchiudersi nella fortezza che ha permesso loro di
> nascere e di svilupparsi". La conseguenza di questo è che "riuscire ad
> imporre i prodotti del commercio equo negli scaffali dei supermercati a
> fianco dei prodotti non equi non è un obiettivo in sé e va iscritto più in
> una strategia di fortezza.. E' più importante assicurarsi del carattere equo > della totalità del processo dal trasporto alla commercializzazione, cosa che > esclude in prima battuta il supermercato ed allarga il tessuto
> organizzativo". Sono parole dure di Latouche, ma non meno duro è il nostro
> Tonino Perna:
> "La sfida del commercio equo consiste non nel far entrare nel circuito della > moda i prodotti del Sud del mondo ma far diventare un bisogno la scelta
> etica del consumatore. Ciò significa che è necessario pensare più in termini > di innovazione sociale che di innovazione di prodotto".
> Per questo ritengo fondamentale che il commercio equo trovi la capacità di
> uscire dai propri circuiti e fare rete con quelle realtà locali che tentano > la creazione di spazi economici locali con mercati locali, orientati al
> bisogno, sostenibili dal versante ecologico e che promuovono il lavoro. Per > questo l'eccessivo strutturarsi del commercio equo potrebbe ucciderlo come
> movimento. Ritengo infatti importante sottolineare che il commercio equo non > è una catena commerciale, né una associazione (men che meno una mega
> associazione) ma un movimento popolare. Guai a noi se tradiamo questa
> intuizione originale!!!
> "Si tratta dunque - afferma di nuovo Serge Latouche - di coordinare la
> protesta sociale con la protesta ecologica, con la solidarietà verso gli
> esclusi del nord e del sud con tutte le iniziative associative per
> articolare resistenza e dissidenza. E per sboccare alla fine in una società > autonoma. E' così che all'inverso di Penelope si ritesse di notte il tessuto > sociale che la mondializzazione disfa durante il giorno."
> Dopo quelle splendide giornate di Firenze, queste parole diventano ancora
> più pregnanti.
> Il commercio equo e solidale è una perla preziosa. Non buttiamola via! Buon > lavoro!
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> Sijambo.
> Alex
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