Szerző: clochard Dátum: Tárgy: [Cerchio] Ridateci la nostra democrazia
Nonostante l'annacquamento riformista, mi sebra ke leggerlo valga la pena
La nostra democrazia
EDWARD SAID dal quotidiano anticomunista Il Manifesto
In un discorso al Senato il 19 marzo, primo giorno della guerra contro
l'Iraq, il senatore democratico del West Viriginia Robert Byrd ha chiesto:
«Che cosa sta accadendo a questo paese? Quand'è che siamo diventati una
nazione che ignora e rimprovera i nostri amici? Quando abbiamo deciso di
rischiare di minare l'ordine internazionale adottando un approccio radicale
e dottrinale per usare la nostra incredibile potenza militare? Come possiamo
abbandonare la diplomazia quando il mondo in tumulto la implora?» Nessuno si
è preoccupato di rispondere, ma mentre la macchina militare americana
attualmente in Iraq si muove impaziente verso altre direzioni, queste
domande conferiscono urgenza alla questione del fallimento, se non della
corruzione, della democrazia.
Analizziamo che cosa ha provocato la politica americana in Medioriente da
quando George W. Bush è al potere. Anche prima delle atrocità dell'11
settembre, Bush e il suo team avevano dato al governo di Ariel Sharon
libertà di colonizzare West Bank e Gaza, di uccidere e arrestare la gente a
suo piacimento, di demolire case, espropriare terre e imprigionare la gente
con coprifuoco e blocchi militari. Dopo l'11 settembre, Sharon ha
semplicemente accodato il suo carro alla carovana della «guerra al
terrorismo» e ha intensificato le sue scorrerie unilaterali contro una
popolazione civile indifesa e sotto occupazione, a dispetto delle
risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu che chiedono a Israele di
ritirarsi e desistere dai suoi crimini di guerra e dalle sue violazioni dei
diritti umani.
Nell'ottobre del 2001 Bush ha promosso l'invasione dell'Afghanistan, che si
è aperta con un bombardamento intensivo e dal cielo (una tattica militare
«antiterroristica» che somiglia al terrorismo ordinario nei suoi effetti e
nella sua struttura) e a dicembre aveva già insediato un regime assistito,
senza poteri effettivi oltre Kabul. Non ci sono stati sforzi significativi
da parte degli Stati uniti per la ricostruzione e sembra che il paese sia
ritornato alla sua vecchia e abietta situazione.
Dall'estate del 2002, l'amministrazione Bush ha condotto una campagna di
propaganda contro il dispotico governo dell'Iraq, e con il Regno unito - non
essendo riuscito a spingere il consiglio di sicurezza ad assecondarla - è
sceso in guerra.
Dallo scorso novembre il dissenso è scomparso dai media principali,
inghiottito da una sovrabbondanza di ex generali e da una spruzzatina di
esperti del terrorismo recente usciti dai think tank della destra di
Washington. Chi osava criticare è stato etichettato come anti-americano da
accademici mancati, elencato nei siti web come un accademico «nemico», non
allineato. Le poche figure pubbliche che criticavano hanno avuto le loro
email intasate, la loro vita minacciata, le loro idee liquidate da
commentatori mediatici eletti a sentinelle della guerra americana. Si è
pubblicato un fiume di materiale che equiparava la tirannia di Saddam
Hussein non solo al male, ma ad ogni crimine conosciuto. Alcune di queste
accuse erano effettivamente corrette, ma ignoravano il ruolo giocato dagli
Stati uniti e dall'Europa nell'aiutare la crescita di Saddam e mantenerne il
potere. L'egregio Donald Rumsfeld ha fatto visita a Saddam agli inizi degli
anni `80, garantendo l'appoggio Usa alla sua catastrofica guerra contro
l'Iran. Le corporation americane hanno fornito materiali nucleari, chimici e
biologici utilizzati nelle presunte armi di distruzione di massa, poi
opportunamente cancellati dai registri pubblici.
