[NuovoLaboratorio] Brevi considerazioni sulla guerra

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Author: Piero Sarolli
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Subject: [NuovoLaboratorio] Brevi considerazioni sulla guerra
Invio alcune schematiche considerazioni sulla guerra che sono scaturite da
una discussione tra alcuni aderenti al forum sociale.
Riteniamo che affrontare la nuova fase di mobilitazione contro la guerra 
richieda una riflessione collettiva di cui tuttavia, ad oggi, sembra non 
esistere la volontà.
Ci sembra del tutto inadeguato muoversi secondo logiche più legate alle 
contingenze della politica interna italiana che alle esigenze poste dalla 
gravità della situazione internazionale.
                                 piero sarolli



Lo scenario internazionale appare connotato da una desolante espansione di 
violenza e sopraffazione.
Tale risulta, a livelli sempre crescenti, il panorama mediorientale, tale è 
diventato, a partire almeno dall’11 settembre 2001, il panorama mondiale.
La politica estera degli Stati Uniti ha subito una svolta, imperniata 
sull’emozione degli “USA under attack”, sulla spettacolare brutalità di un 
evento epocale che tuttavia, è bene ricordarlo, rimane a tutt’oggi in larga 
misura oscuro quanto a genesi politica e dinamica fattuale, stante il 
perdurante rifiuto del governo USA di istituire una commissione d’indagine 
indipendente, richiesta in primo luogo dai parenti delle vittime.
Il concetto di “terrorismo” e l’etichetta di “terrorista” diventano 
strumenti politico morali di definizione degli avversari degli interessi 
degli USA e la “lotta al terrorismo”diventa il fondamento “giuridico” di 
scelte interne assunte in violazione dei fondamentali principi 
costituzionali e di interventi militari contro altri paesi effettuati in 
piena violazione del diritto internazionale.
Naturalmente le reali motivazioni di questa svolta vanno letti in 
riferimento agli interessi economici e strategici del complesso 
finanziario-industrial-militare che controlla l’attuale amministrazione 
Bush, già ampiamente analizzati.
“Lotta al terrorismo” è il pretesto che il governo israeliano usa per 
giustificare la propria politica di violenza e sopraffazione, “lotta al 
terrorismo”, con la poco credibile aggiunta della “caccia a Bin Laden”, 
diventa la motivazione ufficiale dell’invasione dell’Afganistan e 
dell’insediamento di un regime di occupazione privo di alcuna legittimità e 
consenso.
Colpisce particolarmente che gli USA e la Gran Bretagna, stati membri 
permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che in quanto tali hanno 
fatto sempre un uso spregiudicato delle loro prerogative, oggi, non 
riuscendo a piegare, come troppo spesso in passato, il Consiglio di 
sicurezza a coprire le loro illegalità, decidano di violare apertamente i 
principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite.
L’identificazione degli avversari degli USA e dei loro interessi con il 
“male” è il nuovo fondamento unilaterale del diritto internazionale.
L’aggressione all’Iraq viene giustificata sic et simpliciter come un’azione 
di “guerra preventiva” quindi, paradossalmente, come un’azione difensiva.
Il risultato: morti, distruzioni, sofferenze in alcuni paesi ma anche uno 
scenario mondiale dominato dall’instabilità e dall’incertezza, fratture 
culturali, contrapposizioni religiose.
Intere regioni del mondo possono ridursi come i territori occupati della 
Palestina.
Un altro paradossale risultato: l’ONU “delegittimata” ma non, come sarebbe 
giusto e doveroso, per l’incapacità a fermare l’aggressione all’Iraq 
decretando, come minimo, sanzioni nei confronti di USA e GB, ma per la sua 
incapacità a legittimare l’aggressione.
Il movimento internazionale che si è dispiegato in questi mesi contro la 
guerra all’Iraq non ha fermato l’aggressione ma ha tolto consenso e 
legittimità ai governi che l’hanno perpetrata o sostenuta.
Possiamo dire che a fronte dell’impotenza dell’ONU degli stati si è 
schierata una “ONU dei popoli” certamente più attiva ed autorevole.
Oggi, terminate, forse, le operazioni militari, le potenze sostenitrici 
dell’aggressione tentano di accreditarsi come caritatevoli mettendo in scena 
una piéce scontata quanto redditizia: gli aiuti umanitari.
Naturalmente “per motivi di sicurezza” le iniziative si svolgono sotto 
controllo militare USA
La partecipazione a queste operazioni decisa dal governo e dal parlamento 
italiano costituiscono un ulteriore avallo dell’occupazione militare 
dell’Iraq ed è pertanto ingiustificabile accettarla.
Rimane aperto il problema del ruolo dell’Europa in questo scenario.
A fronte di un pressoché unanime schieramento dell’opinione pubblica europea 
contro la guerra sono state invece evidenti le differenze tra le posizioni 
assunte dai governi. La GB è intervenuta militarmente a fianco degli USA, 
altri hanno più o meno attivamente appoggiato l’intervento, altri ancora si 
sono più o meno attivamente opposti.
Alcuni politici e commentatori auspicano che si operi per arrivare ad una 
politica estera comune dell’Unione europea e, per renderla credibile ed 
autorevole, propongono la creazione di una forza militare europea in grado 
di controbilanciare, almeno in prospettiva, quella degli USA, 
condizionandone lo strapotere oggi fondato su una enorme disparità di forze 
nei confronti del resto del mondo.
Nella sua versione “di sinistra” un’Europa forte, che sa mostrare i muscoli, 
ma “democratica” e quindi garante, seppure armata, della pace e della 
giustizia.
Riteniamo questa prospettiva errata e pericolosa per una serie di motivi che 
schematicamente elenchiamo:
-    le ingenti risorse necessarie ad un serio riarmo dell’Europa verrebbero 
inevitabilmente sottratte alle destinazioni sociali accelerando e 
giustificando la distruzione dello stato sociale (americanizzando l’Europa 
anche sul terreno sociale) creando esclusione, conflitti, insicurezza;
-    contrapporre alla potenza militare USA una forza militare europea 
contribuirebbe a ricreare una situazione di “equilibrio del terrore” che 
abbiamo già vissuto ai tempi della guerra fredda e che ci sembra improprio 
definire “pace”;
-    esiste qualche garanzia che una forza militare europea non diventi uno 
strumento di una politica “imperiale” europea?
E’ nostra convinzione profonda che l’obiettivo di costruire una pace giusta 
e duratura non possa essere posto sul terreno della politica degli stati, 
segnata inevitabilmente da logiche di potenza.
La costruzione di una pace giusta e duratura può avvenire solo attraverso la 
rimozione delle ingiustizie, la difesa e l’estensione dei diritti di tutti i 
popoli che solo lo sviluppo di un movimento internazionale può garantire.







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