[Cerchio] Ancora su Enrica Collotti Pischel

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Author: clochard
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Subject: [Cerchio] Ancora su Enrica Collotti Pischel
da Liberazione

      Intervista a Renata Pisu, giornalista scrittrice e studiosa di cultura
cinese
      Una rigorosa militante
      Tonino Bucci
      Un ritratto di Enrica Collotti Pischel dopo la sua scomparsa
      «Il lato più interessante della sua biografia umana e intellettuale è
il ruolo di grande maestra, la dedizione nei confronti dei giovani studenti,
il rigore teorico accompagnato però sempre a una passione militante». Enrica
Collotti Pischel, docente universitaria e grande studiosa della rivoluzione
cinese scomparsa venerdì a Milano all'età di 73 anni, è ricordata così da
un'altra appassionata esperta della cultura cinese, la giornalista e
scrittrice Renata Pisu. E' soprattutto la capacità di tenere assieme
l'aspetto politico e militante con il rigore teorico dello studio a
rappresentare, nelle parole di Renata Pisu, «una condizione ideale alla
quale l'intellettuale dovrebbe sempre tendere».


      Quanto è importante il coinvolgimento emotivo nei riguardi
dell'oggetto dei propri studi?


      Per me è la condizione ideale, dovrebbe essere l'ideale, almeno per
quanto riguarda gli studi non tecnici, le discipline sociali, umanistiche,
storiche. Durante gli anni della guerra del Vietnam circolava il termine
inglese concerned che ricorda il francese engagé. Tutti i grandi accademici
che si dichiaravano contro la guerra a favore della causa del popolo
vietnamita - a partire dagli accademici delle università americane - erano
militanti e concerned. Anche fra i sinologi, a partire dal '68 fino alla
morte di Mao e all'esaurirsi dell'entusiasmo rivoluzionario, c'erano molti
giovani che nei convegni internazionali rompevano con la maniera di parlare
della Cina dei sinologi tradizionali. Era una presa di distanza da un filone
di studi che si soffermavano su un particolare, su un poeta della dinastia
Ming o su una statua Tang, sempre come se si trattasse di una civiltà morta.
Portavano avanti il diritto di studiare la Cina come società viva e in
evoluzione, abolendo quel distacco della vecchia sinologia.



      Fino agli anni '50 c'era una percezione della Cina che non andava al
di là della categoria dell'esotismo. Quanto è stato innovativo il ruolo di
Enrica Collotti Pischel?


      Il ruolo della Pischel fu fondamentale nel far conoscere una Cina
della quale non si sapeva assolutamente niente. Il comunismo cinese sembrava
venuto fuori dal nulla, Quando Mao prese il potere nel '49 tutto era avvolto
in una nube d'incertezza. Lei con i suoi studi e la sua perseveranza tirò
fuori un testo fondamentale, credo che fosse la sua tesi di laurea, Le
origini ideologiche della rivoluzione cinese (pubblicato per Einaudi nel
1958, Ndr). Pischel interpretò quella rivoluzione come un processo innescato
dal leninismo e dai cannoni della rivoluzione d'Ottobre piuttosto che dal
Capitale di Marx.



      Lo stesso movimento comunista internazionale era diviso sulla maniera
d'interpretare la storia novecentesca della Cina...


      Nel Komintern ci fu una grossissima disputa negli anni '20, se vedere
la rivoluzione cinese come una rivoluzione urbana - questa era la posizione
di Trosky - oppure no. La lettura di Pischel è che si trattasse di una
rivoluzione contadina poiché mancava una vera e propria classe operaia.



      Si può rintracciare nella biografia intellettuale della Pischel la
stessa evoluzione di altri intellettuali italiani che, dopo un periodo di
entusiasmo rivoluzionario per la Cina, sono rifluiti nella disillusione?


      Sì, ma nella misura in cui l'entusiasmo per la Cina ha rappresentato
per un certo periodo un motivo di contrapposizione all'Unione Sovietica.



      D'altra parte, è vero anche che l'interesse per la Cina non è mai
venuto meno negli studi di Pischel tanto da non sottrarsi mai al confronto
con i fatti e sul terreno della realtà. Non crede?


      Ultimamente intepretò la Cina alla luce non più dell'ideologia ma di
una cultura e di una specificità che era stata un po' trascurata. Persino i
cinesi che si vantano dei loro cinquemila anni di storia - in realtà sono
tremila - l'hanno trascurata, non soltanto all'epoca della rivoluzione
culturale ma tuttora. Che qualcuno - che aveva in passato percorso il filo
ideologico della liberazione dei popoli - vada ora a cercare le radici poco
conosciute mi sembra un fatto positivo.



      Nel suo ultimo volume, "La Cina. La politica estera di un paese
sovrano", uscito pochi mesi fa, la Pischel scelse come oggetto di ricerca la
politica cinese in ambito internazionale, ragionando non tanto su
presupposti ideologici ma su elementi oggettivi come lo sviluppo economico e
la difesa della sovranità...


      Credo che la politica estera cinese attuale sia difficilissima. Ha i
numeri, una popolazione enorme, le armi atomiche, ma non cerca il ruolo di
superpotenza. Al massimo, vuole affermarsi come potenza regionale.



      Si deve aggiungere, poi, che nello scenario mondiale inizia ad
emergere una contrapposizione strategica tra Stati Uniti e Cina, che oscilla
tra tensioni e parziali ricomposizioni...


      Negli ultimi due anni si è ammorbidita con tutto quello che è
accaduto, però resta un argomento da approfondire.



      Un altro aspetto di Enrica Collotti Pischel è la passione della
docenza, la dedizione nel seguire gli studenti...


      E' raro che si trovino dei docenti con questa dedizione. Nei confronti
degli studenti e di quanti seguivano i suoi corsi aveva un atteggiamento di
"chiocciola", un grande rigore morale ed etico. E' la figura della maestra e
dell'educatrice che mi interessa della storia della Pischel. Questa spinta a
coinvolgere gli altri la portava, a volte, anche ad esporsi, a differenza di
molti studiosi non militanti che esitano a prendere posizione nella paura di
sbagliare. Quando si fa opera di militanza si corre il rischio di essere
rimproverati da un punto di vista accademico per un giudizio affrettato,
pronunciato sull'onda dei fatti. Cercava di spiegare i fatti utilizzando
tutte le basi teoriche possibili ma all'interno di una volontà militante.



      Del ruolo in Italia abbiamo già parlato. Quanto esteso era il
riconoscimento della Pischel in campo internazionale?


      Si commette un errore quando si definisce Pischel una sinologa. Già il
termine è vecchio, indica lo specialista della vecchia Cina. Inoltre, è
convenzione che il sinologo appartenga a quella casta di studiosi che
conosce la lingua dopo averla studiata per anni. Chi invece - come Pischel -
non l'ha fatto, ma si è dedicato allo studio della storia, non è sinologo.
Piuttosto, lei era una studiosa di Cina. Perciò il suo riconoscimento
internazionale è arrivato in Francia più come militante che come
specialista, databile soprattutto alla fine degli anni Sessanta in pieno
fervore politico. Ci sono gli studiosi specialisti che si concentrano su un
aspetto o un periodo particolare, ma ci sono anche, come Pischel, le figure
portatrici di un entusiasmo e un coinvolgimento sulle basi più rigorose ma
anche politiche. Ed è questo che non la rendeva noiosa.