Tutto ciò è stato deliberatamente oscurato dal governo e dai media,
impegnati a costruire il caso per distruggere l'Iraq. Saddam è stato
accusato, senza prove o con informazioni fraudolente, di nascondere armi di
distruzione di massa considerate una minaccia diretta agli Stati uniti. Le
terribili conseguenze dell'intervento anglo-americano in Iraq stanno
cominciando ad emergere, con la calcolata distruzione delle moderne
infrastrutture del paese, il saccheggio di una delle civiltà più ricche del
mondo, il tenativo di rimettere in gioco «esuli» buffoni abbinati alle
corporation, nella ricostruzione del paese, e con l'appropriazione del suo
petrolio e del suo destino. E' stato ipotizzato che Ahmad Chalabi, per
esempio, potrebbe firmare un trattato di pace con Israele: difficilmente è
un'idea irachena. E la società Betchel si è già assicurata un contratto
enorme.
Siamo di fronte al quasi totale fallimento della democrazia: la nostra, non
quella irachena. Si dice che il 70% degli americani sostiene tutto questo,
ma non c'è nulla di più manipolato di sondaggi che chiedono a 465 americani
«se sostengono il nostro presidente e le truppe in tempo di guerra». Come ha
detto il senatore Byrd, «c'è un senso diffuso di fretta e di rischio, e
troppe domande senza risposta. Un manto è sceso sopra il Senato. Stiamo
evitando il nostro dovere solenne di dibattere l'argomento principe nelle
menti di tutti gli americani, anche quando decine di nostri figli e figlie
stanno facendo il loro dovere in Iraq».
Sono convinto che questa sia stata una guerra truccata, inutile e
impopolare. Le istituzioni reazionarie di Washington che hanno generato
Wolfowitz, Perle, Abrams e Feith rappresentano un'atmosfera morale e
intellettuale insalubre. Documenti politici girano senza una reale
revisione, fatti propri da un governo che richiede giustificazioni alle sue
politiche illecite. La dottrina della prevenzione militare non è mai stata
approvata dagli americani o dai loro rappresentanti. Come possono i
cittadini ribellarsi alle lusinghe offerte al governo da compagnie come
Halliburton e Boeing? L'individuazione di una via strategica per
l'establishment militare più molle della storia è lasciata in mano a gruppi
di pressione ideologici (cioè a leader fondamentalisti cristiani), a ricche
fondazioni e lobby private come Aipac, l'American-Israel Public Affairs
Committee. Sembra così enormemente criminale che parole importanti come
democrazia e libertà vengano espropriate, usate per mascherare devastazioni,
occupazioni di territori e mire egemoniche. Il programma statunitense per il
mondo arabo è diventato lo stesso programma di Israele. Assieme alla Siria,
l'Iraq rappresentava una volta l'unica seria minaccia militare per Israele e
per questo doveva essere eliminata.
Inoltre, che cosa significa liberare e democratizzare un paese quando
nessuno ti ha chiesto di farlo e quando, in questo processo, lo occupi
militarmente senza essere in grado di preservare la legge e l'ordine? Quale
inganno della pianificazione strategica è quello per cui si dà per scontato
che i «nativi» saluteranno con gioia la tua presenza dopo che li hai
bombardati e tenuti in quarantena per tredici anni.Una ridicola idea sulla
beneficenza americana si è impadronita di ogni singolo livello dei media.
Scrivendo di una vedova settantenne di Baghdad che gestiva un centro
culturale nella sua casa distrutta dai raid americani e che adesso è
furibonda, il giornalista del New York Times Dexter Filkins implicitamente
la castiga per la sua «vita confortevole sotto Saddam Hussein», e piamente
disapprova la sua tirata contro gli americani, «e da una laureata alla
London University».
Aggiungendo alla frode delle armi di distruzione di massa non trovate le
Stalingrado che non ci sono state, non sarei sorpreso se Saddam fosse
scomparso repentinamente grazie ad un accordo fatto a Mosca per lasciare che
lui, la sua famiglia e i suoi soldi se ne andassero in cambio del paese. La
guerra era andata male per gli Usa al sud, e Bush non poteva rischiare lo
stesso a Baghdad. Il 6 aprile, un convoglio russo che si apprestava a
lasciare l'Iraq è stato bombardato. Condi Rice è apparsa in Russia il 7
aprile. Baghdad è caduta il 9 aprile.
Ciononostante gli americani sono stati ingannati, gli iracheni hanno
sofferto incredibilmente e Bush assomiglia ad un cowboy. Su questioni di
enorme importanza sono stati violati principi costituzionali e si è mentito
all'elettorato. E' a noi che devono restituire la democrazia.