Auteur: Paola Manduca Date: Sujet: [NuovoLaboratorio] Fwd: [fermiamolaguerra] Riflessioni su
manifestazione 12 aprile
>condivido e ve lo inoltro da milano
come va alla "nuova sede " di via milano???
un abbraccio
pm
>RIFLESSIONI DOPO LA MANIFESTAZIONE DI SABATO 12 APRILE
>
>La manifestazione del 12 aprile ha dimostrato ancora una volta la forza
>e lo spessore di quanto il movimento contro la guerra è riuscito a costruire
>in questi mesi. Lo dimostrano le centinaia di migliaia di persone venute
>in piazza a Roma (risultato per nulla scontato) e lo straordinario fatto
>che nessun italiano ha ritirato le bandiere dai balconi : il segno che il
>messaggio che la guerra non è finita e che non è un incidente di percorso
>è in qualche modo passato fra la gente.
>Per contro, è innegabile come la conquista dell'Iraq abbia altresì dimostrato
>che, se è vero che il modello neoliberista è in crisi (vince militarmente
>perchè non convince politicamente) è altrettanto vero che il dominio militare
>che può esercitare è senza limiti. Siamo di fronte ad una nuova colonizzazione
>del pianeta, con un tentativo di ridisegno militare degli equilibri geopolitici,
>con una guerra senza confini per il prelievo delle energie fossili residue
>in attesa dell'accaparramento delle nuove materie prime (acqua, genoma,
>specie viventi) in via di totale privatizzazione, grazie al WTO e alle politiche
>neoliberiste.
>Questi elementi pongono all'insieme del movimento un problema di non poco
>conto: rischiamo l'impotenza (la guerra non si è fermata) proprio nel momento
>in cui è evidente la nostra forza e la nostra capacità di allargamento.
>Come essere incisivi e come valorizzare la maggioranza culturale che in
>questo paese si è espressa e mobilitata come mai prima d'ora contro la guerra,
>in un momento in cui tutti gli spazi di mediazione sono chiusi, perchè il
>modello neoliberista non se li può permettere?
>
>E' un problema reale, che collettivamente dobbiamo affrontare. Ed è alla
>luce di queste considerazioni che va affrontato quanto successo dentro il
>corteo del 12 aprile, laddove una parte del movimento dei disobbedienti
>ha praticato le azioni dirette di danneggiamento dei bancomat lungo il percorso,
>rompendo consapevolmente il patto interno che il movimento si era dato da
>Genova in avanti.
>Trovo politicamente grave e sbagliata questa scelta, ma non vorrei che fosse
>discussa ancora una volta astrattamente in termini di violenza/non violenza.
>Non mi interessa discutere con il bilancino se la vernice rossa sulle banche
>sia accettabile, mentre la rottura delle vetrine sia condannabile.Non provo
>emozioni per i bancomat, nè mi interessa come risultato di un corteo che
>tutti ci si sia narcisisticamente comportati bene;non sono neppure d'accordo
>a "banalizzare" la questione, riducendola ai "soliti personaggi in cerca
>d'autore". Sono tutti elementi veri, ma che rischiano di oscurare la questione.
>La scelta di chi ha praticato le azioni dirette durante la manifestazione
>è politica: ha a che fare con l'idea che il movimento abbia fallito nell'obiettivo
>di fermare la guerra, e con la considerazione che, di fronte al dominio
>militare assoluto degli Usa, nulla più contino le maggioranze culturali
>e le opinioni pubbliche, ma che occorra praticare la rivolta (il riot organizzato).
>Questa credo sia la questione e su questa credo occorra aprire la discussione
>.
>Personalmente, considero reale il fatto che tutti gli spazi di mediazione
>siano chiusi; è del resto questo il senso del binomio lotta alla guerra/lotta
>al neoliberismo che è l'elemento costitutivo del movimento. Ma proprio perchè
>gli spazi sono chiusi e l'avversario utilizza come unico argomento la forza
>militare, la risposta non può essere il radicalismo comportamentale (sono
>più radicale perchè spacco una vetrina). Era d'altronde questa (o sbaglio?)
>l'elaborazione che aveva portato le ex-tute bianche dopo Genova a divenire
>movimento dei disobbedienti.Teatralizzare il conflitto (protezioni,armature
>etc.) di fronte ad un avversario che il conflitto lo agisce realmente, aggredendo
>e sparando nelle piazze, non aveva più senso politico. Occorreva praticare
>la disobbedienza civile, sociale e di massa. Credo fosse un'acquisizione
>importante, anche se, a mio avviso, troppo spesso giocata quasi solo mediaticamente
>e non come costruzione di conflitto nei territori.
>Bene, credo che le "azioni" del 12 aprile facciano arretrare di un paio
>d'anni questa riflessione politica, rischiando di farla divenire parodia
>(francamente, chi può sostenere che la rottura di una decina di bancomat
>sia la nuova "rivolta dal basso" contro la guerra preventiva permanente?).
>
>Ma ci sono due ulteriori elementi, per cui considero sbagliata quella scelta.
>Il primo è relativo al fatto che chi teorizza quella scelta, sta contemporaneamente
>dicendo che l'unità nella radicalità non è più un obiettivo del movimento.
>Dopo vent'anni di ubriacatura neoliberista, in cui ci avevano sempre spiegato
>che per essere uniti occorreva essere omologhi e moderati, questo movimento
>ha dimostrato che allarga il suo consenso proprio continuando ad essere
>radicale e plurale. Buttare a mare questa acquisizione non mi sembra un
>grande risultato politico.
>Infine, io credo che, dentro quelle azioni, ci sia una sbagliata idea di
>cosa voglia dire aumentare la radicalità e il conflitto (attenzione, non
>è per me un problema di legalità o illegalità, che sono sempre dei precipitati
>storici, dunque modificabili). Questo movimento ha bisogno di più disobbedienza
>( e la articolazione del trainstopping credo ne sia il miglior risultato)
>praticata da tutti, di più radicalità nei contenuti concreti delle sue
>lotte (dall'estensione dei diritti,alle privatizzazioni,alla cittadinanza),
>e di più radicamento nei territori.
>Un lavoro lungo e determinato, non la scorciatoia di una vetrina in cui
>specchiarsi narcisisticamente.
>
>Marco Bersani ATTAC
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