[NuovoLaboratorio] qualche riflessione da enrico euli

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Szerző: deb
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Tárgy: [NuovoLaboratorio] qualche riflessione da enrico euli
mando le riflessioni che Enrico Euli ha inviato al comitato nazionale
fermiamo la guerra
perche' possano contribuire ad un dibattito proficuo e fuori dagli schemi
obsoleti e stanchi delle reciproche appartenenze
deborah lucchetti
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credo che abbiamo molto da imparare da tutto quel che è successo nella
giornata di ieri...
come avrete notato non sono stato presente agli ultimi quindici giorni di
riunioni del Comitato: da un lato perchè non mi trovavo a Roma, ma
dall'altro perchè ho proseguito a manifestare il mio dissenso non
collaborativo rispetto alla scelta, in questa fase, di
riproporre la forma-corteo.
Poichè ognuno trova conferma ai suoi preconcetti, alcuni di voi mi diranno
che la manifestazione di ieri è andata bene e che è stato un bene farla. Io
sono stato con voi, anche ieri sul palco, perchè avete fatto ancora una
volta un gran lavoro e ve ne sono grato. Ma continuo a pensare che potevamo
fare molte altre cose, con quelle stesse energie, ben più interessanti e
significative di un ennesimo corteo per la pace.
I motivi di questo forte dissenso sono vari e credo motivati, soprattutto
alla luce (o al buio) di quel che è accaduto ieri.

1. Abbiamo già ampiamente esercitato tutte le forme possibili di dissenso e
di protesta (petizioni, marce, azioni di lobbing, azioni simboliche...),
senza essere ascoltati. Se l'avversario non cambia, anzi prosegue, fa la
guerra e va avanti comunque, la nonviolenza mi dice che è decisivo e
necessario iniziare a sanzionarlo dal basso, passare a forme di
disobbedienza e rifiuto più indignate e radicali e farle diventare pratiche
collettive e diffuse.
Se il Comitato non fa questa scelta, ora, e continua a considerare centrali
le iniziative del primo livello si condanna alla divisione interna e
all'impotenza esterna.

2. Sull'impotenza esterna, non mi dilungo, è evidente da quel che accade: la
guerra è in corso, dicono che è finita, la proseguiranno al'infinito. Su
questo, a breve termine, siamo stati ancora una volta sconfitti.
Non casualmente: la guerra, una volta che si prepara, si fa.
E la preparazione non è iniziata sei mesi fa: è iniziata nelle fabbriche
d'armi, nei trattati militari, nei programmi politici dei partiti e delle
multinazionali finanziarie.
Se vogliamo fermare la prossima guerra, dobbiamo
-lottare contro la guerra quando non c'è (o meglio: non si vede);
-lottare da subito con uno spettro d'azioni più ampio (non solo bandiere ai
balconi e cortei...).

3. Sulla divisione interna, voglio invece dire qualcosa di più.
Credo nel valore positivo dei conflitti, se ben gestiti. Non coltivo il mito
dell'unità ad ogni costo.
Ma credo che ieri (e, per quel che so, nelle discussioni avvenute
ultimamente al Comitato) si siano messe le basi per la crisi del valore
fondamentale del nostro tentare di stare insieme: una reale e insistente
voglia di contaminarsi e di ibridarsi nelle pratiche d'azione politica.
Attenzione: se saremo capaci di proporre e di considerare centrali soltanto
pratiche non-violente generiche (antiviolente, ma inadeguate al livello
attuale della lotta: riproposizione rituale di cortei, azioni di lobbing
istituzionale, proteste simboliche, colorate e carine...), noi stiamo
contribuendo a creare le condizioni per il risorgere di una cattiva
reciprocità: il riproporsi immediato di azioni aggressive e distruttive, che
canalizzano negativamente una rabbia sociale comprensibile ed esplosiva.
I disobbedienti hanno fatto tanto in questi ultimi anni per trasformare
creativamente le tradizioni dell'antagonismo sociale e politico in Italia.
Grandi passaggi stanno avvenendo nelle teorie e nelle pratiche delle
organizzazioni della sinistra. Nuove sensibilità e reazioni nel mondo
religioso.
Ma ora, se i lillipuziani e l'associazionismo esteso non assumono con più
coerenza, completezza e radicalità la pratica dell'azione nonviolenta, tutta
questa crescita potrebbe rivelarsi vana e si andrà di certo verso una
regressione interna ed una crescita della repressione.

Quindi mi sento di dover lanciare subito un triplice appello:
-ai nonviolenti persuasi, di accrescere i loro sforzi -ancora molto
inadeguati- per arricchire con le loro competenze ed esperienze il confronto
e la formazione all'interno del movimento;
-ai non-violenti/antiviolenti di assumersi maggiormente la responsabilità di
una
nonviolenza attiva ed integrale, capace di lottare davvero contro la guerra
e di proseguire a sperimentarsi su pratiche non abituali;
-ai disobbedienti a non rassegnarsi e a non richiudersi nell'aggredire
disperato, a non farsi riprendere dalla falsa trasgressione dei codici
'militari', a continuare ad arricchirci e a provocarci, a collaborare e a
non isolarsi.

Se queste tre cose (ma tutte...!) accadranno, stare insieme avrà ancora un
senso e ci
potremo ancora opporre davvero alla guerra infinita.
Se non accadranno, ognuno riprenderà, da solo, a confidare più o meno
tristemente soltanto nel suo dio.
Nelle sue cripte, sotto le bombe.

Quando ci si rivede ?

ciao
enrico euli






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