[Cerchio] E' arrivata la democrazia a Bagdad!

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Auteur: Tuula Haapiainen
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Sujet: [Cerchio] E' arrivata la democrazia a Bagdad!
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IL FATTO
E' arrivata la democrazia a Bagdad!

LA PAROLA CHIAVE: DEMOCRAZIA

Frenesie ateniesi
Gli studi classici sedimentano un'immagine austera e
ieratica del passato, ma una città come Atene, nel V
secolo, era più frenetica, sperimentale ed eccessiva di
qualsiasi metropoli contemporanea. "Gli ateniesi del tempo
- scrive Christian Meier - movimentarono e sconvolsero il
mondo dei Greci sia nel suo interno sia nei rapporti con
gli altri paesi, sfondarono in breve tempo i confini
tradizionali del commercio, del pensiero, dell'ordine e
dell'esercizio del potere. E tutto questo a tal punto che
non solo il resto dei Greci ma gli ateniesi stessi devono
aver trovato continuamente difficoltà ad orientarsi e ad
adeguarsi alle nuove condizioni". La clave che si
abbatteva su tutto quanto pretendeva di rinchiudere questa
città nei limiti assegnati dalla tradizione aveva un nome
ben preciso. Era la democrazia, intesa come partecipazione
diretta dei cittadini all a vita della polis.
L'esautorazione del Consiglio dei nobili nell'Areopago
(462 a.C.), costituisce il culmine di questa inarrivabile
storia. Meier, nel suo saggio, ci restituisce
l'eccitazione drogata che pervase gli animi degli ateniesi
che, primi nella storia, stavano sperimentando le
possibilità inaudite della libertà civile e politica. Ma
la libertà apriva anche un buco nero, lasciava senza
appigli ai quali attaccarsi nel momento critico della
decisione. E di decisione cruciali ce ne erano da prendere
continuamente perché Atene, divenuta, grazie alla
democrazia, una potenza mondiale, trovava ormai nella
guerra imperialista il suo elemento naturale. Da questa
angoscia generata da una libertà che toglieva il fiato
nasce lo spirito della tragedia greca. Atene, nel V
secolo, è anche la città tragica per eccellenza, la città
che nel volgere di pochissimi decenni vede trionfare, in
teatr i ricolmi di gente, l'ar te di Eschilo, Sofocle ed
Euripide.

Famiglie a pezzi
La tragedia comincia quando la decisione non ha più un
fondamento sicuro nella tradizione. Ha a che fare con
degli automatismi che si interrompono e con una libertà
che cresce. Se in essa il destino o il fato la fanno da
padrone è perché solo ciò che è libero può sentire con
tanta forza il peso della necessità. Agamennone,
nell'Orestea di Eschilo, è posto di fronte alla terribile
alternativa: abbandonare alla distruzione l'esercito e
rinunciare ai suoi doveri di re oppure sgozzare con le
proprie mani la figlia. L'inevadibilità della libera
scelta apre le cateratte del destino: la moglie di
Agamennone, Clitennestra, esulterà sul cadavere del marito
ed il figlio, Oreste, leverà la mano sulla madre per
vendicare il padre. Rivolgendosi agli ambasciatori della
piccola isola di Melo, cinta d'assedio dalla superpo tenza
navale atenies e per sole ragioni di interesse strategico,
i generali di Atene parleranno, nella cronaca che ne fa
Tucidide, la lingua dei poeti tragici. Distruggeranno, se
non vi sarà resa incondizionata, quella città senza colpe,
perché così vogliono che sia. A condizioni invertite, essi
dicono, i meleti avrebbero fatto lo stesso. Nessun
ideologico riferimento, quindi, ad un qualche superiore
principio di giustizia o alla bontà morale della propria
causa. In questa assenso dato ad una necessità "che non si
lascia persuadere" Nietzsche leggerà il segno della
superiore grandezza dei greci. La attribuirà alla loro
natura aristocratica, ma ad essere tragico è in realtà
l'uomo integralmente democratico, l'ateniese del V secolo,
quell'uomo, cioè, che, per la prima volta, nelle sue
decisioni è radicalmente solo e deve perciò imparare, come
Edipo, a sconta re l'infondatezza strutt urale che
caratterizza la decisione umana e a sopportarne le
terribili conseguenze.

Difficile libertà
La democrazia dei moderni è estranea allo spirito tragico.
Essa si presenta sulla punta sempre insanguinata delle sue
baionette come un valore morale. Può darsi, però,
democrazia senza tragedia? Tragedia non vuole qui certo
dire "arte tragica". Quella dei cosiddetti "tragici" è
stata una fase irripetibile della storia intellettuale
dell'Occidente. Ma l'arte dei tragici era l'autocoscienza
di una comunità che si era costituita risolvendo il legame
con il passato, contestando i poteri tradizionali,
portando la verità in piazza tra mercati e tribunali,
facendone l'oggetto di una sfibrante contesa dialettica.
Questa comunità era consapevole del prezzo che aveva
dovuto pagare. La tragedia era la messa in scena di questa
consapevolezza. Una libertà priva di questa autocoscienza
è allora ancora libertà o è solo violenza ideologica mente
mascherata da libertà?

Rocco Ronchi