[Cerchio] I contorsionismi di Adriano Sofri

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著者: clochard
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題目: [Cerchio] I contorsionismi di Adriano Sofri
Trotzky, pretesto irreale per schierarsi con Bush
      I contorsionismi di Adriano Sofri
      Salvatore Cannavò


      Ci sono giorni in cui le provocazioni, anche per chi si dispone ad
accettarle senza pregiudizi, superano di gran lunga la sopportazione. Quella
di Adriano Sofri, consegnata ieri a un'intera pagina di Repubblica, sul
"Trotzkysmo armato che anima la Casa Bianca" (sì, avete letto bene) rientra
fra queste. In un mini-saggio, dedicato alla guerra e al suo contrario,
Sofri immerge la propria intelligenza in una serie infinita di contorsioni
stilistiche e di arrovellamenti sofferti che nascondono in realtà
un'ambiguità e un'ipocrisia di fondo.
      Scartato il paragone tra il nuovo unilateralismo degli Stati Uniti e
l'esportazione della democrazia di stampo napoleonico - non perché
all'amministrazione Usa manchino le ali della rivoluzione francese, quanto
perché a Bush manca quel «carrierismo provinciale intenzionato a guadagnarsi
un'arciduchessa» che è per Sofri elemento «centrale» dell'interpretazione
napoleonica - si privilegia il paragone con Trotzky.


      Il quale subirebbe una «nemesi» particolare: la sua «eterodossia
spietata e autoritaria» rivela «l'intenzione rivoluzionaria della politica
americana dopo l'11 settembre» (frase piuttosto enigmatica e mai
argomentata). Il nesso - Sofri lo deduce da Mario Pirani, al quale si è
ispirato - sta in quell'«iperpotenza rivoluzionaria della rivoluzione
democratica» incarnata dagli Usa, parente stretta della rivoluzione
permanente ideata dal rivoluzionario russo. La «nemesi» per dirla alla Sofri
è che, colui che ha combattuto il «socialismo in un paese solo» (e i crimini
di Stalin) oggi può essere considerato tra gli ispiratori della rivoluzione
esportata con le armi. In realtà si fa finta di ignorare che Trotzky, anche
al culmine della sua «passione per la forza armata» (così la definisce
Sofri), ha lavorato sempre e solo per difendere la rivoluzione russa
dall'assalto esterno e non ha mai organizzato, né teorizzato,
l'espansionismo sovietico, prerogativa esclusiva del suo storico avversario,
alfiere del socialismo in un solo paese, alla cui difesa occorreva la
conquista. Altro che nemesi, siamo nel pieno di una volgare mistificazione!


      Ma non è questo il punto di polemica. La provocazione di Sofri, per
quanto fastidiosa, mira ad altro. Ed è quest'altro - non la memoria di
Trotzky, che pure ci preme - che va messo a fuoco.


      Come si fa, infatti, ad affermare tranquillamente che «di tutte le
definizioni di rivoluzione possibili, quella di un interventismo chirurgico
è delle meno approssimative»? E che è proprio questa «la causa
dell'imbarazzo estremo che provoca nelle menti di tutte le sinistre»?


      Bush, secondo Sofri, ci superebbe tutti a sinistra perché esporta la
democrazia, perché incide «chirurgicamente» sulla realtà sociale, perché
padroneggia meglio della sinistra il campo dei fini, mentre questa è
trincerata sul fronte dei mezzi, frenata dalla «zavorra» del proprio
pacifismo «assoluto, frettoloso e ideologico», fatto di «senza se e ma», di
«feticismi» come l'autodeterminazione, l'Onu o gli ispettori. Una sinistra
condannata al «fare da sé», nonostante il movimento «prima no e poi
neoglobal» avesse praticato «l'assalto impetuoso ai fortilizi dei potenti e
alla povertà». Il ripudio della guerra, il rifiuto di interventi
"umanitari", «l'Italia fuori dalla guerra, la guerra fuori dall'Italia»,
agli occhi dell'ex fondatore di Lotta continua appaiono una specie di
«autismo», una «devozione allo status quo» «un chiamarsi fuori» che il
nostro autore respinge fermamente.


      E allora, il punto sta qui, come tanti altri esponenti della sinistra
sedicente liberale - basta leggere gli editoriali del Riformista, le
interviste di D'Alema; ma è sufficiente leggere la mozione dell'Ulivo -
anche Sofri non riesce a dire quello che vorrebbe dire: che la guerra
americana tutto sommato non è stata così male, che la democrazia si porta in
giro anche così, con le bombe intelligenti e i massacri dei civili; che se
grattiamo sotto la crosta, in fondo l'intervento in Iraq non è stato meno
"umanitario" di quello in Kosovo. Insomma, la guerra può essere progressiva
anzi, meglio, «rivoluzionaria».


      Liberissimo Sofri di pensarla così, ma che c'entra Trotzky? C'è
proprio bisogno di costruire un pretesto irreale utilizzando il «profeta
disarmato» per arruolarsi con Bush? Spettacolo piuttosto penoso. A meno che,
stalinisti fuori tempo massimo, non si voglia affondare l'ultimo colpo verso
chi ha dovuto sopportare, fino a pagare con la vita, accuse e attacchi ben
più pesanti. Del resto, gli stalinisti di una volta dicevano che i
trotzkysti erano "pagati dalla Cia". Cosa c'è di più perfido che metterli, i
trotzkysti, direttamente al comando della Casa bianca?