La bottiglia e l'indifferenza sono i nostri tomahawk
di Der Kaiser
Storia di Agnese: uno dei tanti casi di emarginazione per le vie di Roma
Agnese va a morire. Da sola. E un intero rione di Roma si dispera.
Agnese è una signora di 42 anni, bella, colta e alcolizzata. Agnese vive per
strada. La sua casa è il marciapiede di via della VII Coorte, una traversa
di viale Trastevere.
È rimasta lì, sdraiata per terra, per una settimana: un mucchio di stracci e
di coperte tra bottiglie vuote e cartacce. Poi qualcuno se l'è portata via.
Quando i commercianti hanno aperto i negozi, Agnese non c'era. "Abbiamo
chiamato più volte l'ambulanza. Ma Agnese rifiutava le cure mediche", dice
un barista. "Ripeteva che non se ne sarebbe andata con sconosciuti. Al
limite solo con quelli che lei chiama 'vicini di casa'. Cioè noi. Però non
si è fatta convincere. Uno psichiatra ha sentenziato che non era il caso di
sottoporla a trattamento obbligatorio", aggiunge una fioraia.
Una decisione avventata, secondo i trasteverini: "Agnese è alla fine. Non
cammina più, vomita liquidi di continuo e ha la faccia gonfia", dicono
preoccupati.
Il tono è quello di chi sta perdendo un'amica. Di più: una sorella. O una
figlia, adottata fin dal 1993 quando ci fu la sua prima segnalazione a
Trastevere. Veniva da Lecco e prima di finire per strada faceva l'infermiera
a Milano. Colpì tutti per la sua bellezza e "perché sapeva parlare bene",
come dice chi l'ha conosciuta. In breve divenne la mascotte del rione.
Chi le dava un piatto di minestra, chi un maglione caldo. Ma Agnese beve.
Troppo. Alcuni baristi, per il suo bene, sono arrivati a rifiutarle l'
alcool.
All'inizio dormiva in un vecchio "Ape", poi, in una rudimentale capanna. Il
generale inverno aveva avuto la peggio anche quest'anno ma proprio all'
inizio della primavera Agnese è peggiorata. Consumata dall'etilismo.
Nemmeno l'amore l'ha salvata dalla bottiglia. Un sentimento nato nel mondo
dei disperati: Nando, un sardo che vende caldarroste davanti a un cinema
vicino, è il suo uomo. Forse non più: quando poche notti fa un amico ha
provato a svegliarla per sapere come stava e di che cosa avesse bisogno, era
sola. Non ha risposto, Agnese. Solo un gemito.
Il consiglio è stato di lasciar perdere, l'indomani qualcuno sarebbe
intervenuto. Difatti, dopo poche ore, il marciapiede era vuoto. Ora tutti si
chiedono dove è finita Agnese. Al cimitero? All'ospedale? E quale dei tanti?
Il San Giacomo? Il Fatebenefratelli? Il Regina Margherita?
"Ci dispiace tanto perché è una brava persona, non ha mai dato fastidio a
nessuno. Certo, qualche volta le sue condizioni igieniche hanno imbarazzato
i commercianti, ma alla fine tutti chiudevano un occhio e sopportavano la
presenza di una, una come lei".
No, "barbona" è una parola che non esce dalle bocche dei trasteverini.
Perché qui Agnese è Agnese. Una de' noantri.
Der Kaiser
P.S.: La storia di Agnese è solo uno dei tanti casi di emarginazione che si
incontrano per le strade della capitale. I nuovi poveri a Roma sono in
aumento e non sempre si tratta di extracomunitari.
Le associazioni di volontariato come la Comunità di Sant'Egidio e i City
Angels fanno quello che possono ma la situazione rischia di diventare
esplosiva nel giro di qualche anno. Al fenomeno sono legate preoccupazioni
da "buoni borghesi" - riguardo la criminalità, l'igiene e il decoro - e
interrogativi che chiunque sia dotato di un minimo di sensibilità - laica o
religiosa che sia - non può non porsi. Autenticamente, spontaneamente: l'
indignazione a comando è sempre sgradevole. Assomiglia a un ripulirsi la
coscienza.
Più o meno è quel che succede in questo momento, con i mass media impegnati
a convogliare le nostre emozioni verso i moncherini di Bagdad o verso i
giovani ispanici dell'esercito americano, morti con il sogno della
cittadinanza e per una bandiera a stelle e strisce sulla bara.
barbiere della sera