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Aihe: [Cerchio] La ragione e la forza (volantino distribuito il12 aprile)
LA RAGIONE E LA FORZA.
IL MOVIMENTO CONTRO LA GUERRA A UN BIVIO.

"Ce l'abbiamo fatta!". Così gridano le forze
angloamericane, soddisfatte dell'impresa. Ci si
inorgogllisce per aver ulteriormente devastato un
paese già sottoposto ad un'altra tempesta di fuoco
(nel '91) e affamato da anni di embargo. Di più, si
mena vanto per aver vinto -peraltro non
definitivamente- una guerra di conquista segnata da
una sproporzione di forze incredibile. Non c'è da
sorprendersi. L'arroganza è naturale in un momento in
cui -al di là della odiosa solfa suglli yankee che
portano la libertà dove non c'è- i motivi della guerra
vengono esibiti senza pudore.
Non si parla forse di una "transizione irachena alla
democrazia" gestita direttamente dai vincitori? Da
tempo non si propugnava una politica così
smaccatamente colonialista. Il punto è che agli USA
serve un avamposto per nuove imprese militari. Essi
non vogliono fermarsi a Baghdad e, in tal senso, hanno
già provveduto a minacciare Siria e Iran. Attraverso
la loro forza militare, gli States vogliono imporre un
nuovo ordine al Medio Oriente, al fine di indebolirvi
la presenza di altre potenze. Si pensi all'oro nero.
Per gli USA non si tratta solo di appropriarsene
direttamente, ma anche di controllarnele rotte, per
decidere chi vi possa accedere. Ma non c'è solo
questo. Washington ritiene decisivo impedire che
l'EURO diventi moneta di riferimento per il Medio
Oriente, nonchè attaccare gli interessi vitali della
Russia, che sta aiutando l'Iran a definire il suo
programma di armamento nucleare. Ciò che colpisce, in
questa situazione, è che i progetti americani non
sembrano trovare un argine.
Che fare dunque? C'è chi richiama il movimento contro
la guerra al realismo. Si dice che esso per incidere,
debba convergere su un obiettivo concreto, sostenendo
l'Europa. Si sostiene che solo una UE più unita e
rafforzata possa rappresentare un freno allo
strapotere yankee.
Ma il movimento può fare propri questi discorsi?
Evidentemente no. Il superamento delle divisioni in
seno all'UE, non porterebbe a quella Europa sociale
che molti velleitariamente auspicano. Lo dimostra il
dibattito attuale. Francia, Belgio e Germania stanno
spingendo per la realizzazione di una difesa comune
europea. Ma l'attuazione di questo progetto porterebbe
con sè un vertiginoso aumento delle spese militari a
scapito di quelle sociali. Il rafforzamento dell'UE lo
pagherebbero anzitutto coloro che già vivono una
condizione di precarietà. E non solo. L'esercito
europeo servirebbe a condividere -su un piano di
parità- nuove imprese belliche con gli USA,
riservandosi di agire per proprio conto laddove gli
interessi UE non risultino ricomponibili con quelli
yankee. Si verrebbe a delineare, quindi, un autentico
imperialismo europeo, sul modello di quello che la
Francia già esercita in Africa. Parigi, infatti, è
coinvolta in più d'una delle guerre che dilaniano quel
continente. In Costa d'Avorio -in occasione dello
scoppio di una crisi interna- è intervenuta
militarmente, giungendo sino ad imporre una nuova
compagine governativa. Nella Repubblica Democratica
del Congo -in uno Stato ricco di risorse minerarie e
colpito da una guerra che coinvolge diversi paesi
africani- la Francia sostiene alcune fazioni in lotta,
significativamente avverse ad altre appoggiate dal
colosso americano. Proprio quest'esempio rivela che lo
scontro in atto per il controllo dei mercati e delle
fonti di ricchezza si estende ben oltre lo stesso
Medio Oriente.
In tale contesto, il movimento non può seguire un
"realismo" che lo porterebbe a sostenere una potenza
contro un'altra. Esso deve invece compiere un salto di
qualità, legandosi più nettamente alle lotte sociali.
Alle lotte che, nel cosiddetto "Occidente sviluppato",
invocano la fine della precarietà e a quelle che, nei
paesi-satellite del sistema capitalistico mondiale,
combattono uno sfruttamento che s'approssima alla
schiavitù. Gli effetti del realizzarsi di questo
passaggio sarebbero dirompenti. Il movimento userebbe
meglio la sua forza, quella che ha saputo far
mobilitare attorno al rifiuto della guerra le piazze
di tutto il mondo, creando le basi oggettive per
l'unità, su scala planetaria, tra gli sfruttati.
Un'unità che, nelle nostre metropoli, possiamo
iniziare a cementare nella quotidianità, nell'azione
comune con gli/le immigrati/e, con chi -nella sua
terra d'origine- ha assaporato gli amari frutti
dell'imperialismo, confrontandosi col volto più feroce
del sistema economico che domina il pianeta.


Corrispondenze metropolitane - Collettivo di
controinformazione e di inchiesta (Roma)



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